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Toro, dov’è finito il coraggio?

Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 
Il Granata della Porta Accanto/ Mille attenuanti per la squadra di Ventura, ma la costante delle sconfitte è l'atteggiamento remissivo

Dov'eravamo tre anni fa? Già, impossibile dimenticarsi delle sabbie mobili della serie B dalle quali sembravamo destinati a non uscire più o ad esserne inghiottiti definitivamente ed invece, per fortuna e per bravura, oggi siamo qui a lamentarci per una sconfitta di misura rimediata a San Siro. Se possiamo permetterci quest'esercizio intellettuale non possiamo che dire grazie ad una persona con un nome ed un cognome ben preciso: Giampiero Ventura. Giusto per ricordarcelo (perchè non c'è niente di più brutto dell'ingratitudine) a lui e, a cascata, ai vari Petrachi, Cairo, i tanti giocatori arrivati e ripartiti, va il merito di aver riportato il Toro nel posto che la storia gli aveva assegnato e che gli ultimi vent'anni avevano corso il rischio di aver cancellato.

Da tifoso, sono grato di potermi nuovamente "lamentare" se il Toro esce a bocca asciutta dal Meazza, perchè significa che sono tornato a ragionare con i canoni che erano soliti accompagnare le nostre partite prima dell'ultimo ventennio: quelli di una squadra dal volto e dall'indole operaia che aveva acquisito i quarti di nobiltà dal nostro calcio in quasi un secolo di gloriosa militanza in serie A. E sempre da tifoso che non ha visto il Grande Torino e, ahimè, neppure il Torino dello scudetto del '76 e anni limitrofi, mi rendo perfettamente conto che neanche nei miei sogni più audaci vedrò mai il Toro dominare in Italia. (Che poi magari neppure lo vorrei perchè mi sembrerebbe di tifare per quelli di Venaria....)

Fatte queste doverose premesse, è chiaro che dopo un filotto di quattro sconfitte in cinque partite, tra le quali un derby giocato al 30%, un paio di prestazioni sotto la media in casa contro squadre inferiori (Bologna e Samp) e un' abulica partita con un' Inter decisamente modesta, mi girino un pò le scatole per quella strana sensazione come di aver gettato alle ortiche l'occasione di mettere tante ciliegine sulla torta di questa stagione di rinascita. E non è neanche una questione di volere tutto subito perchè avevo messo in conto un calo fisico, una recrudescenza dei torti arbitrali, gli infortuni e le squalifiche sapendo bene che tutti questi elementi avrebbero per forza, prima o poi, portato qualche nuvoletta sul sereno del campionato che stiamo vivendo.

Quello che mi fa rodere dentro, ma credo che sia un sentimento diffuso anche nel resto dei tifosi, è questo atteggiamento timoroso e timorato che abbiamo iniziato a sfoderare proprio quando ad obbiettivo salvezza praticamente centrato, abbiamo tirato le briglie al cavallo invece di lasciarlo galoppare libero e sereno proprio nel momento in cui non aveva più senso preservarlo in vista di chissà quali "tempi difficili". Invece di godere dei vantaggi di una classifica che per la prima volta da secoli a due terzi di campionato ci permette di poter programmare il futuro in serenità e di guardare al presente con un occhio un po' più ambizioso, ci siamo avvitati su noi stessi in nome di non si capisce bene quale timore tecnico-tattico. E su questo aspetto il mister ha le sue colpe…

Dov'è finito il coraggio? Dov'è finita la voglia di prendersi qualche soddisfazione extra?

Non è un'accusa, ma una semplice domanda di chi di fronte ad una situazione paradossale, si pone degli interrogativi. Di sicuro c'è che di tanti meriti che si possono dare a Ventura non vi è certo quello di saper trasmettere ai giocatori una mentalità "guerriera" ed un atteggiamento agonistico anche fuori dalle righe. E' tutt'altro il credo calcistico che il mister genovese insegna e, finora, non si può dire il contrario, ha avuto ragione lui su tutta la linea. Però una prova d'orgoglio, la voglia di fare la partita perfetta, quella da ricordare per tanti anni non si compra al mercato, ce la devi avere dentro. E allora tiriamola fuori contro il Napoli, partita che cade a pennello per essere l'occasione giusta per battere una grande e riprendere il cammino su cui eravamo fino ad un mese fa. Sovvertiamo i luoghi comuni: a dispensa piena (vedi punti in classifica), meglio cicala che formica!