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columnist
Si è concluso il campionato con il misero nono posto dei granata e i 54 punti all’attivo. Tanti fattori hanno inciso su questo scarso rendimento che ho già sviscerato nel corso della stagione. Oggi voglio analizzare i dati diffusi sul numero di presenze allo stadio nei match casalinghi delle squadre di Serie A. Il Torino quest’anno ha una media di 18.132 spettatori e si piazza all’undicesimo posto, dietro a squadre come Fiorentina, Genoa, Bologna e Sampdoria. Anche nella stagione 2016/2017 il Toro ha occupato l’undicesimo posto di questa classifica, ma la media era di 19.327 spettatori. Due anni fa invece la media era di 19.392. Dunque se dal 2015/2016 al 2016/2017 la flessione è stata pressoché minima con i 65 spettatori in meno, il calo avuto quest’anno è stato pressoché imbarazzante con un taglio di oltre un migliaio di spettatori. Quali sono le cause?
C’è chi punta il dito contro la congiuntura economica del Paese che, pur rappresentando un’argomentazione valida, trova anche delle criticità. Sì perché pensiamo ad esempio alla Lazio che è passata dal nono posto della stagione scorsa con una media di 20.453 spettatori, al sesto con la media di 27.077: una differenza notevole di 6.600 spettatori. E’ vero che il tifo laziale, come quello giallorosso, era in sciopero per la divisione delle curve, ma è altrettanto vero che la crescita delle presenze allo stadio dei tifosi laziali è stata maggiore rispetto a quella della Roma, che però cresce soltanto di circa 3900 unità. E’ dunque evidente che i risultati aiutano a coinvolgere il tifo a prescindere dalla congiuntura economica e che il bel campionato della Lazio ne è la dimostrazione.
Il Torino è una squadra che è riuscita a portare allo stadio quasi 30.000 spettatori contro l’Albinoleffe alla prima dell’era Cairo in Serie B lo scorso 10 settembre 2005 e addirittura quasi 60.000 nella finale Play-Off contro il Mantova. Dunque i tifosi il Toro li ha, ma perché non vanno più allo stadio e non riescono a riempire uno stadio di poco più di 27.958 posti? La principale motivazione è che il passaggio dal Delle Alpi al Grande Torino ha diminuito notevolmente i posti delle curve che sono quelli a prezzi più popolari. Infatti entrambe le curve del vecchio Delle Alpi avevano 15.260 posti a sedere ciascuna, quanto basta per superare, se sommate, l’intera capienza dello stadio Grande Torino. Per cui è evidente che tra i tifosi c’è chi vorrebbe assistere ad una gara, ma che una volta esauriti i posti in curva non è disposto a sborsare tanti soldi per un biglietto in tribuna (il discorso vale anche per gli abbonamenti). Quindi il limite maggiore per il Toro è lo stadio. Il Grande Torino, così com’è, non avvicina la gente al Toro. Ma la flessione di oltre 1.200 presenze rispetto all’anno scorso, come si possono giustificare? Si può parlare di ragioni economiche quando si parla di un calo di spettatori nel passaggio dal Delle Alpi al Grande Torino, ma non per un calo nello stesso stadio nel giro di due anni.
E qui entrano in campo le responsabilità societarie. Se Cairo agisse mantenendo i migliori e rinforzando la squadra senza cedere nessuno l’ultimo giorno di mercato, i risultati in campo sarebbero diversi così come sugli spalti. Non è possibile che una squadra come il Toro sia dietro a Bologna, Genoa e Sampdoria con tutto il rispetto per queste tre società. Il tifo del Toro può dare tanto, ma non gli viene concesso dallo stadio e non viene stimolato dalla società.
Ad esempio se Cairo decidesse di cedere Belotti e di investire una parte del ricavato in uno stadio di proprietà – aprendo contestualmente un mutuo da pagare con la politica delle plusvalenze – a quel punto accetterei la politica societaria perché toccherei con mano un effettivo investimento a vantaggio del Toro. Ma se invece ci si accontenta e si spera che come per il Filadelfia arrivi qualcun altro a costruire lo stadio per il Toro (per dare poi un minimo contributo per salvare la faccia) e se si continua con la solita politica delle plusvalenze, il trend negativo della media di spettatori continuerà inesorabilmente a precipitare.
Occorre cambiare rotta, o quanto meno, occorre una seria programmazione che faccia riprendere la crescita del Toro sotto tutti i punti di vista, perché è dalla stagione 2013/2014 che il Toro non cresce più.
Vincenzo Chiarizia, giornalista di fede granata, collabora con diverse testate abruzzesi che trattano il calcio dilettantistico, per le quali scrive e svolge telecronache. Quinto di sei figli maschi (quasi tutti granata), lavora e vive a L’Aquila con una compagna per metà granata
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