Scrivo questa lettera dopo aver pianto per l’ennesima volta sulle note di “Quel giorno di pioggia”. Dall’altra parte del mondo. Da solo. Mi chiamo Tommaso, ho diciassette anni e la verità è che niente mi emoziona come il Toro. Sono stato cresciuto da una famiglia granata da quattro generazioni, andando allo stadio ogni domenica, con mio papà e mio nonno. Abbiamo tutti e tre in comune la precocità del tifo, infatti siamo stati tutti portati allo stadio (uno al Filadelfia, uno al Comunale e io al Delle Alpi) quando ancora non avevamo imparato bene a parlare.

Quest’anno sono lontano dai ragazzi, sono a Filadelfia (proprio lei) per studiare e non so se mi manchi più la mia famiglia o la mia famiglia granata. Qualcuno mi ha detto: “Nel 2018 non ti perdi nulla, puoi guardarti tutte le partite tranquillamente.” E invece mi perdo un sacco di cose: le urla di Venneri, le nostre urla, il battito di mani a ritmo durante l’inno, l’adrenalina del derby, la gioia condivisa dopo un goal.
Tuttavia dall’altra parte dell’oceano ci sarà un ragazzo biondo con la sua maglia del Torino che non riesce a respirare per la tensione pre-partita, che gioirà e soffrirà con voi e che urlerà, per la prima volta da solo, il nome del Gallo dopo i suoi goal e soprattutto: “Forza Toro”.
Grazie papà, grazie nonno: il Toro è stato il regalo migliore che poteste farmi.
Tommaso Capra
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