Di una cosa si può essere certi, ovvero che questo Torino sia quello dei record in negativo: il gol ad inizio partita non manca mai, tanto quanto la sconfitta alla fine. Sembra quasi che la squadra granata sia affetta da una specie di disturbo per il quale, a cavallo tra il primo ed il secondo tempo, è portata a cambiare volto come se, entrando negli spogliatoi, i giocatori cambiassero impostazione mentale e da quella propensa verso l’attacco e la vittoria passassero ad una difensiva non efficace. Perché, di fatto, il Toro nel primo tempo sa combattere, vincere, realizzare, ma il problema si palesa nel secondo quando la sua nemesi scende in campo decostruendo tutto ciò che è stato creato nei primi quarantacinque minuti.
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Split: le due facce del Toro
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Questa situazione risulta apparire come la trama di un contorto thriller psicologico, dove i protagonisti si trovano a dover combattere contro un’entità più grande e forte di loro, alla quale non si riesce a dare un volto- un fenomeno quasi inspiegabile. Singo, Belotti, Zaza e tutti i compagni sono eroi di formazione che passano dalla più totale coesione ad un’improvvisa collisione che li porta, inesorabilmente, verso lo schianto finale. Un reiterarsi calcistico del “braccio corto” del tennista.
Sicuramente la nomea che il Toro si sta facendo in questo campionato non è delle migliori, soprattutto perché non aiuta i giocatori sul piano psicologico, in quanto gli undici granata che scendono in campo si trovano quasi spaventati davanti la vittoria, talmente ossessionati dal portarla a casa che l’istinto- e l’annessa paura da esso proveniente- frena il gioco. Come se ciascuno volesse proteggere i tre punti a tal punto da scontrarsi con ogni altro componente della squadra. Tuttavia, questo fattore di protezione potrebbe essere efficace se esso fosse accompagnato anche dal ragionamento che, però, viene meno e porta la paura di perdere ad uno stadio ancora superiore: la paura di agire per non avere responsabilità sulle proprie spalle. Allora l’attacco si congela, la difesa s’irrigidisce ed il centrocampo diventa statico e così la fluidità del primo tempo va a perdersi in un secondo dove quello che va in atto non è più una strategia, ma il lento palesarsi di un gioco tra macchine da scontro.
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La soluzione a ciò è fronteggiare la paura con il coraggio, guardarsi allo specchio ed ammettere un proprio limite, trauma che va necessariamente accettato e superato per far sì che non si sedimenti gettando il Toro in un baratro dal quale già sembra difficile uscire. Tuttavia, le difficoltà sono fatte per essere superate e, certamente, la paura non è qualcosa che di natura può appartenere a lungo al Toro.
Studentessa di Filosofia, classe ’98, presso l’università La Sapienza di Roma. La scrittura ed il Toro sono sempre stati le mie più grandi passioni. Sono una persona determinata ed ambiziosa, che da sempre il massimo in tutto ciò che fa, specialmente se riguarda ciò che amo. Nei miei articoli cerco sempre di mettere tutta me stessa cercando di coinvolgere chi legge, provando a fornire al lettore più spunti di riflessione possibili.
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