columnist
Ti è piaciuto?
Sotto le granate / Torna l’appuntamento con la rubrica di Maria Grazia Nemour: “A volte per sedimentare dentro le cose belle, è necessario confermarle fuori con le parole, anche se scontate."
A volte per sedimentare dentro le cose belle, è necessario confermarle fuori con le parole, anche se scontate.
Sabato è stato così, dopo la partita c’era proprio bisogno di stare seduti cinque minuti sui seggiolini a guardare il campo vuoto, sereni. Abbiamo davvero battuto l’Atalanta e il suo secondo migliore attacco del campionato, per due a zero? Noi, noi che abbiamo l’imprinting del catenaccio, in campionato? Sì.
Una partita cominciata nel migliore dei modi: pellegrinaggio dei ragazzi della Primavera fin sotto la Maratona, Supercoppa ed euforia alzati al cielo. Con l’incontenibile e mal celata scaramantica voglia di rivederli presto quei ragazzi, con la Coppa Italia tra le mani. Millico che non segue i compagni in tribuna ma si ferma in panchina. Battesimo avvenuto. Breve, troppo breve, ma pur sempre un rito di iniziazione, ha finalmente corso sul campo della serie A.
Nel mezzo, novanta minuti di gioco del Toro.
Sirigu, N’Koulou e Moretti che meritano un mezzo busto in piazza San Carlo, come d’abitudine. Izzo che mi fa risuonare nelle orecchie la frase di Ibrahimovic: puoi togliere il ragazzo dal ghetto, ma non il ghetto dal ragazzo. E questo non per sentenziare che le esperienze di Izzo lo spingono sempre a giocare in rimonta, come chi ogni volta punta tutto, quanto perché è una frase che avrei potuto infilarmi addosso quando ero un’adolescente e sentivo in continuazione la necessità di provare qualcosa, a me stessa prima che agli altri. La sensazione che il tempo sfugga tra le mani, la necessità di stringere le dita per usarne di più. Meitè che all’inizio è opaco ma poi diventa sempre più lucido, ed è un piacere guardarlo far la differenza. Lukic che ha vissuto un’andata di attesa e si è fatto trovare pronto a lavorare nel girone di ritorno. Iago che non vive un momento di alte prestazioni così come rivelano le espressioni contrariate del più inclemente dei giudici, se stesso. Iago che segna. De Silvestri e Ansaldi pronti ad arare il campo su e giù per la semina. Un po’ grandina, un po’ c’è il sole, e loro sempre a seminare. Belotti che si dimostra un degno capitano perché interroga se stesso – recuperare o segnare? Questo è il problema – più di quanto faccia Amleto, e lo fa correndo, senza star fermo mai.
Visto dagli spalti sembra un Toro coeso, questo il valore di chi sa aspettare il momento giusto per dare un contributo personale a ciò che è corale. La sensazione che non ci sia spazio per i forestieri, giochi solo se non sei uno di passaggio.
Visto dagli spalti non è un Toro che esalta per acrobazie di gioco, guizzi inaspettati in attacco, giri di chiave dal centrocampo che aprono l’azione fino alla porta.
Però, visto dagli spalti come dal campo, è un Toro che vince due a zero contro l’Atalanta. Un po’ più lesto di giocata in giocata.
E allora per una volta non chiediamoci se sarà sufficiente un Toro pragmatico per andare in Europa, se sapremo confermare l’ascesa nelle prossime tre partite, se il derby, se ci fosse ancora Ljaijc o Gigi Meroni. Se, se, se. L’eternità si vive un attimo per volta, figuriamoci se un campionato di calcio si possa vivere diversamente da una partita alla volta. Proviamo ad aspettare con ottimismo la prossima vittoria, il sorriso della fortuna, il risultato. Questo non per far campagna elettorale a uno o all’altro, ma perché dopo tanti anni di patimenti facciamo fatica a crederci.
E allora prendiamoceli questi cinque minuti seduti davanti a un campo vuoto che profuma ancora di vittoria, rilassiamoci e godiamo fino in fondo di quella serenità che ci permettiamo di vivere così poco.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA