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Toro, sarà la primavera della Primavera?

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Lunedì prossimo comincia il Torneo di Viareggio e mai come quest'anno la Primavera granata ha le carte in regola per poter puntare a riportare a casa quella Coppa Carnevale che manca ormai da quindici anni nella bacheca granata. Tutti...
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

Lunedì prossimo comincia il Torneo di Viareggio e mai come quest'anno la Primavera granata ha le carte in regola per poter puntare a riportare a casa quella Coppa Carnevale che manca ormai da quindici anni nella bacheca granata. Tutti tiferemo per i nostri ragazzi perchè, diciamoci la verità, tornare a vincere qualcosa anche solo nel settore giovanile sarebbe un'iniezione di fiducia e di orgoglio, nonché un riappropriarsi del fregio di vivaio più titolato d'Italia. Certo l'efficacia di un settore giovanile non si misura dai campionati o dalle coppe vinte: quello che conta è più che altro il numero dei ragazzi che riescono ad entrare nel calcio professionistico e i campioni di valore assoluto che vengono "sfornati". Però ambire a qualche successo in campo giovanile significa anche certificare la sostanza del grande lavoro fatto oltre ad essere uno spot non indifferente per attrarre i calciatori in erba da inserire nel nostro vivaio.

E' indubbio che ad oggi sembra finalmente esserci stata un'inversione di tendenza nella gestione globale dell'intero settore giovanile del Torino Fc. Pur lontani dall'eccellenza organizzativa che fino a vent'anni fa ci contraddistingueva nel panorama nazionale ed europeo, pare proprio che Cairo abbia deciso di dirottare concretamente sulla Primavera qualche risorsa in più, sia a livello economico sia a livello di attenzione nello scouting e nelle figure ad esso preposte. Non starò qui a sindacare sull'entità economica globale degli investimenti che il Presidente fa per il settore giovanile, né mi addentrerò in giudizi sull'efficacia e sull'opportunità di tali investimenti. So che il dibattito è vivo tra chi apprezza "il nuovo corso" (di cui in effetti pare esserci un canovaccio reale) e chi invece giudica ancora largamente insufficiente tanto lo sforzo quanto la volontà presidenziale.

 

Ciò che più mi interessa, invece, è capire se la cosiddetta "politica dei giovani" intrapresa dal club di Cairo abbia un fine tecnico-sportivo o un fine più meramente economico. La differenza tra i due obbiettivi è, a mio modo di vedere, sostanziale e non può rimanere indifferente agli occhi di noi tifosi. Un conto è infatti costruire un vivaio forte per immettere uno o più giocatori all'anno in orbita prima squadra e creare nel tempo un'ossatura tecnica della stessa che abbia un dna definito ed una mentalità di club profonda e coesa (come fa il Barcellona, per capirci). Un conto è invece costruire una rete di osservatori abili a scovare potenziali talenti in divenire, usare le giovanili o anche la prima squadra come filtro di scrematura dei migliori e poi rivendere questi ultimi sistematicamente ottenendo delle profumate plusvalenze (come fa l'Udinese).

 

Le due tipologie hanno dei tratti comuni, chiaramente, ma differiscono "ideologicamente" in maniera netta e decisa. Per la storia del Torino ed i valori che questa maglia rappresenta oserei dire che le intenzioni di tutte le dirigenze passate hanno sempre ambito a sviluppare il primo modello anche se poi, all'atto pratico, spesso per motivi di bilancio e di ambizioni calcistiche, hanno ripiegato sul secondo vendendo quasi sempre i pezzi più pregiati. Il vivaio del Toro pur essendo stato fucina di grandi calciatori e, periodicamente, serbatoio per la rosa della serie A, non è mai stato in verità l'elemento determinante nella composizione dei titolari della prima squadra. Nell'ultima trentina d'anni, infatti, forse solo nella stagione '81-'82 e, ironia della sorte, nell'estate del fallimento cimminelliano, più della metà dei titolari erano in effetti prodotto del vivaio granata. E tralasciando le stagioni in cui nemmeno un giocatore veniva dalle nostre giovanili, quasi sempre solo uno o massimo due elementi (Cravero e Lentini nel Toro di Amsterdam, per esempio) erano nell'undici titolare.

 

E' dunque una chimera pensare alla Primavera come vera linfa del Toro? Dalle dichiarazioni di Petrachi alla presentazione di Menga, temo che l'obbiettivo di più breve termine sia quello delle famigerate (ma per le società benedette...) plusvalenze più che quello di creare un disegno progettuale con dei fini strettamente tecnico-sportivi. Il ragionamento ci può stare se ci si accontenta di "non perdere il treno", cioè di evitare di rischiare di rimanere troppo indietro in quella che, inaugurata dall'Udinese anni fa, sembra essere la moda del momento: scovare lo sconosciuto e farlo diventare la gallina dalle uova d'oro. Per la visione più romantica e più anacronistica (forse) di Toro che ho, mi piacerebbe invece che al posto del Milan, fosse stato il Torino FC ad intraprendere quel progetto presentato alla stampa pochi giorni fa di integrazione fra la Prima Squadra e tutte le squadre del settore giovanile (Allegri "capo allenatore" e tutte le squadre giovanili che praticano un modulo comune oltre a tecniche di allenamento il più omogenee possibile).

 

Può darsi che Ventura non sia l'allenatore più indicato per un progetto di così ampio respiro, può darsi che le risorse economiche per attuarlo non siano alla portata di Cairo, può darsi che storicamente valga il detto "nemo propheta in patria" per cui non funzionerebbe un Toro fatto in gran parte di giocatori effettivamente cresciuti nel vivaio, ma non mi arrendo all'idea che oltre al Filadelfia inteso come stadio fisico, si pensi un giorno anche a ricostruire il Filadelfia inteso come cultura sportiva comune a tifosi e giocatori.

 

Alessandro Costantino

Twitter: AleCostantino74

(foto Campo)

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