columnist

Toro, quanto ti avrebbero cambiato i “se” e i “quasi”?

Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 
Il Granata della Porta Accanto / La storia del club granata è costellata di eventi che se avessero avuto un esito diverso forse non avrebbero fatto diventare il Torino così “Toro”...

Cade domani l'anniversario della storica finale di Coppa Uefa contro l'Ajax: venticinque anni fa con una squadra stellare “quasi” vincevamo il primo trofeo internazionale, un traguardo che né il Toro degli Anni Settanta, né il Grande Torino (per mancanza di competizioni internazionali per club) erano riusciti a centrare. E che purtroppo nemmeno il Toro di Mondonico portò a casa complici i famosi tre legni, un rigore solare non dato ed una formula che ovviamente vide l'unico caso nella storia delle coppe di finale persa senza perdere (la Uefa era l'unica coppa con finale di andata e ritorno e in caso di parità si andava ai rigori, ma fu quella l'unica occasione in cui bastò la regola dei gol fuori casa che valevano doppio...).

Quante volte ci siamo chiesti cosa sarebbe successo se Cravero avesse avuto il rigore e lo avesse realizzato? O se la semirovesciata di Sordo si fosse indirizzata sotto la traversa invece di stamparvici sopra? La conseguenza più lampante ed immediata è che Il Toro avrebbe un trofeo in più in bacheca. Lapalissiano. E che noi tifosi all'epoca ci saremmo risparmiati l'ennesima beffa. Giusto. In realtà però, pensandoci bene, se il Toro avesse vinto quella coppa sarebbe stata una squadra un po' più normale. Per dire, dall'88/89 al 94/95 tutte le edizioni della Coppa Uefa furono vinte da una squadra italiana. Tutte tranne quella del '91/'92. Ecco, la statistica a volte sa sottolineare meglio di mille parole il senso di un paradosso. Il Toro non ha vinto la sua bella Coppa Uefa come Juve, Napoli, Parma o Inter in quell'epoca, no. Il Toro ha creato una leggenda da una banalissima finale di quella che era la terza coppa europea per importanza. La sedia di Mondonico, i pali di Amsterdam, la sconfitta senza sconfitta, decenni ad intonare il coro “Torneremo, torneremo, tornermo ad Amsterdam”. E dopo venticinque anni la maggior parte di quei giocatori, da Lentini a Scifo, da Casagrande a Martin Vasquez, a Bruno/Annoni/Policano, sono degli eroi, dei miti. Nessuna tifoseria sa cementarsi così tanto creando i suoi miti anche e, oserei dire, soprattutto, dagli episodi nefasti. Episodi che però acquistano immediatamente lo status di “mito” perchè estremamente intrisi di essenza granata.

La squadra più forte di tutti i tempi perisce in un incidente aereo al rientro da un'amichevole, Meroni, genio del football e non solo, muore travolto da un auto durante la stagione della sua consacrazione a stella assoluta, Ferrini, recordman di presenze in maglia granata, si ritira dal calcio giocato e l'anno dopo il Toro vince uno scudetto che nessuno più di lui avrebbe meritato di vedersi cucito sul petto. La storia del club è costellata di episodi che vanno da quelli che ho citato, molto eclatanti, ad altri più piccoli, ma ugualmente beffardi, in cui il destino, la sorte, gli eventi o dategli il nome che vi pare, hanno di fatto inciso in maniera più che determinante. Ma al tempo stesso questi eventi hanno fatto sì che il Toro non fosse mai, purtroppo o per fortuna, una squadra ed un club come gli altri.

Ma qual è stato o qual è il prezzo da pagare per questa incredibile unicità? Beh, sicuramente uno dei prezzi più salati è quello di dover fare i conti con il periodo dell'ipotetico: cosa sarebbe successo se quell'aereo non si fosse schiantato su Superga? O se Meroni avesse attraversato la strada in un altro punto o in un altro momento? O se Dorigo avesse segnato invece di prendere il palo nello spareggio di Reggio Emilia? O se Sordo fosse diventato l'eroe di Amsterdam? O se Fattori avesse pareggiato quel derby finito in 8? Probabilmente la storia del Torino oggi sarebbe radicalmente diversa: più ricca di successi, ma più povera di mitologia. I trofei sono importanti, ma le ferite sono medaglie indelebili che non invecchiano mai e vengono ancora meno dimenticate.

La parabola sportiva del Torino è molto più simile a quella della vita di una persona normale: un po' di successi, tanta fatica, molte ferite e valori solidi coi quali vivere e sui quali aggrapparsi nei momenti di difficoltà. E alla fine quei “se” e quei “quasi” di cui è piena la storia granata più che un rimpianto sottolineano un'identità. Che non baratterei con nessun trofeo al mondo...

Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finchè non è finita.