Ci sono stagioni che non nascono sotto una buona stella, ma che non necessariamente devono finire peggio di quanto ci si aspetti. È l'augurio che tutti noi tifosi granata ci stiamo facendo da quando la squadra ha iniziato quel filotto di sette sconfitte interrotte, per fortuna o per sfortuna è ancora da capire, dallo scoppio della pandemia di covid 19 con il suo corollario di lockdown e blocco totale di ogni attività non essenziali. Che la stagione non fosse di quelle baciate dalla buona stella lo si era capito dall'asfittico mercato estivo e da quel sorteggio maledetto che ci aveva portato in dote la peggior squadra possibile da affrontare nei playoff dei preliminari di Europa League. Fino a gennaio comunque la baracca, tra alti e bassi, sembrava reggere per poi sciogliersi e sfaldarsi completamente con il 2020, come se ad un tratto giocatori e tecnico fossero stati catapultati in una realtà totalmente diversa da quella fin lì affrontata: inadeguati, spaesati, inermi, assenti. La china presa dal Toro, a cui nemmeno l'arrivo di Longo aveva saputo dare una svolta, non preannunciava nulla di buono, ma la pandemia ha congelato la situazione "salvando" provvisoriamente l'ambiente da una catastrofe sportiva e allungandone però ansie ed incertezze di un tempo che ad oggi sembra ancora infinito.
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Toro, l’ombra dei playout e il messaggio della società
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Ora che la ripresa appare più vicina e concreta, a tutti i dubbi su come potrà essere questo nuovo mini campionato di 13 giornate, si aggiunge una nuova potenziale incognita rappresentata dall'introduzione dei playout (dei playoff non parlo perché non ne siamo, ahimè, interessati). Se il campionato una volta ripartito dovesse per qualche motivo tornare a fermarsi, una delle ipotesi paventate per sancire i verdetti della stagione sarebbe quella della disputa dei playout per determinare la terza retrocessa. E allo stato attuale delle cose il Torino ne sarebbe coinvolto.
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Da inguaribile otttimista, cerco di focalizzarmi sul pensiero che essendo simili per tutte le squadre le difficoltà oggettive di scarsa condizione psico-fisica venendo da tre mesi di quasi totale inattività, mi immagino che i valori alla ripresa delle partite ufficiali possano in un certo senso essersi riappiattiti e pertanto la classifica precedente alla sospensione essere bugiarda (nel bene e nel male…).
Se guardassi, invece, alla cabala e ad una certa storica attitudine del Torino a ergersi protagonista negativo di certe beffe del destino, i playout mi spaventerebbero ancor di più di quanto già mi spaventa la semplice ripresa e normale conclusione delle ultime tredici giornate di questo campionato.
L'arrivo di Vagnati (al di là di ciò che penso su Bava e gli annessi risvolti della vicenda che lo hanno coinvolto) credo sia un segnale forte della società ai giocatori con i quali in stagione non c'è stata grande sintonia. Vagnati non ha la bacchetta magica e non può con l'imposizione delle mani far tornare a rendere al 101% questa rosa, ma la sua nomina è un inequivocabile messaggio che la società ha inviato ai calciatori: un nuovo progetto è nato, con voi o senza (alcuni) di voi. Chi si tirerà indietro verrà lasciato da parte e diventerà responsabile principale agli occhi dei tifosi di un eventuale fallimento. Il messaggio avrà una sua presa sullo spogliatoio? Ai posteri l'ardua sentenza, sperando di non dover passare anche dalle forche caudine dei playout in questa stagione in cui di cose strane e storte ne abbiamo già viste abbastanza.
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finchè non è finita.
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