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Toro, tre-quattro acquisti per volare?

Dopo la batosta presa dal Bayern, dice l’allenatore di quell’altra squadra di Torino che non basteranno due o tre acquisti per vincere la Champions: troppo grande il gap con le migliori d’Europa per sperare di risolvere i...
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

Dopo la batosta presa dal Bayern, dice l’allenatore di quell’altra squadra di Torino che non basteranno due o tre acquisti per vincere la Champions: troppo grande il gap con le migliori d’Europa per sperare di risolvere i problemi semplicemente aprendo il portafoglio.  Tralasciando ogni considerazione sulla loro situazione  (che mi interesserà solo alle tre del pomeriggio di domenica 28 aprile), è interessante notare, ahimè, un certo parallelismo con quella che si prospetta in casa Toro.    La stragrande maggioranza dei tifosi concorda sul fatto che la rosa attuale della squadra abbia fatto il massimo di quello che poteva in questa prima stagione di serie A. Abbiamo parecchi giocatori fra titolari e non  (Glik, Darmian, D’Ambrosio, Stevanovic, Basha, Di Cesare) che hanno affrontato da protagonisti per la prima volta la massima serie e, questo, di solito, è un vantaggio in termini di entusiasmo e voglia di dimostrare qualcosa, ma può essere anche penalizzante in termini di esperienza e di gestione della pressione. Per fortuna il modulo di Ventura, se da un lato non è esaltante a livello di intensità emotiva per il pubblico, a causa del fraseggio insistito spesso sterile e poco propositivo, dall’altro ha il pregio di fungere da “copertina di Linus” per i giocatori, cioè di dare a chi è in campo quella sicurezza dovuta alla ripetitività dei movimenti  oltre alla tranquillità legata al sapere quasi sempre cosa fare e quando farlo, il che ha agevolato soprattutto gli esordienti. Il resto della rosa è composta da scommesse bocciate (Caceres, Sansone), scommesse vinte (Cerci, Rodriguez, Brighi, Barreto) e alcune certezze (Ogbonna, Bianchi, Gazzi, Gillet). Il refrain che Ventura ha iniziato a recitare con una certa insistenza nelle ultime settimane è quello dei “tre-quattro  acquisti mirati e il prossimo anno ne vedremo delle belle”. Ovvio che il nostro obbiettivo a breve termine non sia la Champions League, ma questa sicumera legata alla bacchetta magica del mercato mi ha fatto ripensare, mio malgrado, alle parole di quell’allenatore che un paio di sere fa si è preso una bella scoppola in Europa: che lui, magari, parlasse per mettere le mani avanti in modo da evitare che se mai gli comprassero davvero  il famoso top player sia costretto a vincere tutto, può essere, ma è anche possibile che in effetti la sua analisi delle forze in campo abbia un fondo di verità.    Questo discorso, traslato sul campionato italiano, mi fa dire che, visto il livello sempre più mediocre della nostra serie A, sia molto più facile per il Toro puntare ad entrare stabilmente nelle prime otto-nove squadre in Italia che per la Juve raggiungere il livello di Bayern, Barcellona o Real Madrid in Europa. Chi se ne frega, direte voi. Invece un senso in tutto questo c’è. Troppo spesso ultimamente il calcio italiano (scimmiottando la politica, oserei dire…) ha fatto finta di non vedere la brutta china sulla quale stava scivolando il baraccone del pallone italico rispetto a una buona parte del resto d’Europa. Ma, si sa, alle grandi interessa solo avere tanti posti in Champions che significano tanti soldi: scudetto o non scudetto l’importante per loro è andare in Champions, tanto il ritorno economico è lo stesso che si arrivi primi o terzi. Nemmeno la perdita del quarto posto per la maggiore competizione europea ha smosso le acque. Quello che non si capisce o che, più probabilmente, non si vuole capire è che, al di là dei soldi, sta venendo a mancare al calcio italiano il senso di base della cultura del gioco e, non penso di esagerare, della cultura sportiva in senso assoluto. Se già nelle giovanili si insegna maggiormente ai nostri ragazzi a trattenere per la maglia gli avversari in occasione dei calci d’angolo che a fare uno stop preciso o un passaggio millimetrico, vuol dire che c’è qualcosa di fondo profondamente sbagliato su cui bisognerebbe intervenire.    Per tutte queste ragioni e per proiettarsi in una mentalità davvero all’altezza dei club europei, mi piacerebbe che il Toro avesse la lungimiranza di non ridurre la propria crescita come squadra e società ad un mero fattore mercantile: compro tre-quattro giocatori di qualità (per carità, assolutamente necessario, sia chiaro!) e colmo il gap con le squadre di medio-alta classifica. E così sono a posto. Sì, giusto ed  importante che questo avvenga, ma, parallelamente, è doveroso avere lo sguardo lungo distinguendosi dal piattume in cui è caduto il calcio italiano. Perciò torniamo pure ad insegnare una filosofia di gioco e di vita ai ragazzi del vivaio come è stato dai tempi dei Balon Boys fino all’epoca di Vatta. Recuperiamo i valori del “tremendismo granata” e attualizziamoli alla modernità richiesta dal calcio d’oggi. Diventiamo un corpo unico società-squadra-tifosi come era ai tempi del Filadelfia. Solo così gli acquisti che farà Petrachi quest’estate, vestendo la nostra maglia, potranno rendere ancora di più di quanto effettivamente valgono.    Alessandro Costantino Twitter: AleCostantino74   (Foto Dreosti)

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