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columnist
Se il tifoso doc Gramellini poco tempo fa auspicava l’esistenza di un Acquelli, cioè di un giocatore con la grinta e il fisico di Acquah e i piedi di Baselli, leggendo le dichiarazioni rilasciate alla stampa in questi giorni da Nicola Maksimovic e Pontus Jansson, non posso che a mia volta sognare l’esistenza di uno Janssimovic, cioè di un giocatore con la tecnica di Maksimovic e la testa e il cuore di Jansson! Il serbo ad un giornale del suo Paese ha svelato il segreto di Pulcinella sulla sua vicenda, e cioè che voleva andarsene al Napoli già dall’anno scorso e si è ammutinato perché non assecondato in ciò dalla società nonostante reiterate e presunte promesse da parte del presidente Cairo. Il gigante svedese, invece, ad un portale sportivo scandinavo, ha commentato la delusione per essere stato escluso dal progetto tecnico del Torino, nel quale, evidentemente, credeva molto e anelava far parte. Storie vecchie, direte voi. Certo, ma storie che dovrebbero far riflettere su due aspetti: da un lato che, al contrario delle cassandre che ne hanno già predetto l’estinzione, per fortuna, esistono calciatori come Jansson, seri professionisti che non esitano a mettere anche un po’ di cuore in quello che fanno e ad affezionarsi all’ambiente e alla maglia con cui giocano, dall’altro che, purtroppo, allo stato attuale delle cose, i calciatori veramente forti transitati dalle nostre parti non hanno mai dimostrato neanche lontanamente di prendere in considerazione un atteggiamento simile a quello di Jansson.
Pur consapevole di aver scoperto l’acqua calda, non nego invece che sentire un Jansson quasi stizzito per aver perso la maglia granata mi ha riempito di orgoglio così come tracimo indignazione per il comportamento veramente irrispettoso di Maksimovic. E non liquiderei nemmeno troppo semplicisticamente l’intera faccenda con la spiegazione banale che uno era forte e l’altro era scarso per cui è facile comprenderne il loro differente e diametralmente opposto comportamento. Io credo che invece sia necessario da queste storie prendere spunto per tracciare una strada che porti un giorno il Maksimovic di turno a fare dichiarazioni del tono di quelle dello Jansson di turno. Ovvio che tutto questo sia solo ed esclusivamente nelle mani di Cairo perché di fatto implica una crescita nelle ambizioni sportive del club Torino FC. Che poi ribaltando l’ottica è la stessa situazione che porterebbe un giovane cresciuto nel vivaio ad ambire di restare a giocare con la maglia che ha indossato sin da bambino o a desiderare di cercare altre e più prestigiose destinazioni. Tutti noi siamo felici dell’attuale esplosione di Barreca (e di Boyè sebbene sia differente l’origine calcistica dei due), ma se al momento il terzino è strafelice di giocare nella squadra dove è cresciuto ed in cui sognava di giocare, il prossimo step sarà, confermato il suo valore, essere sufficientemente attrattivi per ambizioni e livello da permettergli di starci a lungo con quella maglia addosso.
Mihajlovic ci ricordava di non smettere mai di sognare, ma per farlo spesso è necessario almeno gettare le basi per creare le condizioni affinché il sogno non sia mera utopia. Tradotto significa fare quei piccoli passi che permettano al Toro di stabilizzarsi nell’alta serie A con vista sull’Europa: tecnico ambizioso (e qui ci siamo!), ritocco a salire del monte ingaggi, mercati bilanciati tra scommesse e giocatori pronti, strategie di marketing più aggressive, lenta ma continua patrimonializzazione del club (Robaldo e Fila, sono un’idea, ma occorrerebbe rompere gli indugi su molti altri aspetti…). Certo, non si potrà ottenere tutto e subito, ma c’è il dovere di provare a trasformare sul campo i Jansson in Maksimovic e fuori dal campo i Maksimovic in Jansson. Oppure trovare undici Belotti e blindarli a vita!
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