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Toro-Atalanta, qualcosa da non dimenticare

Maria Grazia Nemour
Sotto le granate / In Torino-Atalanta ci sono stati diversi modi di essere Toro, da ricordare.

Iniziamo dalla fine, lo spettacolo dopo la partita. Lacrime da Toro sulla faccia dell’ex capitano, mentre il Grande Torino rimbomba al grido: Alè Vives, Vives!

Sei anni di Toro, Vives. Dalla serie B all’Europa League. Da Ventura a Mihailovich.

Una faccia regolare da Toro che non ha mai millantato di essere il re del centrocampo ma che ha bagnato di sudore ogni maglia granata indossata, guadagnando rispetto. Un rispetto che ha ampiamente dimostrato per la sua squadra, aspettando e sperando, prima di andarsene, di vederla battere l’Atalanta, nell’impresa disperata di non staccare i denti dall’EL.

Ora, per Vives è tempo di Pro-Vercelli, che con Longo e Aramu risulta ben sintonizzata sulle frequenze del Toro.

Un’ultima sfida per Vives, che di palloni da recuperare ne vuole ancora. E magari qualche pallone lo avrebbe potuto recuperare anche domenica scorsa. Magari poteva sostituire l’insostituibile Ljajic e portare in campo motivazioni granata che non si vedono giocare da tempo.

“Emiliano Moretti, alè oh oh!” è stato un altro coro del mezzogiorno Toro. Un Moretti subito alle spalle di Vives in quanto a età e militanza in squadra. Un Moretti che riceve la fascia da Vives, il capitano senza stelle che non ha fatto in tempo a salire a Superga per l’appello di maggio.

Moretti, un capitano che sa bene da quale strada tortuosa arriviamo ma che non smette di scattare veloce verso quello che saremo.

E poi, domenica, c’è stato un Barreca, da ricordare. La corsa che fa dimenticare i difensori dell’Atalanta e prepara l’assist per Iago, gol!

Un Barreca da sempre granata. Scoperto, allenato e cresciuto da un cacciatore di futuro, Longo.

Un Barreca che gioca in serie A per via di un legamento crociato, quello di Molinaro, rotto.

Un Barreca che fino all’altr’anno passava la palla a un ragazzino di Ciriè che per tre volte ha detto ‘no grazie’ alla Juve: Aramu.

Barreca, che ha solo qualche mese in più di un altro ragazzo che si porta addosso l’imprinting del Toro, Parigini. Proprio quel Parigini che ha fatto infuriare il Chievo, sfogando un: “Torino è casa mia. Ho fatto tutte le giovanili con loro e il mio sogno, fin da bambino, è quello di poter un giorno diventare un giocatore fondamentale per questa squadra”.

Barreca, Aramu, Parigini e la voglia di Toro che avevano quando correvano ai giardinetti, urlando: “Tu fai Pulici, io Gigi e tu Graziani”. Facce giovani del Toro, a ricordare che quando hai avuto un passato indimenticabile, la tua priorità deve essere il futuro, hai ereditato responsabilità ed esempio.

Sì, ho l’insensata e romantica pretesa di pensare che le cose fatte per passione valgano più di quelle concordate per ingaggio.

Andrea Belotti, oltre che un diamante calcistico, è una persona bella in un mondo che conta troppi milionari apatici. Un professionista che spreme fuori il massimo ogni domenica ma che – seppur grato a una squadra che ha assistito e fertilizzato la sua fioritura – probabilmente se ne andrà, perché a lui manca qualcosa di sostanziale per rimanere nonostante tutto e tutti: l’innamoramento granata. E chissà se ce l’ha il Presidente, l’innamoramento granata.

Sono ingenua tendente allo stupido e voglio pensare che a Barreca, ad Aramu e a Parigini, la voglia granata non passerà mai.

Tornando a domenica, tiriamo un unico lungo sospiro e dimentichiamo il solito Toro che sfoga tutte le velleità di vittoria nel primo tempo. Senza scordare però che di questa nostra particolarità se ne sono accorte anche le altre squadre (perfino le morose, dei giocatori delle altre squadre) che ormai sanno dove aspettarci, nel secondo tempo.

Infine, domenica, uno striscione da non dimenticare. Una cornice sulla Maratona che spiega anche un po’ di Toro: “Centro Italia non mollare”.