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columnist
L'era Ventura ha lasciato in eredità un lessico caratteristico fatto di alcune parole chiave che hanno segnato l'immaginario dei tifosi granata negli ultimi cinque anni. Crescita, conoscenze, cellula granata, Cittadella, Bilbao sono solo alcune di queste ma la più importante, quella più cara alla proprietà, è diventata il faro delle strategie del Toro: plusvalenza. Non c'è discussione sul mercato del Torino che non verta in tutto o in parte sul famigerato risvolto economico del guadagno ipotetico di una futura cessione.
Intendiamoci. Per la struttura attuale della divisione delle risorse derivanti dai diritti televisivi della serie A, una delle poche strade percorribili dai club con fatturati modesti come il Torino per sopravvivere dignitosamente è proprio quella di realizzare plusvalenze sulle cessioni dei propri calciatori.
Un modello "sposato" dal Toro che così facendo ha iniziato ad ottenere grossi introiti da giocatori con ottime potenzialità comprati a poco e rivenduti a molto. Di sicuro se oggi il club di Cairo può vantare lo scudetto del bilancio, ciò è dovuto in gran parte a due fattori: la prolungata permanenza in serie A dopo i troppi anni di B e le corpose plusvalenze derivate dalle cessioni eccellenti delle ultime stagioni (Ogbonna, Cerci, Immobile, Darmian, Glik).
In generale, pur apprezzando, come ho già detto, la necessaria politica dell’autofinanziamento, non mi trovo d'accordo in toto con chi vede nella plusvalenza l'unica soluzione possibile. Per due motivi: in primis perché mi piacerebbe che il progetto Toro arrivasse a prevedere un giorno la possibilità che un calciatore che si afferma all'attenzione generale con la nostra maglia non senta poi il bisogno di salpare immediatamente verso altri lidi e in secondo luogo perché affinché possano comunque generarsi plusvalenze ritengo che i risultati sportivi generali del club non possano scendere sotto un certo livello.
Questa seconda condizione in particolare significa che per trarre il massimo da una cessione il club deve partire da un punto di forza e questo avviene se si raggiungono risultati sportivi di rilievo. Se Maksimovic gioca per due anni di seguito l'Europa League nel Toro verrà venduto sicuramente ad una cifra superiore a quella che si spunterebbe se giocasse in un Toro che si salva a stento. Quindi perché il circolo rimanga virtuoso è necessario che i risultati restino molto buoni e per avere più chance che così sia è necessario avere in rosa anche giocatori pronti e validi sui quali magari non si faranno plusvalenze ma sul cui rendimento non ci sono dubbi. Per capirci è ovvio che un Valdifiori di 30 anni non è un calciatore sul quale puoi sperare di fare una plusvalenza, ma se arriva per coprire il ruolo di playmaker - tassello invocato anche dal tecnico Mihajlovic -, allora è da prendere sebbene De Laurentis non lo regali affatto.
Faccio notare che parte del problema della stagione passata risiedeva nello squilibrio della rosa che era sì equamente divisa tra over 31 e under 26, ma quasi totalmente priva di giocatori della fascia 27-30, quelli cioè nel pieno della propria carriera. Investire, come fatto l'anno passato su ottimi profili ancora privi però della necessaria esperienza per esprimersi al massimo delle proprie possibilità è stato importante e utile, ma non può far prescindere dalla necessità di avere in rosa anche veterani di sicuro affidamento (e questi al Toro non mancano!) e di un certo numero di giocatori, nei ruoli chiave, già al top della propria carriera (e questi sono ancora troppo pochi)
Ben vengano, quindi, i Kucka, i Valdifiori o i Soriano - ormai a quanto pare diretto verso altri e più dorati lidi - seppur le loro valutazioni appaiano come investimenti a fondo perduto, perché il loro apporto in termini di rendimento e di capacità non può che giovare ad una squadra che, stando alle parole del suo allenatore, proverà comunque già quest'anno a lottare per l'Europa League e si impegnerà a centrare il traguardo entro la prossima stagione.
La ricetta per il successo difficilmente comporta un solo ingrediente: puntare tutto sulle plusvalenze alla Lukic, per fare un nome fresco, è un azzardo che, nel lungo periodo, si potrebbe pagare caro. Giusto, se non necessario come spiegato all'inizio, continuare a farle. Ma a queste occorrerà ben presto affiancare investimenti di spicco: tre giocatori alla Belotti e Ljajic in ogni sessione di mercato, per intenderci. Piccoli campioni, pronti a dare il meglio: tanti soldi, ma spesi bene.
In questo modo, - magari! - un giorno si potrebbe diventare la risposta italiana al Porto: che vive di successi sportivi e di plusvalenze stellari. Un sogno non per forza impossibile che metterebbe tutti d'accordo...
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