- Coppa Italia
- Mondo Granata
- Video
- Redazione TORONEWS
columnist
È finalmente finito il mercato, pure quello in uscita. E già perché non bastava il patema che ci dava il mercato in entrata: no, per un anno che in Italia facciamo una cosa furba fermando la campagna acquisti prima dell'inizio del campionato (una roba che se l'avessero pensata i tedeschi avremmo sentito elogi da ogni parte…) il resto d'Europa fa un po' come gli pare e tiene aperti i corridoi in uscita dal nostro campionato fino a fine agosto. Risultato, il Toro si libera temporaneamente di Niang e lascia andare definitivamente Adem Ljajic, mossa quest'ultima che mi lascia davvero perplesso. Premetto che non sono un fan del fantasista serbo, né in generale apprezzo più di tanto questo tipo di giocatori, ma con l'età che avanza, la mia, intendo, ho imparato che spesso sono proprio i Ljajic che ti fanno vincere le partite.
Ovviamente assieme ai Sirigu che le salvano al 92’ o agli N'Koulou, ai Belotti, ai Moretti, ecc, ognuno con la propria dote e le proprie peculiarità. Ljajic in questo Toro era un giocatore di livello superiore, senza se e senza ma. Certo era incompiuto come può esserlo un talento immenso che arriva da un passato fatto più di ombre che di luci, “marchiato” da una pessima fama e ondivago come un’adolescente in un negozio di vestiti. Possiamo trovare mille difetti a Ljajic, ma la sua fantasia e la sua tecnica restano un unicum che questo Toro non può duplicare nemmeno coi suoi elementi migliori (neppure Iago Falque, ahimè…). È figlio di questi tempi e di questo mondo del calcio, Ljajic, calcio moderno dove i numeri 10 non trovano più posto, schiacciati dai tatticismi esasperati e dall'estrema fisicità. Un calcio dove un procuratore potente può imporre la sua volontà muovendo le giuste leve e bypassando il volere reale del calciatore in nome dei soldi. Un calcio dove anche i tifosi sono vittime dei loro stessi pregiudizi basati su singoli episodi che spesso non dovrebbero essere considerati nella valutazione oggettiva di un calciatore. Un esempio? Ljajic non corre, si diceva, salvo poi scoprire dai dati che era quello a faceva più km di tutti in campo. Per non parlare degli assist e di qualche gol pesante (la punizione allo Stadium o il gol vittoria contro l'Inter nella passata stagione).
Il Toro rinuncia ai suoi piedi buoni perché non ha saputo gestire un giocatore del genere. Si dirà che è stato Ljajic a voler andare via e i “soli” 8 milioni incassati dalla sua vendita giustificano questa versione dei fatti. Ma la realtà è che non si è voluto continuare a puntare (anche) su di lui. Mazzarri vede il calcio come organizzazione totale, privilegia il gruppo e non poteva garantire titolarità a nessuno. Tutto giusto, tutto corretto. Poi però dovrà essere consapevole che non potrà più giocarsi il jolly nei momenti di difficoltà, come ha fatto in parecchi casi la scorsa stagione. L'unica nota positiva potrebbe essere la possibilità di vedere più spesso in campo Edera che quindi potrebbe continuare a fare esperienza in A nel Toro senza obbligatoriamente andare in prestito: il giovane canterano diventa alternativa primaria, con Ljajic aveva obbiettivamente gli spazi chiusi.
Non rimpiango Adem Ljajic in sé, ripeto, non ero un suo fan in particolare. Rimpiango il fatto che questa società dimostri di non voler fare il salto verso l'alto, trovando più”semplice” far andare via i giocatori di talento piuttosto che impegnarsi a gestirli come si fa nei grandi club. È la mentalità che mi delude. Se si punta in alto la rosa deve essere ricca di alternative di livello e società e allenatore devono essere capaci di gestire il fatto che tutti vorrebbero giocare sempre perché tutti sono forti. E mentre la cessione di Niang è sacrosanta, quella del serbo va esattamente nella direzione opposta a questa filosofia. Come sempre il campo parlerà ed emetterà i suoi verdetti. Massima fiducia in Mazzarri, sperando a fine anno di non dover rimpiangere quella dose di cifra tecnica che è stata lasciata andare via un po' troppo facilmente…
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finchè non è finita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA