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Toro, operazione “mentalità vincente” ancora in corso

Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 
Il Granata della Porta Accanto / Mihajlovic sta lavorando duramente sull'autostima della squadra, i tifosi dovrebbero farlo su certi atteggiamenti "provinciali"

Ok, non si è vinto ad Udine pur avendo per sessanta minuti la partita in pugno. Ok, l'abbiamo raddrizzata con un'invenzione di Ljajic ed abbiamo rischiato di riperderla nel recupero concedendo due clamorosi e sanguinosi contropiedi. Ok, la classifica è cortissima ed oscilliamo tra le stelle e le stalle (più le prime che le seconde per ora). Ok, abbiamo un attacco da Champions ed una difesa da salvezza e saremmo da scudetto se le partite durassero quarantacinque minuti come nei trofei estivi delle birre. Ok, tutte queste cose, però... Però occorrerebbe valutare la stagione di questo Toro alla luce della completa discontinuità tecnica con gli ultimi tre anni della gestione precedente. E non è il solito trito discorso/diatriba tra i fans di Ventura e quelli di Mihajlovic. La questione è chiaramente di più ampio respiro.

In sostanza quello che mi pare evidente è che il Torino negli ultimi vent'anni è diventato suo malgrado una squadra "provinciale", completamente disabituata al calcio di un certo livello. E i suoi tifosi altrettanto. Esisteva un bellissimo slogan di inizio anni Novanta che sintetizzava l'orgoglio di questo club, abituato a cadere ma sempre capace di rialzarsi e riconquistarsi quel ruolo di primo piano che con fatica ha sempre occupato durante tutta la sua storia: da Madrid fino a Licata fieri di essere granata. Il Toro non ha mai accampato nessun diritto divino per soggiornare nell'olimpo del calcio italiano, ma ha sempre lottato per stare in alto quando poteva e per tornare a starci quando ciò non gli era stato possibile. Nella massima umiltà, ma sempre nel rispetto dei propri valori. Gli ultimi vent'anni hanno minato le certezze di più di cent'anni di storia granata e con esse quelle dei suoi tifosi troppo spesso annichiliti da chi ama ed ha amato sbandierare i fantasmi più dolorosi, dal fallimento a Cittadella. Quello che sta facendo Mihajlovic è, a mio avviso, un'operazione non solo tecnica ma di rivoluzione della mentalità a 360 gradi: il mister, in una sorta di terapia d'urto, sta cercando di far entrare sotto pelle la convinzione che il Toro può tornare ad essere quello che si è guadagnato nel suo primo secolo di storia calcistica e cioè un club di prima fascia che guarda in faccia "inter pares" le altre big del campionato. Il che non vuol dire vincere sempre con tutti, ma giocarsela ad armi (quasi) pari con tutte le storiche rivali della parte sinistra della classifica (Juve compresa). Mission impossible? Difficile, sicuramente. Ma non impossibile. Innanzitutto perché il solo pensarlo sarebbe una contraddizione in termini, secondo perché il momento storico del calcio italiano apre gli spazi per emergere (vedi Sassuolo, Chievo o Atalanta) o riemergere (il Toro e forse Bologna e Cagliari) a chi è capace di gestire meglio e virtuosamente il connubio fra l'aspetto tecnico e quello economico.

Mihajlovic prova a vincere tutte le partite, anche quelle dove saggiamente potrebbe tirare i remi in barca, perché ha bisogno che il più in fretta possibile giocatori ed ambiente si settino sull'idea che è di nuovo "normale" respirare l'aria di alta classifica, che non bisogna esserne intimoriti né pensare che sia qualcosa che non ci meritiamo o che non possiamo gestire. E' l'idea che sull'1-0 per noi nella testa di giocatori e tifosi sia presente la voglia e la convinzione di andare sul 2-0 piuttosto che la paura o il timore di ritrovarsi sull'1-1. Poi chiaro che non sempre si potranno vincere tutte le partite né si potrà ottenere il massimo da ogni situazione. Quel che è certo è che ci saranno più possibilità se ad una crescita tecnica, che in effetti sta avvenendo, si accompagna una crescita mentale e di convinzione che spesso è il vero motore del raggiungimento dei propri obbiettivi.

Anche i tifosi sono chiamati a fare la propria parte: basta con certi atteggiamenti supponenti da nobile decaduta (ad esempio snobbando il Sassuolo perché non ha la nostra storia salvo poi constatare sulla nostra pelle con dolorose sconfitte che è una realtà solida e rispettabile del nostro calcio) o da provinciale sfigata credendo che le peggiori sciagure calcistiche colpiscano solo noi. E poi mostrare un attitudine più positiva verso i nostri ragazzi senza fare le pulci ad Hart che non esce sulle palle alte o a Castan perché non si sa se tornerà il campione di un tempo. Criticare è un sacrosanto diritto di ogni tifoso, ma il tifoso del Toro deve tornare a fare il tifoso del Toro, cioè recuperare quella sua peculiarità che da sempre lo ha contraddistinto dalla maggior parte delle altre tifoserie: nessuno ci farà fallire, nessuno ci riporterà a Cittadella, un giorno probabilmente torneremo ad Amsterdam. Mihajlovic è arrivato da pochi mesi eppure ce lo ha già chiaro in testa: possibile che noi, qui da sempre, non riusciamo a capirlo?