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Tra tremendismo e scontentismo

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Sotto le Granate / L'analisi del match di domenica da un punto di vista particolare
Maria Grazia Nemour

Dal tremendismo di Belotti che allunga la gamba oltre i difensori dell’Empoli e segna, che esulta rotolandosi sul prato gonfio d’acqua, si passa allo scontentismo nella firma del rigore. Lo procura Ljajic il rigore, ma non è Ljajic questa volta a tenersi stretto il pallone, deciso a scaraventarlo lui, in porta. È Falque. E Belotti di nuovo a guardare, famelico, imbronciato.

Scontenti tutti. Perché è chiaro che tutti vogliono tirare – aumenti la classifica personale e per il tempo in cui carichi e tiri, tu, sei la squadra al completo – e non fissare una gerarchia o una rotazione, determina un grande classico da giardinetti, quando il proprietario del pallone urla: “Se non tiro io, me lo riporto a casa!”.

C’è tremendismo nel battesimo di Ajeti, che difende con ardore i suoi primi palloni granata, tanto da arrivare a mettere la testa sulla traiettoria del calcio di El Kaddouri, pur di provare a recuperarne uno. Ma non manca neanche lo scontentismo, nel suo Empoli-Toro di pallanuoto: il passaggio all’indietro per Hart, la piscina di metà campo, il pallone che ci annega dentro, Pucciarelli che si tuffa, lo recupera, due bracciate e segna.

E poi c’è Baselli, che da mesi vaga con un lumicino dentro se stesso alla ricerca di tremendismo, un po’ si perde e un po’ si ritrova. Forse – nonostante la pioggia e il suo peso da galleggiamento, nonostante l’egoismo di Iago nel non passargli il pallone (che pure Otello lo avrebbe mandato a stendere!) – pensava di aver preso la strada giusta domenica, e la sostituzione con Obi lo irrita, lo delude. Ma il vero tremendismo non è neanche l’aggressività povera di raziocinio di Obi. Le continue entrate fallose conducono più facilmente sulla strada di un giallo, piuttosto che su quella del tremendismo.

Anche la seconda sostituzione è carica di scontentismo. Iago Falque esce calciando la rabbia in una pozzanghera e infilando subito il tunnel degli spogliatoi. Nel tunnel del mancato rigore, c’era già finito da un po’. Un rigore privo di qualsiasi tremendismo pure negli istanti successivi al tiro, visto che non si sono registrati granata per la possibile ribattuta, tutti dell’Empoli, i giocatori in area. Era quello, il momento di riprendersi il pallone tenuto stretto da Falque.

E per un Falque che esce, un Iturbe entra. Un Iturbe che non scontenta ma che deve dare qualcosa di più del massimo, a questo Toro che ha scommesso d’azzardo sul suo tremendismo.

È scontento quel tremendo di Hart, che tira un calcio al palo quando la barriera non lo ascolta. Ed è scontento il litigioso Ljajic, che nonostante l’ottima punizione, il rigore procurato e le perfette esecuzioni di cui i suoi piedi sono capaci, non sa attribuire alcun significato, al tremendismo.

E poi, tra tremendismo e scontentismo c’è il mister, naturalmente.

Nel mio tremendismo prima c’era spazio per la perizia psicologica e tattica di Ventura, così come ora c’è spazio per l’approccio vorace di Miha. Nel mio scontentismo, prima c’era il rosario dei tic, tac, tac, dei tre difensori, ora, una bellicosità che inizia e finisce in parole supponenti, incapace di diventare rabbia creatrice di occasioni.

Sappiamo essere più forti delle nostre evidenti debolezze? Questo, è tremendismo.

Giocare novanta minuti da Champions League contro il Pescara, è tremendismo.

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