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Toro, il difficile equilibrio tra plusvalenze e risultati

Urbano Cairo, Carpi FC v Torino FC - Serie A Toro
Il Granata della Porta Accanto / Con problematiche diverse gli ultimi tre gironi d’andata sono stati difficoltosi: vendere (bene) ha le sue conseguenze
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

Nella settimana in cui la squadra che lo precede di un punto (Samp) e quella che lo segue sempre di un punto (Palermo) cambiano allenatore, il Torino vive la sosta di campionato leccandosi le ferite di un ciclo di partite da cui è uscito con soli due punti all’attivo. A quasi un terzo di campionato, nonostante il promettente avvio, il Toro si trova a fare i conti con una classifica che, bene o male, da tre anni a questa parte è sempre la stessa. E la famosa crescita?

Se Cairo non pensa minimamente a sbarazzarsi di Ventura perché, giustamente, ha puntato sulla continuità tecnica del progetto, i tifosi legittimamente, invece, si domandano come mai, nonostante la guida sia sempre la stessa, il Toro non goda del vantaggio di avere un gioco ed un sistema collaudato.

La prima spiegazione logica sta nel fatto che le cessioni annue di uno o due pezzi pregiati nel mercato estivo hanno evidentemente ripercussioni più grosse di quello che ci si può aspettare sugli equilibri di squadra. Senza andare tanto indietro nel tempo, è chiaro che la mancanza di Darmian ed El Kaddouri, due dei più attivi l’anno scorso sia in fase offensiva che difensiva, hanno pesato non poco sull’economia del gioco di Ventura in questo terzo di campionato. Finchè c’è stato Avelar il Toro ha retto a livello di terzini visto che la coppia con Peres garantiva spinta ed inventiva, ma gli infortuni dei due brasiliani, soprattutto del primo, hanno limitato di molto il gioco sulle fasce (vedi Carpi). Il belga marocchino invece era uno dei pochi a saper “portare” la palla e a creare superiorità sulla trequarti avversaria: Baselli è un ottimo sostituto, ma ha caratteristiche tecniche differenti e nonostante i tanti gol segnati non ha ancora trovato una continuità di rendimento tale da essere considerato perno insostituibile del gioco venturiano come lo era El Kaddouri. Bene quindi le plusvalenze (nel caso di Darmian, ovviamente), ma male il loro impatto sulla squadra. D’altronde anche l’anno prima la partenza di Cerci ed Immobile aveva comportato quasi un girone di assestamento prima di vedere il Toro tornare a certi livelli.

Una seconda spiegazione può essere nel fatto che la campagna acquisti di quest’anno è stata, come da molti invocata, incentrata su profili giovani e talentuosi: nel momento in cui però la squadra è stata falcidiata dagli infortuni non tutti sono stati in grado di entrare da subito in campo da protagonisti. Penso a Zappacosta o allo stesso Belotti che, carico dell’aspettativa legata agli otto milioni spesi per il suo cartellino, sta facendo fatica più del dovuto ad entrare nei meccanismi di Ventura e, di conseguenza, anche a trovare la via della rete. Unica eccezione in questo senso, Baselli: tecnico e decisivo con le sue reti, ma col neo di essere a volte ancora incapace, vista la sua giovane età, di prendere per mano la squadra.

Ecco, se vogliamo, la costante di queste tre ultime annate è rappresentata dal tempo: il tempo che ha impiegato, ogni anno, Ventura a trovare la quadra per far rendere al meglio la squadra. Quest’anno a dire il vero ci eravamo illusi che finalmente si potesse partire forte e per le prime giornate così è stato. Poi la vertigine d’altezza (il primo posto clamorosamente mancato nel pomeriggio di Modena…) e i tanti infortun,i uniti ad un calendario che ha assunto le fattezze di un gran premio della montagna, hanno affossato la squadra, ricacciandola nel limbo della parte destra della classifica. L’istinto suggerirebbe che forse parte delle colpe di questa situazione di stallo è da imputare alla mentalità poco elastica e vincente del mister, incapace di “sorprendere sé stesso” nei momenti difficili osando e di dare un impulso decisivo quando si può svoltare verso l’alto (sbagliate quasi sempre tutte le partite decisive dalla trasferta di Pescara in B, alla partita col Parma in casa o quella di Firenze l’anno del settimo posto, fino alla sciagurata gara col Carpi).

In realtà la razionalità ci spinge ad essere moderatamente tranquilli e sufficientemente ottimisti per l’immediato futuro. Ventura ha sempre trovato il bandolo della matassa e raggiunto, a fine stagione, gli obbiettivi prefissati all’inizio. Perché non dovrebbe essere così anche stavolta? L’ossatura della squadra è la stessa e una certa qualità non manca. Certo che fa rabbia pensare a quelle prime sei giornate e alla metamorfosi radicale delle ultime sei. Ma se la ricetta societaria continua a prevedere più attenzione alle plusvalenze che a tutto il resto sarà difficile commentare inizi di stagione differenti: mastro Ventura dovrà comunque ogni anno reinventarsi nuovi equilibri. Con l’augurio che anche lui sappia rinnovarsi per non essere sempre troppo uguale a sé stesso…

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