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Torino: 14 gradi e sudare

Maria Grazia Nemour
Sotto le granate / Il nuovo appuntamento con la rubrica di Maria Grazia Nemour

Nel bar ci sono due sale, in una danno la partita del Toro, nell’altra quella della Juve. Quelli a strisce passano guardandoci con tenerezza, proprio non lo capiscono perché uno di Torino dovrebbe scegliere la squadra che tribola, invece di quella che vince. Ma è già un quarto alle nove, non è il caso di spiegarglielo stasera, le partite stanno per cominciare.

Fa freddo. A Torino come in Abruzzo. Il Pescara inizia a far girare bene la palla, a noi ci girano e basta. Soprattutto ad Acquah, gli girano. È ghanese ma stasera ha un piemontesissimo “nervus” che gli vale un paio di gialli e la passeggiata fuori dal campo, espulso. Ed è solo il primo tempo. Martinez tira, tira, tira e naturalmente non c’entra la porta. Gli vogliamo bene, è talentuoso, ma gliene vorremmo molto di più, se non gli ci volessero cinque tiri a porta vuota, per fare un gol. Hart perde il pallone, lo ripiglia, se la ride. È un anglosassone anomalo, lui.

Intanto, quelli a strisce della sala accanto, esultano una, due, tre volte. Poi perdo il conto. Nella sala del Toro invece, è tutta una sudata. A Daniele, il nostro Baselli, ognuno vorrebbe somministrare una medicina diversa: chi abbracciarlo e dirgli dai che sei intenso, credi in te stesso; chi vorrebbe scuoterlo e minacciarlo: hai vent’anni e un piede da fuoriclasse, o giochi o fuori!

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Non ci vogliamo far mancare nulla e nel secondo tempo pure Vives abbandona il campo. Fallo o fallaccio, giusto o esagerato, espulso. E adesso siamo in nove. Il Pescara carica il fucile ad attaccanti, vuole sparare. Noi alterniamo attimi da confusione in stile oratorio ad altri che sembriamo gli ultimi Apache a caccia di bisonti, pronti a tutto pur di sopravvivere.

Sudiamo. Sudiamo tantissimo, fino all’ultimo tiro nella direzione della nostra porta, al quarantottesimo del secondo tempo. Poi succede che finalmente la partita finisce, zero a zero. Quelli della Juve escono festanti, noi sorridiamo, consapevoli che dentro al fortino, tra quelli che vincono facile, proprio non ci sappiamo stare. Siamo Apache, noi.