C’è chi scende e c’è chi sale. Noi, se riusciremo a salire in Europa lo dobbiamo ancora capire, staremo a vedere quali saranno i movimenti del Milan, che non ha rispettato il “Patto sociale” del calcio – direbbe quell’illuminato di Rousseau – e deve essere sanzionato.
columnist
Tra favole a svastiche
Cittadella-Verona, ultime partite per sapere chi scende e chi sale.
E peccato che in questo caso chi sale, Hellas Verona, si porti appresso la zavorra di esaltati nazi-fascisti che, spacciandosi per bucolici amanti dello sport, marciano per la città urlando: “Siamo una squadra fantastica, fatta a forma di svastica, che bello è, allena Rudolf Hess”. La Serie A porta addosso già così tante macchie di frode, iniquità e malaffare che proprio non ha bisogno di unire il nero più truce allo sporco. L’apologia nazi-fascista è contraria non solo al Patto Sociale del calcio, è contraria alla Costituzione, e semplicemente non si ha la libertà di rappresentarla. Neanche un po’. Così come non c’è da discutere sul fatto che non si può rubare, neanche un po’. E non di può un po’ stuprare e non si può un po’ ammazzare. No, non si può e basta. Sennò se ne pagano le conseguenze, possibilmente al chiuso, con il cielo che si vede a scacchi alla finestra. Il Verona si è dissociato dalla marcia nazi-fascista di quei tifosi, spero che sfrutti sempre di più l’occasione di dichiarare in modo stentoreo: io, non sono quella violenza lì. Io la violenza la ripudio, anche quella verbale.
Tra le squadre che scendono c’è l’Empoli. Empoli…caspita che eco ha acquistato per noi questa parolina. Empoli, poli, oli, li, i. Rimbomba almeno quattro volte nelle orecchie granata…Io credo che si debba rendere grazie all’Empoli, con noi si è battuto da toro 4 a 1 e ci ha permesso di ripassare i nostri confini, ricordarci cosa è il Toro. Un Empoli toscanaccio e cristallino, un presidente fedele nei secoli dei secoli, una città a dimensione uomo, dove il tuo beniamino finisce che lo incontri mentre fai benzina o vai dal tabaccaio. Beniamini empolesi talentuosi, mica gli ultimi della fila, quelli che bucano le reti della serie A, come Bennacer e Traorè. Caputo…Un Empoli che avrebbe dovuto esser maggiormente tutelato dal “Patto sociale” del calcio. Un Patto che dovrebbe imporre il rispetto di tetti, ingaggi e diritti che diano un senso alla parola uguaglianza, perché uguaglianza non significa disputare tutti 38 partite, significa partire con le stesse possibilità, e giocarsele.
C’è chi scende e c’è chi sale: sale l’Union Berlino in Bundesliga. L’Union quando lo aspiro trovo che sappia di Toro. L’Union era dal 1989 che non appoggiava più la scarpetta coi tacchetti in un campo di Bundesliga, già, proprio quel 1989 dei mattoni del muro che vengono giù. L’Union era quello che intonava il coro “Il muro deve sparire” quando gli avversari si schieravano in barriera. E ci voleva un certo coraggio a cantarlo, con la Stasi – specializzata in sicurezza e spionaggio – alle spalle. Altro che telecamere e daspo, quella sì che era ribellione civile. Ferro, è il soprannome del tifoso dell’Union, ferro, quello del metalmeccanico, chiaro. Il derby era contro la Dynamo, squadra più ordinata e, inevitabilmente, ordinaria. Ma dopo l’89, con l’arrivo del meritocratico calcio economico occidentale, ecco che l’Union sprofonda giù in terza, quarta divisione. Annega anche la Dynamo e insieme si ritrovano a giocare un derby in quarta serie, l’Union vince per 8 a 0 e in quello stadio, il tabellone non è stato più azzerato, ancora riporta l’epico risultato. Ma non basta, perché l’Union nel 2001 sbalordisce l’Europa, saltando dalla serie B alla Coppa e poi doppio salto mortale in Uefa. Ma non basta ancora. Il destino sappiamo quanto possa essere iniquo con qualcuno, così iniquo che qualche tempo dopo la favola Uefa, l’Union rischia di fallire. Giocare il meritocratico calcio economico occidentale è sempre più difficile per chi non è speculatore finanziario. Ma i tifosi dell’Union hanno fibra di ferro, no? E allora il ferro lo donano insieme al sangue, perché le donazioni in Germania vengono remunerate. Si “svenano” letteralmente e raccolgono una discreta somma nel farlo, tanto da assicurare alla squadra la liquidità per sopravvivere. Nel 2008 lo stadio ha bisogno di urgenti e costose manutenzioni, il comune dichiara che non interverrà e di nuovo i tifosi di ferro usano forza e fantasia: oltre duemila persone vanno a lavorare gratis per la ditta incaricata di effettuare i lavori. Infine, lo Union Berlino i tifosi di ferro se lo comprano, una scheggia – qualche azione – ciascuno. Sarà proprio che si sentono a casa lì, se durante i mondiali sistemano nello stadio centinaia di divani per guardare le partite, e se a Natale si ritrovano con una candela, dolcetti e capello bianco e rosso, per farsi gli auguri. In campo, mercatino e concerti. Un rito inaugurato da qualche decina di tifosi di ferro che un anno hanno pensato fosse normale passarlo lì il Natale, a casa.
Dovremmo esigere che il meritocratico calcio economico occidentale rispetti il Patto sociale del calcio, quello che permette storie piccole, infinite e fantastiche come queste.
C’è chi scende, chi sale e chi vola. Oggi ero in macchina e un pallone è sbucato da un prato, volando in strada. Mi sono fermata e subito è apparso un bambino, gli ho fatto segno di passare e lui è corso a recuperare il pallone, si è abbassato per agguantarlo con le mani, ma poi ci ha ripensato e ha cercato di agganciarlo col piede. Una, due, alla terza volta c’è riuscito. Il Patto sociale del calcio e perfino il meritocratico calcio economico occidentale avranno un senso solo fino a quando ci sarà un bambino che calcerà forte un pallone, stupendosi di quanto possa andare lontano.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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