columnist

Toro, il secondo deve essere più forte

Roberta Picco
In questi giorni mi è capitato di imbattermi in una storia interessante, per quanto arrivi dall’altra squadra di Torino, ma qui non c’è da far polemica, si parla di qualcosa che va oltre i colori. È la storia...

In questi giorni mi è capitato di imbattermi in una storia interessante, per quanto arrivi dall’altra squadra di Torino, ma qui non c’è da far polemica, si parla di qualcosa che va oltre i colori.   È la storia di Massimo Piloni, storico portiere bianconero degli anni ’70, il secondo del celeberrimo Zoff. Fu il dodicesimo uomo in campo nel vero senso della parola, perché Piloni ebbe appena il tempo di esordire, poi passò quasi l’intero resto della sua carriera in panchina scavalcato da un insostituibile Zoff. Legato alla maglia (inspiegabile questa cosa!) restò comunque seduto nella panchina bianconera per molti anni, guardando le giocate del compagno di squadra, nella speranza, un giorno, di ritagliarsi un altro spazio in campo. Ma questo, praticamente, non avvenne più, fino al trasferimento a Pescara.   Perché mi ha colpito questa storia dell’altra sponda del Po? Perché spiega quanto sia difficile il ruolo del secondo portiere, forse il ruolo più difficile in assoluto. Perché è un ruolo in cui devi essere bravo a stare in panchina, e non è affatto una banalità. Per essere bravo a stare in panchina devi avere comunque una grande tecnica e una grande concentrazione perché da un momento all’altro potresti essere chiamato in campo e devi essere pronto. Ma soprattutto devi avere una grande forza d’animo per resistere agli egoismi e lavorare sodo anche se i risultati non sembrano arrivare, o per lo meno, non si ha la possibilità di dimostrarli. Questa storia mi ha anche colpito, perché la trovo abbastanza attualizzabile alle vicende dei portieri granata, che vedono Padelli come prescelto tra i pali, nonostante ci sia un Lys Gomis, che aspetta da tempo, pronto per esordire. Quello che mi chiedo è: ma è poi proprio vero che deve andare così? È proprio necessario che ci debba sempre essere qualcuno disposto a sacrificare il suo sogno per un “progetto” più grande? Se il prodotto del vivaio granata esordisse è possibile che faccia qualche errore di inesperienza, è vero, ma se nemmeno noi, la squadra che l’ha cresciuto e della quale lui è tifoso dichiarato, gli diamo l’opportunità di farsela un po’ di esperienza, come possiamo pretendere che migliori fino a diventare primo portiere del Toro? È una cosa che non concepisco. Come quando, in questo periodo di crisi, le aziende cercano neolaureati con minimo 3 anni di esperienza alle spalle: come diamine è possibile, dico io? Tornando al calcio, e se poi ci rendessimo conto, troppo tardi, che ci siamo persi un talento promettente, perché rischiare di metterlo in campo era un salto nel vuoto di cui avevamo troppa paura? Siamo il Toro, noi non abbiamo paura, noi vogliamo crederci! Roberta Picco Twitter:@roberta_picco   (foto Dreosti)