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Toro-Bologna ’77 – La penultima volta
Il 20 settembre di quest’anno, nell’anticipo del venerdì, il Toro di Paolo Vanoli vince 3-2 a Verona e si ritrova in testa alla classifica da solo. Il quinto turno del campionato si dipana in modo tale che i granata rimangono primi in solitaria fino alla domenica sera quando va in scena il derby di Milano. L’Inter campione d’Italia è favoritissima e vincendo ci affiancherebbe, ma i rossoneri di Fonseca vincono 2-1 e così i granata rimangono da soli in vetta per la prima volta dal 1977.
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Da quell’istante (qualcuno ipotizza dal momento in cui il presidente del Torino rilancia su Instagram una storia scrivendo “Salutate la capolista”) la china della stagione prende fin troppo alla lettera la teoria del piano inclinato che chi ha visto “Chiedimi se sono felice” di Aldo, Giovanni e Giacomo conosce bene: eliminazione dalla Coppa Italia il martedì con un paio di rigori negati, disastri difensivi, infortuni dolorosissimi come di Duvan Zapata, attacco che non solo smette di segnare, ma evita proprio di calciare in porta con la doppia ciliegina sulla torta della sconfitta contro una Roma che stava perdendo da chiunque e dell’ennesimo derby perso senza scendere in campo. Abbiamo conosciuto solo batoste se si esclude il successo sofferto contro il Como, ma queste sono le miserie del presente con cui dovremo ricominciare a fare i conti da domenica prossima. Stasera ritorniamo a un evento più lieto e parliamo di quella che da due mesi è diventata la penultima volta in serie A in cui il Toro è stato da solo a guardare tutti dall’altro verso il basso.
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Il 20 febbraio 1977 sono passati pochi giorni dalla famosa cacciata del leader della Cgil Luciano Lama dall’università “La Sapienza” di Roma con tanto di gravi scontri fra studenti, autonomi e forze dell’ordine nella giornata che di fatto vede nascere il Movimento del Settantasette. L’anno successivo Fabrizio De Andrè parlerà dell’episodio in “Coda di lupo”, contenuta in “Rimini” (“Ed ero già vecchio quando vicino a Roma a Little Big Horn/capelli corti generale ci parlò all’Università/dei fratelli tute blu che seppellirono le asce/ma non fumammo con lui, non era venuto in pace./E a un Dio “fatti il culo” non credere mai”).
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Torino è una delle città in cui gli anni di piombo si vivono in maniera più pesante e dolorosa. Nel fine settimana qualche ora di evasione può regalarla il cinema, decisamente in un buon periodo. Nelle sale ci sono “Suspiria” di Dario Argento, “Cielo di piombo, ispettore Callaghan” con Clint Eastwood (ironia della sorte, è uscito proprio in questi giorni con quello che forse sarà il suo ultimo film da regista, lo splendido “Giurato Numero Due”) o “La Pantera Rosa sfida l’ispettore Clouseau”. Più del buio della sala, però, è il chiarore sugli spalti a chiamare a raccolta gli appassionati torinesi. Il Toro con lo scudetto sul petto e la Juventus del primo Trapattoni si stanno contendendo il titolo: le due compagini condividono il primo posto a 27 punti, le inseguitrici più prossime sono Inter e Fiorentina a 20. Se nell’era dei tre punti sette punti è un buon distacco, quando il successo ne valeva due era un abisso.
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Il Toro è più forte, più spettacolare e più bello, ma non riesce a scrollarsi di dosso i bianconeri che, quella domenica, sono impegnati nella Genova rossoblù mentre l’undici di Radice ospita il Bologna. Proprio Marassi è stato proprio il teatro delle ultime prestazioni granata: un pareggio 1-1 col Genoa nell’ultima di andata (Pulici risponde ad Arcoleo) e un 3-2 più netto di quanto dica il punteggio alla Sampdoria nella prima di ritorno con una tripletta di Graziani.
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La domenica non sembra iniziare sotto buoni auspici. Mancini respinge con un piede un colpo di testa a colpo sicuro di Graziani e di lì a poco le radioline danno notizia del vantaggio bianconero al Ferraris grazie a una rete in mischia di Boninsegna. Sul terreno del Comunale il bolognese Pozzato ha una clamorosa occasione per il vantaggio, ma, a tu per tu con Castellini calcia malamente alto. Il Bologna, alla disperata ricerca di punti, capitola al 43’ quando Graziani vola in cielo per colpire da campione un calcio di punizione del Poeta Claudio Sala.
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La rete scioglie la manovra dei granata che nel secondo tempo si presentano in campo più vicini al modo in cui l’Italia intera è abituata a vederli anche se il gol viene solamente sfiorato. Le reti per cui si esulta provengono dall’etere visto che, nel giro di pochi minuti, il Genoa ribalta la situazione contro la Juventus grazie a una zampata di Ghetti su azione d’angolo e alla marcatura dell’ex di Damiani che fa onore al soprannome “Flipper” tramutando in rete un pallone che gli picchia addosso. Pruzzo scivola al momento di piazzare il 3-1 e alla fine è una botta ravvicinata di Bettega a chiudere il risultato sul 2-2. Un punto che a fine anno peserà tantissimo, ma il Toro non lo sa.
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Il Toro non lo sa e, sul campo, sta cercando di chiudere la pratica col Bologna, ma invano. Uno degli avversari più irriducibili è l’ex Angelo Cereser che gioca con una grinta particolare (a proposito di ex, secondo il Corriere della Sera, Rampanti è reduce da uno screzio coi tifosi appena sceso dal pullman dei felsinei, la ragione un cartello che lo offendeva pesantemente dopo il fallo che all’andata costò un brutto infortunio a Pecci: Serino non andrà nemmeno in panchina). “Trincea” prima salva sulla linea una conclusione di Zaccarelli, poi si scontra con Salvadori procurandogli un taglio sul mento e non perde occasione per bisticciare con Graziani e Claudio Sala. Le versioni negli spogliatoi faine incontro sono discordanti. “Io in campo non sono un santo, ma almeno un po’ di rispetto per mia madre…” una delle dichiarazioni più significative del nativo di Eraclea.
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Quando non si chiude una gara c’è sempre il rischio di comprometterla e Sergio Clerici ha una grossa opportunità per pareggiare, ma la sua conclusione colpisce la traversa e termina sul fondo. Il Toro regge e, funzionando a tratti, una volta tanto vince di misura, funzionando a tratti, ma tanto basta per il primato solitario. Il commento finale de La Stampa è significativo: “Non è sempre facile giocare e convincere nel nostro campionato e prevediamo che il Torino - e la Juventus - troverà spesso squadre tipo Bologna sulla sua strada. Squadre che vogliono il punto e non cercano il gioco, ottenendo il risultato di frenare anche l'iniziativa di chi vorrebbe giocare un buon calcio. Il Torino, però, dovrà cercare di non cadere in certe trappole e di essere sempre se stesso: squadra da pressing continuo, non da quarti d'ora isolati. Non è nel suo stile, non si diverte”.
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Nonostante le giornate si stiano impercettibilmente allungando da un paio di mesi a febbraio fa buio presto. Immagino i tifosi lasciare lo stadio mentre il cielo su Torino cambia colore, prendendo tinte che non si riescono a descrivere e che disegnano un crepuscolo malinconico, ma al tempo stesso confortante. Nessuno sa che sarà l’ultima settimana da soli in testa alla classifica per decenni. Nessuno ci crederebbe visto che quella squadra è formidabile, un capolavoro della dirigenza, Beppe Bonetto in testa. Invece sarà così, quello è l’anno dei 51 punti dei “cugini” e dell’amara battuta di Pecci “se ne avessimo fatti 60 loro ne avrebbero fatti 61”. Quello è l’anno di una condanna, la condanna di non poter parlare di un’annata giocata ancora meglio della precedente, ma che appena viene evocata ricorda insieme che lo scudetto ci verrà scucito dal petto per appoggiarsi sulle maglie meno desiderabili. Quello è l’anno di una fine: di un punto, di uno stramaledetto punto che ha fatto tutta la differenza possibile, entrando sotto la pelle e finendo col togliere qualcosa alla magia del Toro di Radice. Quel Toro regalerà sempre ottimi piazzamenti, ma non riuscirà più a riprendersi quella maledetta vetta. Com’è possibile che faccia così male ricordare qualcosa che ha quasi cinquant’anni e non ho vissuto di persona?
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (0 meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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