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columnist
Eccomi qui, all’esordio in questo campo in cui gli uomini sono in superiorità numerica, è arrivato il momento di mettere scarpini e parastinchi e far sentire di che pasta sono fatte le donne granata. In una casa in cui anche le pareti sono dipinte di granata, sono cresciuta a pane e Toro: come poteva essere diversamente? D’altronde il Toro ce l’hai nel sangue, è una scelta che hai fatto ancora prima di nascere e che non puoi proprio fare a meno di onorare ogni giorno. È più forte di te. Capire il vero significato di questa maglia non è facile, ci sto arrivando un passo alla volta, un’esperienza dopo l’altra. Uno dei più recenti episodi che mi ha avvicinato ancora di più a questa squadra è stato il ritiro estivo a Mondovì: io, monregalese DOC, l’ho seguito attivamente. La cosa che più mi aveva colpito di quei caldissimi giorni d’Agosto, era stato il vedere l’affiatamento e la complicità che c’era tra i giocatori. Lavoravano duramente e seriamente, ma si divertivano anche, tantissimo, come un normale gruppo di amici che si ritrova per una partitella nel campo sotto casa. Sono stati anche molto disponibili con i tifosi, che sono accorsi numerosissimi per vederli. Come posso, a proposito di ciò, non menzionare un tenerissimo momento in cui Capitan Bianchi, salito in macchina dopo un po’ di foto e autografi, si è precipitato fuori dal veicolo alla vista di un bimbo in lacrime, che non era riuscito a scattare una foto con il suo campione. C’era questo bellissimo legame tra giocatori e tifosi. È stato bello perché si vedeva l’essenza del calcio, che prima di tutto è un gioco, non dimentichiamolo. Come diceva il famoso scrittore Jorge Luis Borges: “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio”, ed era proprio quello che ho visto in quei giorni, perché al campo venivano tanti bambini a guardare allenarsi i loro campioni e spesso portavano un pallone e giocavano dietro le reti del campo. È questo che credo debba trasmettere un giocatore del Toro: la voglia di giocare, di divertirsi. Il Toro, per chi indossa questa maglia, non deve essere solo un lavoro, ma anche e soprattutto una passione e i calciatori lo sanno. Giocare nel Toro è diverso dal giocare in un'altra squadra, non c’è nulla da fare. Sarà per l’importante storia che questa squadra ha alle spalle, sarà per una numerosa piazza appassionatissima, ma difficile da conquistare, sarà per altri mille motivi, ma essere un giocatore granata è anche una responsabilità. Non è facile competere con la leggenda degli “Invincibili” che, chi l’ha vissuta, ci ha raccontato e che non ci stancheremo mai di ascoltare, ma questo non deve essere un freno, bensì un onore che sprona a dare il proprio meglio in campo nel ricordo di quel glorioso passato e nella speranza di un futuro altrettanto glorioso, in cui è giusto credere. Lo so, è presto per dirlo e facciamo i dovuti scongiuri, siamo in serie A solo da un anno, ma ci stiamo comportando bene, la squadra sta crescendo nel modo giusto, lo dice il campo, parlano i risultati. Abbiamo visto che, anche dopo uno scivolone come quello contro il Parma, il Toro è stato capace di rialzarsi, contro una delle prime della classe, per di più. È questa la vera forza, sapersi sempre rialzare. Lavorando nel modo giusto, con la testa e soprattutto con il cuore, un passo alla volta, insieme, sbagliando e migliorando, si può arrivare lontano. Spero quindi, di tenervi compagnia, raccontandovi la storia e le vicende del Toro dal punto di vista di una giovane granata che giorno dopo giorno impara ad amare questa maglia. Roberta Picco (foto Dreosti)
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