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columnist
Non c'è fine alle montagne russe su cui viaggia il Toro da parecchi anni: si sale su lentamente assaporando l'ebbrezza dell'alta classifica e si scende giù velocemente per far ritorno nel gruppone dei “wannabe”, come direbbero gli americani, cioè tra coloro che vorrebbero essere qualcuno ma alla fine per demeriti propri non sono nessuno. Qualcuno dice che non potevamo sperare di vincere tutte le partite, ed è verissimo. Ma questa striscia di tre vittorie consecutive era veramente alla nostra portata e ci avrebbe lanciato verso orizzonti quasi proibiti.
E invece niente, ci siamo fatti infinocchiare dalla tipica squadra allenata da Mihajlovic, tutta folate offensive e buchi dietro. E sì che ne dovremmo sapere qualcosa al riguardo… Meritata la vittoria dei bolognesi visto l'andamento della gara, ma resta inequivocabile la sensazione di occasione perduta. Nulla è compromesso, sia chiaro, ma la sconfitta ha riportato alla luce un po’ di quella polvere che le vittorie dell'ultimo mese avevano contribuito a nascondere sotto il tappeto: il solito non gioco offensivo, lento e prevedibile, un tridente proposto di malavoglia da Mazzarri e che le prestazioni alternativamente opache dei tre interpreti principali (Zaza specialmente) contribuiscono a non far decollare ed infine lo scarso apporto di chi entra dalla panchina nel cambiare le sorti degli incontri. Credere nell'Europa è un dovere visto il grande equilibrio nelle posizioni di classifica tra la terza e l'ottava piazza, ma non sarà di certo il bel gioco, purtroppo, la chiave che ci porterà, se mai ci andremo, a fare una competizione europea.
Un altro spunto interessante di Torino-Bologna è stato quello legato all'esultanza di Lyanco: a me sinceramente che esulti o meno se gioca contro il Toro poco interessa. Mi hanno dato più fastidio invece altri suoi comportamenti poco sportivi tenuti durante la gara (bilanciati da alcuni, devo ammetterlo, positivi) che se vogliamo cozzavano ancor di più con la sua recente militanza nel Torino. Mi riferisco, ad esempio, quando a gioco fermo ha calciato violentemente il pallone verso il settore dei distinti oppure quando dopo l'espulsione è uscito dal campo con una lentezza esasperante perdendo tempo deliberatamente. Ecco, io non dico essere tutti di un pezzo, perché di questi tempi si fa fatica a trovarne di questo tipo, ma che un calciatore almeno rispetti i tifosi che da un anno e mezzo lo sostengono anche quando ha dovuto passare brutti momenti a causa dei ripetuti infortuni, questo sì: mi sembra possa rientrare nel minimo sindacale di situazioni del genere visto che all'atto pratico il brasiliano è tutt'ora di proprietà del Torino. Tutta questa polemica alla fine porta ad una riflessione più generale sul fenomeno dei prestiti. Per evitare spiacevoli situazioni di “conflitto di interessi” non capisco come gli organi internazionali addetti a regolamentare il calcio non abbiano ancora introdotto una semplice norma che eviterebbe un uso troppo disinvolto della formula del prestito: il divieto di fare prestiti a squadre che militano nel proprio campionato. Una squadra di serie A, ad esempio, potrebbe prestare tutti i giocatori che vuole in serie B o C oppure all'estero, ma non a squadre che militano anch'esse in Serie A. Ciò garantirebbe la massima regolarità del campionato, eviterebbe che le big infarcissero le altre formazioni di serie A di propri “scarti” e al tempo stesso impedirebbe che i giocatori si trovassero nella situazione in cui si è trovato Lyanco sabato sera.
Incassiamo la vendetta di Mihajlovic e Soriano, la “professionalità” di Lyanco, la celebrazione di Niang al successo del suo mentore, Miha, e voltiamo pagina. Torniamo al più presto alla versione brutta ma vincente del Toro di Mazzarri e speriamo di arrivare alla partita con la Lazio, ultima di campionato, con un obiettivo ancora da giocarci.
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