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Toro-Juve 1999 – Un derby brutto, ma vero
Dopo una bruttissima sfida tra Inter e Milan conclusa con un brutto 0-0, in uno dei servizi più noti di sempre della storia del giornalismo italiano quel gigante mai troppo rimpianto di Beppe Viola coniò il termine “derbycidio” per rimarcare quanto quella partita fosse lontana anni luce dai tempi d’oro del derby della Madonnina. “Quando un appassionato di musica ritorna a casa deluso da un concerto che tanto prometteva, per rifarsi le orecchie sistema sul giradischi un pezzo classico: un espediente, insomma, che provveda ad un immediato riavvicinamento alla cosa amata. Noi, per rispetto dei 70 mila tifosi milanesi, abbiamo avuto più o meno la stessa idea, riaprendo l’album dei ricordi. Proponiamo un pezzo di cineteca, roba buona”. Queste sono le parole che ascoltano gli spettatori della Domenica Sportiva mentre iniziano a scorrere le immagini relative a un derby di qualche anno prima, quello di Mazzola che esordisce nella stracittadina segnando dopo tredici secondi. La stagione di quell’orrendo Inter-Milan è quella in cui il Toro con 50 punti, il miglior attacco, la miglior difesa e il capocannoniere perde lo scudetto. Non è mai successo prima, non è più successo dopo che una squadra con quelle tre dotazioni non si appuntasse al petto il tricolore, ma questa è un’altra storia. Forse.
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Anche a Torino c’è stato un derbycidio negli ultimi anni. Il Toro di Cairo ha progressivamente svuotato di significato una partita che negli anni è stata spesso vibrante, sorprendente, attesa semplicemente bella. Adesso è rimasto solo il fastidio di dover condividere per 90’ il campo con una squadra che non sopportiamo con gli addetti ai lavori che si chiedono in che modo perderanno i granata questa volta e i tifosi che invece dei morsi della tensione di un tempo si ritrovano in pancia un triste e prolungato disgusto. In questi anni con qualche arbitraggio diverso e un pochino più di attenzione nel finale i granata avrebbero potuto avere un ruolino leggermente migliore, ma nella stragrande maggioranza dei casi il Toro ha raramente “giocato da Toro” (cosa vuol dire? Ne parliamo alla fine). Sarebbe troppo facile parlare di un Torino-Juventus famoso e brillante per far impallidire la brutta prestazione di sabato (e non solo). Ne ho voluto pescare uno non spettacolare, duro, col Toro inon certo in buone acque. Un derby brutto, ma comunque un derby. Quello del sette novembre 1999, nona giornata.
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Il Toro del Mondonico-bis è tornato in serie A dopo un triennio, il periodo più lungo al piano di sotto dall’inizio della storia granata, e l’attesa per il derby è febbrile. I granata, seppur in crisi societaria, hanno iniziato il campionato in maniera discreta con due vittorie, quattro pareggi e due sconfitte. Le dolenti note vengono, oltre dall’eliminazione dalla Coppa Italia contro l’Atalanta, dal capitolo assenze: gli infortuni di Silenzi e Pecchia e le squalifiche di Diawara e Coco restringono le possibilità di scelta del “Mondo”. Luca Bucci, reduce da un colpo allo sterno dopo uno scontro con Batistuta, ottiene il via libera a inizio settimana. Fra le note più liete c’è Vincenzo Sommese che è in forma smagliante e a Firenze ha segnato il suo primo gol in serie A. La Maratona polverizza i biglietti lasciati liberi dagli abbonati e anche gli altri settori viaggiano velocemente verso quella che sarà quota 47000, mentre in settimana, nel ritorno di Coppa Uefa fra Levski Sofia e Juventus, gli spettatori non sono arrivati a 3000. A metà settimana Mondonico accende i cuori granata con una delle sue metafore più celebri, quella degli indiani contro i cowboy: “In molti hanno provato a rinchiuderci in una riserva. Ma ogni tanto sappiamo uscire per andare a lottare contro l'America, che nel calcio sarebbe poi la Juve. Siamo indiani liberi, nella nostra storia abbiamo subito tanti massacri, ma siamo sempre riusciti a sopravvivere, a rialzarci. Come noi non c'è nessuno.” Emiliano sa che è difficile, ma non vede il destino della partita segnato: “A patto di non voler sfidare gli uomini bianchi nella sconfinata prateria. Dobbiamo scatenare i guastatori, preparare le imboscate sui terreni a noi più congeniali. Ci mancheranno alcuni guerrieri valorosi, ma sto facendo il giro di tutte le capanne della tribù a reclutare chi ha più voglia di lottare”.
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Uno dei granata più attesi è Gigi Lentini che, dopo la panchina contro la Roma, si è lasciato andare a uno sfogo che gli è costato la fascia da capitano e rilascia ancora qualche dichiarazione pepata durante un’intervista piuttosto velenosa de La Stampa, mentre sembra molto più accomodante quella una colonna più in là ad Alessandro Del Piero che continua il digiuno di reti su azione che chiuderà solo alla penultima nel famigerato Juventus-Parma del gol annullato a Cannavaro. Anche questa non è una novità, anche questo è derby. Le Iene provano a scaldare la vigilia chiedendo fioretti ai protagonisti in caso di successo. Bonomi promette di andare in mutande in piazza San Carlo se dovessimo vincere, ma Mondonico dice no a un ipotetico taglio del baffo (“Perché il derby non deve diventare una barzelletta. Vinci se sei più bravo, punto e basta”) poi promette un Toro a trazione anteriore con insieme Sommese, Ferrante, Ivic e Lentini e quando gli chiedono un pronostico si dice sicuro che non finirà 0-0.
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La domenica sera le squadre entrano in un “Delle Alpi” ribollente e il Toro stravince il derby delle coreografie. I bianconeri che sventolano bandierine vengono annichiliti dalla Maratona che risponde con un’imponente scritta che è concetto chiave, dichiarazioni d’intenti, realtà oggettiva: “Non ce n’è” con caratteri granata su sfondo bianco a prendere tutto il secondo anello della curva, mentre il primo sfoggia il gialloblù colore di Torino. Minuto di silenzio in memoria di Primo Nebiolo e di Romeo Anconetani poi l’arbitro Bazzoli fischia e si parte. Il Toro prova a partire forte e la prima conclusione verso la porta è quella fuorimisura di Sommese prima di pagare un altro dazio alla malasorte con Mendez costretto a uscire all’11’ lasciando il posto a Tricarico. Poco dopo è ancora Sommese ad andare alla conclusione dopo una pregevole combinazione offensiva Ivic-Lentini, ma Van der Sar smanaccia in angolo. Ben presto il terreno del Delle Alpi diventa pantano tattico nel senso più nobile del termine con Mondonico che cosparge l’erba di trappole e la Juventus che non riesce a tirarsi fuori e si adegua al clima caldo dandole e prendendole, dimenticando di dover giocare a pallone. L’unico brivido dei primi 45’ portato dai bianconeri è un colpo di testa di Inzaghi che esce di nulla. Per il resto portieri quasi inoperosi e Bazzoli costretto a fischiare e mostrare cartellini a ritmo sostenuto (a fine gara saranno dieci più due espulsi).
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Nella ripresa la Juventus prova a fare la partita, ma non crea granché se non un altro colpo di testa di Inzaghi ancora fuori di poco su azione d’angolo. Alcune azioni bianconere sono troppo brutte per essere vere fra svirgolate, campanili e attaccanti che si scontrano fra loro. Il Toro fa quello che può cioè lotta, si sacrifica, accetta l’assalto avversario senza rassegnazione ma quasi volendolo e godendone. Bucci non dovrà compiere nessuna parata di rilievo. A 2’ dalla fine Davids interviene in maniera violenta su Asta, in una sorta di prequel del fallo su Antonino che costerà al nostro la possibilità di sognare i mondiali coreani nel 2002, e subisce una sacrosanta seconda ammonizione. I granata vedono uno spiraglio per osare e Lentini, autore di una partita di clamoroso sacrifico da vero uomo squadra, prova a infilare una sgroppata da tempi d’oro sulla fascia sinistra e viene mandato per le terre da Zambrotta. Quando Bazzoli alza il cartellino giallo la panchina bianconera, con Ancelotti in testa, si infuria, ma in realtà è un giallo per simulazione completamente inventato ai danni di Gigi ed essendo il secondo vale un’espulsione. Si torna subito dieci contro dieci e poco dopo verrà sancito lo 0-0 finale. Mondonico sorride: aveva detto che non ci sarebbe stato 0-0, ma bluffava. “Li abbiamo portati sulle nostre colline”.
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Quello appena raccontato è stato un derby brutto, ma un derby vero, sentito. Ricordo la tensione infinita man mano che ci si avvicinava al momento, il sognare a occhi aperti come provare a far gol all’avversario, le scritte nei cessi di Palazzo Nuovo da parte di gobbi e granata che si insultavano a vicenda. Forse non è l’irripetibile derby del 3-2 da far vedere ai giocatori, ma questo che è stato poco memorabile, ma intenso con tutte e due le squadre vogliose di fare risultato e disposte a tutto per farlo. Anche a mangiare l’erba, anche a darsele e se ritorno ad allora penso che prima del match sognavo una volata come quella di Lentini fermata da Zambrotta quale possibile arma per portarci al gol vittoria. Nelle ultime uscite non riesco nemmeno a prefigurare come segnare una rete come se fosse fantascienza, come se avessi smesso di crederci. Non ci ho creduto nemmeno quando Lazaro lo scorso anno si accingeva a incornare a tempo scaduto un pallone che tanti giocatori al suo posto avrebbero messo in rete mentre lui l’ha sparata alta. Ci è stata tolta la voglia di sognare l’impossibile da una gestione con numeri imbarazzanti nelle stracittadine figlia di una squadra dove la società per prima ha reciso il cordone ombelicale sano con la storia e con l’identità senza trasmettere niente a chi porta a spasso la maglia sul campo. E così “giocare da Toro” è diventato qualcosa che non significa più niente, riempito di retorica da chi ci conosce distrattamente e di nulla da chi dovrebbe guidarci.
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Un simbolo di questo non capire niente di noi è Cesare Natali che, dopo l’ennesimo derby perso, in conferenza stampa disse che non capiva cosa volesse dire questo giocare da Toro di cui sentiva sempre parlare dall’ambiente e che se era il picchiare o fare male all’avversario lui non ci stava. No, giocare da Toro non è menare o meglio non solo visto che una certa componente di lotta non viene disdegnata, ma che non sia stupida o fine a se stessa. Giocare dal Toro, soprattutto in un derby, è andare oltre i propri limiti e usare al massimo le armi che si hanno. Come ha ricordato un preciso tweet di Marcello Bonetto, figlio del grande Beppe e spero davvero non ci sia bisogno di ricordare di chi stiamo parlando, c’è stato il Tremendismo del Toro di Giagnoni che ti faceva vincere contro i bianconeri, ma nel biennio 75-77 il Toro era più forte e vinceva per quello, mentre a menare erano gli altri (Benetti docet). Ogni Toro ha dato il massimo con coraggio e sfruttando al meglio le armi a disposizione con quel senso di appartenenza che porta a decuplicare le forze e la classe contro un avversario generalmente più forte. Ci sono gli occhi spiritati di Asta imprendibile per i difensori bianconeri, c’è il tacco di Rizzitelli a lanciare Angloma per un gol decisivo, c’è la lucidità di Junior nel calciare all’ultimo minuto un angolo sul primo palo sulla testa di Serena, ci sono tante componenti. Questo Toro non ne ha nemmeno una. Non è in grado di giocare queste partite credendo che basti fare i soldatini per sfangarla, non è neanche in grado di parlarne come dimostra il vuoto pneumatico della conferenza stampa del cosiddetto capitano Linetty. Ma d’altronde se alla società non interessa far capire certe cose, se si pensa che basti tenere aprire mezza volta il Fila per “caricare” chi farà il compitino di lì a qualche ora dove dobbiamo andare? Einstein diceva che follia è fare la stessa cosa aspettandosi risultati differenti. Dopo vent’anni sarebbe ora di cambiare questa routine sportivamente tragicamente. Soprattutto di cambiare presidente.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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