columnist

Toro e personalità

Toro e personalità - immagine 1
Sotto le Granate / Torna la rubrica della nostra Maria Grazia Nemour
Maria Grazia Nemour

Per andare a vedere il Toro, un lunedì sera di metà gennaio, bisogna essere estremamente motivati. Innanzitutto, a Torino si può morire di tornelli: venti minuti per il primo riconoscimento, sette per essere perquisiti, altri 15 per oltrepassare finalmente le sbarre automatiche, abbonamento alla mano.

Io proporrei i tornelli anche per uscire, così, un esercizio di pazienza che metta alla prova la personalità dei tifosi del Toro.

Comunque, posto che si riesca a oltrepassare le barricate, si entra e finalmente si constata che sono passati cinque giorni dall’ultimo tentativo e che è di nuovo Toro contro Milan. L’altra settimana era la versione Coppa Italia a San Siro, questa, Campionato al Grande Torino. Se all’assidua frequentazione aggiungiamo che Miha l’altr’anno era sceso agli inferi ad allenare i Diavoli, dovremmo giungere alla conclusione che il Milan non abbia più segreti per il Toro. E invece no, lunedì non si perde, ma neanche si vince. Cambiando l’ordine degli addendi, il risultato cambia di poco. Anche se un segreto di Montella è sicuramente svelato: sa amministrare più saggiamente di noi il tempo, dosando forza e flessibilità.

Il primo tempo continua a essere un attributo del Toro. Si alternano un gol pulito orchestrato da Falque, Ljajic e Belotti a un altro picaresco, con la palla che scotta sui piedi di Belotti, Falque, Obi, Benassi e che infine brucia Donnarumma.

Salta fuori Barreca che si prende un pallone da centro campo e se lo porta in area, determinato a tal punto che Abate lo stende, per fermarlo. È rigore. Ma non c’è ammonizione, forse l’arbitro ritiene che Abate abbia commesso fallo all’insaputa di se stesso.  Ljajic afferra il pallone, non guarda Belotti né Falque, deciso a tirarlo lui, il rigore. Forse un modo per riscattare la prestazione incolore realizzata fino a quel momento. Ma anche il calcio è incolore, centrale e a mezz’aria, abbracciato dall’infinito Donnarumma.

Il tre a zero sfuma e si va negli spogliatoi con più due.

Di nuovo in campo. Dopo dieci minuti il gol estemporaneo è quello di Bertolacci: entra o non entra, entra o non entra. Entra. Il gol successivo è di Benassi, ma lui è in fuori gioco e l’azione viene annullata.

Il Milan sfarina nervosismo intorno, tanto che Rossettini trattiene Paletta quando il pallone è già saldamente tra i guanti di Hart, ed è rigore. Uno di quei rigori col gol, Bacca preferisce batterlo così.  Due a due. L’entusiasmo del primo tempo rende assolutamente incredibile, l’attuale due a due.

La nostra risposta è Iturbe, che prende il posto di Obi. Ma Iturbe entra carico di incertezze e ritardi, più che risposte. Invano si aspetta di vedere una sua accelerata, una soluzione fantasiosa.

Al momento l’unica risposta è Belotti, che ci riprova con una girata che sfiora la perfezione di un centimetro. Fuori.

Neanche quando il Milan finisce in dieci, riusciamo a sgomitare e prendercela, questa vittoria. Eppure non sono stata ferma un attimo, ho visto uno spettacolo coinvolgente. Ora c’è solo da chiarire un punto, e da questo ripartire: cosa dobbiamo cambiare perché una bella partita si trasformi in una vittoria?

Personalità. Personalità, è stata la parola usata spesso da Miha in conferenza stampa. Sono d’accordo con lui quando dice che la personalità non si compra, meno d’accordo quando immagina di trasmettere la sua, di personalità, agli altri. Il fallimento è quasi assicurato. Un leader della panchina non cerca replicanti di se stesso nei giocatori, ma si sobbarca il lavoro – spesso ingrato – di scavare, provare, fallire, a volte fare un passo indietro e infine individuare, la personalità degli uomini che ha davanti. Ognuno la sua. Diversa, senza matrice. E con quella – e solo con quella, l’unica a disposizione di chi scende in campo –  imposta un gioco agguerrito, ma sostenibile ed equilibrato.

tutte le notizie di