Quel che è giusto, è giusto: a differenza delle ultime stagioni, quando il campionato del Toro finiva, di fatto, a gennaio, quest'anno a metà aprile, alle soglie del rush finale, Belotti e compagni sono ancora in lotta per centrare un piazzamento europeo, cosa che già in sé rappresenta un deciso passo avanti e della quale come tifosi occorrerebbe esserne fieri. Essere in corsa, ovviamente, non vuol dire che matematicamente si raggiungerà l'obiettivo, ma che quantomeno si lotterà alla pari delle altre per guadagnarsi un posto al sole. E in linea teorica, distando solo 3 punti il quarto posto, non è nemmeno così peregrino addirittura accarezzare il sogno Champions… Dici Champions e nell'immaginario collettivo si materializza la musichetta e gli stadi mitici di mezza Europa nei quali ti immagini poter vedere scendere in campo il Toro: siamo tifosi e in quanto tali un po’ bambini, pertanto amiamo sognare ad occhi aperti. Giusto che sia così perché è anche questa l'essenza del calcio e della sua straordinaria popolarità, il concetto che in un rettangolo verde tutto sia possibile, metafora semplificata della vita che, a causa delle sue imprevedibili sfaccettature, non sempre fa sì che ciò sia vero.
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Toro, dal sogno Champions all’incubo Super Champions
La Champions è il sogno di ogni bambino attuale, mentre chi ha più primavere alle spalle come il sottoscritto, rimpiange ancora le coppe europee come erano un tempo: la Coppa Campioni rigorosamente riservata ai campioni nazionali, la difficilissima Coppa Uefa il cui livello era molto più alto raggruppando le squadre dei podi dei singoli campionati e l'affascinante Coppa delle Coppe anch'essa riservata ai vincitori (o finalisti) delle coppe nazionali. Niente gironi, sfide di andata e ritorno, primi turni più morbidi, ma finali quasi tutte intriganti. Poi è arrivata la Champions che ha portato più soldi, ma ha ucciso questo spirito genuinamente meritocratico, creando un nuovo Gotha del calcio europeo e allargando il divario economico e di competitività tra chi, la Champions, la fa e chi non la fa. Un abominio giustificato agli occhi del mondo dall'innalzamento del livello tecnico della competizione, senza però sottolineare l'effetto collaterale dell'eliminazione graduale del concetto di competizione, intesa come possibilità universale per (quasi) tutti di poter ambire a giocare a quei livelli.
Non possiamo fare come la volpe e l'uva e negare che ci farebbe piacere vedere il Torino in Champions: le regole al momento sono queste e il Toro in Champions significherebbe una crescita a tutti i livelli del club che amiamo. Però non dovremmo chiudere gli occhi su di un sistema che con una mano apparentemente ci dà una dimensione di calcio da sogno, dall'altra non fa altro che impedire alla stragrande maggioranza delle squadre europee di poter realmente fare qualcosa di concreto per poter provare ad entrare ad un livello così alto della competizione. Quante speranze ci sono oggi che un Nottingham Forrest possa vincere la Champions come fece per ben due volte con la coppa Campioni negli Anni Ottanta? Zero, e la “favola” del Leicester sta lì a dimostrarlo. Quando la squadra di Ranieri vinse quasi miracolosamente la Premier l'anno dopo si ritrovò a fare la Champions con le altre squadre inglesi che si erano classificate seconda, terza e quarta e che nel frattempo avevano fagocitato suoi calciatori importanti visto che potevano offrire lo stesso palcoscenico (la Champions…) e stipendi più corposi. Il delitto perfetto. Il sistema si autotutela, rendendo più ricchi quelli ricchi che già ci stanno dentro e rendendo più “innocui” gli outsider che provano a “sbancarlo” arrivando dall'esterno per inimmaginabili e favorevoli congiunzioni astrali. Il Toro in Champions farebbe godere la tifoseria, ma rischierebbe di essere la classica meteora che balla una sola estate senza un adeguato piano di rafforzamento messo in atto dal presidente Cairo. E tu, tifoso granata, che in realtà saresti già contento di poter rifare l'Europa League, appena anche solo vagamente ti trastulli con l'idea della Champions, ecco che quelli a cui non basta la già enorme iniquità di questa competizione, se ne vengino fuori con l'idea della Super Champions a stroncarti ogni possibile e timida velleità futura. La Super Champions, ovvero un abominio di dimensioni ancora superiori, dove la parola privilegio la fa da padrone in ogni piega della sua concezione. E non è un caso che sia Andrea Agnelli, a capo dell'Eca, l'associazione dei principali club europei, il principale attore che sta lavorando sulla scena di questo progetto destinato ad uccidere definitivamente i campionati nazionali e a renderci “schiavi” dello spettacolo, cancellando la parola sport dal mondo del calcio.
Per fortuna sia la Liga che la Premier e la Bundesliga si sono dette contrarie ad una simile riforma, ma è comunque dalla base che dovrebbe venire il rifiuto per simili derive. Il problema è che in quanto tifosi siamo schiacciati tra l'incudine ed il martello. Da un lato il sogno che la nostra squadra arrivi a vette insperate dall'altro la consapevolezza, se ciò accade, di firmare un patto col diavolo… Mi chiedo se esista una terza via, una via identitaria che permetta di affrontare questo calcio “finto” con un'impronta talmente marcata da riuscire a limitare al minimo i disagi della deriva “superchampionista” di chi vuole trasformare questo sport in un circo dove ogni partita è un baraccone in cui mostrare tutti i “fenomeni” possibili. E allora mi viene in mente il coro che gli ultras intonavano già a fine anni Novanta “no al calcio moderno, no alla pay tv”. Mi sa che ci avevano visto lungo loro…
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finchè non è finita
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