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columnist
di Guido Regis
Ogni fenomeno può avere caratteristiche differenti.
C’è chi si finge vittima senza motivo per buttare fumo negli occhi e continuare a lamentarsi senza crescere, c’è chi è vittima senza alcun dubbio e a volte, esausto, prova a farlo notare.
Metterli sullo stesso piano è un comodo artificio di chi non gradisce essere accusato delle ingiustizie che commette nella vita ma soprattutto è un grave atto di falsità.
C’è il ladro che urla “al ladro, al ladro” per depistare. Se è nota la sua professione non gli riesce e viene ignorato o catturato, ma se non è nota magari qualcuno gli crede, lo commisera ed indirettamente lo aiuta nel furto.
Ma c’è anche il derubato che urla giustamente “ al ladro, al ladro”: quanti sono coloro che se ne fregano anzi, peggio, lo criticano, lo avviliscono, non gli credono e magari lo considerano alla stregua del ladro mentitore?
Ho costruito la mia vita sulle “palle” nel riconoscere i miei errori, le mie debolezze, lottando per provare a non commetterli più e tentare di diventare sempre più forte.
La dietrologia mi infastidisce quando è pretestuosa.
Ma quando i fatti parlano da soli la definisco dietrologia solo per fare il verso a chi critica, anche se tale non è.
Ognuno è comunque libero di coprirsi gli occhi, tapparsi il naso, girarsi dall’altra parte e sentirsi per questo Superman.
Avrei voluto davvero essere smentito in tutto e per tutto, dover fare pubblica ammenda e salire sui pullman di linea allestititi ieri sera a Brescia urlando a squarcia gola con i fratelli granata, poi festeggiare per l’autostrada, dandomi dell’idiota, del pessimista, ma ridendo come un pazzo per la gioia.
Mi spiace tremendamente ma non è accaduto, mentre il rigore per lo meno discutibile contro si, l’espulsione ridicola anche e non solo una.
Questo non vuole dire che solo questi fattori abbiano relegato il Toro in B un'altra volta.
Non sarebbe stato necessario abbattere definitivamente il Toro in questo modo, perché una brutta cosa era stata allestita da uno degli ultimi regali di Foschi, venuto a Brescia, come qualcuno ben più noto a Madrid, già con le valige in macchina, ma non per farci vincere.
Brutta cosa , brutta cosa davvero che onestamente suona ancora più stonata dell’arbitraggio previsto.
Modulo sovrapponibile all’andata ma con alcuni attori diversi, meno adatti e palesemente in condizione fisica critica, con panchinari per contro certamente meglio messi per energie psicofisiche, anche alla luce delle ultime prestazioni.
Il Toro doveva essere più forte del Brescia, dell’arbitro e dei sostenitori presenti in questo stadio surreale, fatiscente, triste, quasi postatomico che penso Rigamonti non gradirebbe sapere dedicato a lui.
Invece ieri è stato schierato inspiegabilmente un Torello che avrebbe pareggiato e forse perso anche in casa arbitrato da Rosetti.
Ma ora non c’è più nulla da fare ormai, se non leccarsi le ferite e ripartire, qui si facendo tesoro una volta per tutte degli errori commessi, da Cairo al più feroce degli anti Cairo.
Ieri sera una maglietta granata indossata da tanti recitava “io ci credo” sul davanti e “l’unica battaglia persa è quella che non si ha il coraggio di combattere”, sul retro.
Come troppo spesso negli ultimi vent’anni ci abbiamo creduto solo noi, meraviglioso popolo granata.
Da par mia ho il coraggio di combattere, per ora ancora con pochi fratelli (duecentosettanta per l’esattezza), una difficile battaglia che noto essere ignorata, sottovalutata o peggio osteggiata da molti.
Quella di far comprendere che dobbiamo essere artefici del nostro destino, osando, andandoci a prendere veramente ciò che è nostro. E’ dura, ma se non siamo diventati tanti piccoli coniglietti ce la faremo.
Spero di poter scrivere nuove puntate insieme, fino alla vittoria della guerra.
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