Se uno pensa che nell’era dei due punti con i campionati a 16 squadre il Toro è riuscito a non vincere uno scudetto facendone 50 su 60, non stupisce che il miglior girone d’andata dei granata (da quando esistono i tre punti) coincida con una posizione di classifica buona, ma non buonissima. L’ennesimo paradosso della storia granata (quante squadre hanno perso una Coppa Uefa senza perdere le finali?) ha riportato d’attualità il dibattito sull’iniquità del sistema calcio italiano (ed europeo in genere) di cui l’attuale Coppa Italia è l’emblema. Per carità, vincere un trofeo non può essere una passeggiata di salute, ma nemmeno un’impresa che al confronto lo scudetto del Leicester appare come la vittoria nel trofeo Birra Moretti. Vincere tutte le partite giocandole in trasferta sul campo della squadra più forte è un’assurdità che non si vedeva dai tempi di leoni contro cristiani al Colosseo. E infatti siamo puntualmente usciti al primo grosso ostacolo.
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Toro, quando il meglio non basta
In campionato, poi, per quanto si cerchi di migliorare il valore della rosa comprando giocatore più “cari” e alzando progressivamente il tetto salariale, sembra comunque che non si riesca ad inserirsi nel "gruppone" con Milan, Inter, Napoli, Roma, Lazio e Fiorentina. Se poi ci aggiungiamo la classica sorpresa che ogni anno varia (quest’anno è l’Atalanta, in passato abbiamo visto exploit di Genoa, Samp, Udinese e addirittura Chievo), entrare nei fatidici primi sei posti è davvero difficile.
In questo contesto non certo roseo per le ambizioni di gloria dei tifosi, ci sono però alcuni fattori potenzialmente positivi da tenere in conto: ad esempio la solidità economica del club unita ad una politica sportiva stabile capace di valorizzare il patrimonio di calciatori a disposizione non può che essere nel medio/lungo periodo una spinta alla crescita anche dei risultati sportivi. Oppure lo sviluppo di una
struttura sportiva più omogenea per prima squadra e giovanili (Filadelfia e Robaldo) unita alle Academy e ad un lavoro più capillare di scouting possono garantire il rifiorire dei prodotti del vivaio che in effetti negli ultimi anni sembra ritornato a “produrre” calciatori di buon livello (Barreca, Parigini, Aramu, etc.).
Ovvio che questi fatti da soli non garantiscano niente di più di ciò che attualmente siamo: una società medio piccola (visto che pare che i fatturati contino…) con una gloriosa storia alle spalle ed un dignitoso futuro davanti (autofinanziamento e media classifica). Il che è di gran lunga meglio di ciò da cui ci ha pescato Urbano Cairo (fallimento), ma è un po' meno di quello a cui eravamo abituati prima di finire in quello stato. È chiaro pertanto che solo il nostro Presidente, ormai diventato imprenditore di grandissimo successo a livello nazionale, abbia le chiavi per provare a modificare il nostro destino. Profetizzando che entrerà nella storia del Toro come il più longevo proprietario, mi chiedo se davvero questo voglia essere l'unico motivo per cui vorrà essere ricordato dalle generazioni future…
Nel più breve termine non so nemmeno se il mercato di gennaio possa essere davvero decisivo per le sorti della squadra. In un campionato che batterà il record della quota salvezza più bassa di sempre (la proiezione ad oggi direbbe una ventina di punti), al contrario, ci potrebbe essere la quota Uefa più alta di sempre. Vale la pena pertanto investire massicciamente sugli acquisti della sessione di riparazione? L'istinto mi suggerirebbe di si, perché è importante non perdere l'effetto volano dell'entusiasmo portato dall'arrivo di Mihajlović e poi perché un girone di ritorno in scia del treno europeo galvanizzerebbe i tifosi e sarebbe linfa vitale per presentarsi ai blocchi di partenza della prossima stagione con la situazione ideale per raggiungere gli obbiettivi prefissati. Dall'altro canto, forse, se questa diventasse una stagione di transizione, l'allenatore potrebbe lavorare su alcuni giovani importanti (Barreca, Boyè) per portarli al top in vista della prossima, decisiva, stagione.
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