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columnist
C'era una volta il calcio un po' ruspante degli Anni Ottanta dove presidenti pittoreschi, meno manager ma più tifosi, (ad esempio Massimino del Catania) si permettevano il "lusso" di pretendere di comprare al calciomercato l'amalgama tanto invocata dal proprio allenatore. Oggi che il calcio è un mix tra scienza e business e i presidenti sono magnati dell'editoria, ma di tasca propria spendono meno di Rozzi o Anconetani, alla fine le dinamiche delle squadre non sono poi cambiate più di tanto.
Ne è un esempio l'avvio di stagione del Torino di Mihajlovic che, arrivando da una rivoluzione tecnico tattica non indifferente rispetto al quinquennio venturiano, in queste prime partite, com'era prevedibile, ha mostrato il meglio e il peggio di ciò che potrà offrire ai suoi tifosi. Difesa e attacco cambiati per più del cinquanta per cento degli interpreti e regista di centrocampo nuovo di zecca hanno confermato che ci vorrà parecchio rodaggio prima di trovare la quadra ed una certa continuità di rendimento. E se Mihajlovic non si lamenta dell'assenza di amalgama, (ma di certo non è felice di quella di Belotti e Ljiaic) ecco che, al di là degli errori dei singoli e delle carenze del mercato in entrata, la nota stonata attuale del Torino sembra essere una scarsa sintonia tra la mentalità di tecnico e staff e il resto dell’ambiente granata. Attenzione, con questo non voglio dire che Mihajlovic sia un corpo estraneo in seno alla società, alla squadra o ai tifosi.
Tutt'altro. Quello che ravviso è un allineamento ancora lontano dal vedersi tra l'atteggiamento imposto dal credo del tecnico e quello mostrato dalla squadra, dalla dirigenza per come si è mossa sul mercato e anche da una parte della tifoseria. La famosa e tanto abusata espressione "mentalità vincente" non consiste semplicemente nel vincere sempre, ma nel porsi nei confronti della competizione con uno spirito ed una convinzione tali da percepire come naturale l'esigenza di puntare sempre all'obbiettivo più ambizioso. E al Toro la mentalità vincente è ben lungi dall’essere un tratto caratteristico. Un esempio di ciò che voglio dire è avvenuto in una delle conferenze stampa pre partita in cui oltre all'allenatore serbo erano presenti anche Moretti e Vives. Il centrocampista napoletano, ad una domanda sugli obbiettivi della squadra, parla di salvezza e subito viene interrotto da Mihajlovic che si affretta a precisare di non essere venuto al Toro per puntare alla salvezza.
Un episodio che la dice lunga sulla diversa lunghezza d'onda tra chi c'era prima (Vives) e chi è arrivato dopo (Mihajlovic). A mio avviso tra l'altro il tecnico serbo sta calcando volutamente la mano sull'atteggiamento spregiudicatamente offensivo di queste prime partite: non ritengo che la scelta di schierare quattro punte sul risultato di pareggio nelle trasferte di Bergamo e Milano sia da imputare ad un ingenuo suicidio tattico quanto ad un rischio grosso ma ben calcolato teso a lanciare un messaggio chiaro a squadra ed ambiente: "Quest'anno si cambia mentalità, si gioca con un altro obbiettivo in testa, quello di volersi imporre". Chiaro che far cambiare mentalità è un processo lungo e difficile perché necessita di sradicare convinzioni sedimentate da anni. E non vale solo per i giocatori.
Anche noi tifosi siamo disabituati a vedere la squadra decisa ed arrembante. Mihajlovic ha voluto, come nelle sue corde, provare un approccio d'urto e, furbescamente, si è preso rischi spropositati in queste prime giornate dove i risultati sono un pochino meno impattanti sull'economia del campionato. Col Bologna gli è andata bene, a Bergamo e Milano un po’ meno. Ora ci sarà da capire in quanto tempo questa metamorfosi collettiva da Calimero un po' sfigato a cavaliere senza paura e senza macchia avverrà. Che possa non accadere è un'ipotesi che non voglio nemmeno prendere in considerazione perché anch’io, nel mio piccolo, voglio dimostrare che sto già cercando di cambiare mentalità ed avvicinarmi a quella vincente proposta dal mister…
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