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columnist
Esordì nel calcio che conta a ben 27 anni. Si era nel 1949, anno tristemente noto a chi, come il lettore abituale di Toro News, ha il cuore dipinto di granata. Prima di allora quattro anni passati a saltare come un acrobata da circo da un palo all'altro nella porta del Saint Helens Town, club minore del Lancashire. Stipendio zero o quasi. In più l'ostilità rancorosa dei suoi stessi tifosi. Ma a Bert Trautmann, nato a Brema nel 1923, la vita aveva regalato ben altro, prima del calcio. Biondo, alto, nerboruto ma soprattutto tedesco: la dittatura di Hitler, a lui come a tutti i suoi coetaei, non lasciò alcuna possibilità di scelta. Fu mandato in Russia come paracadutista. Tre anni di guerra senza quartiere e, all'improvviso, i russi lo imprigionano ma lui incredibilmente riesce a fuggire a piedi fino in Germania. Dura la vita del soldato in guerra, però! Bert così venne rispedito senza se e senza ma dopo qualche settimana in Francia. Giorni, settimane, mesi in trincea a servire la patria: per Bert come per milioni di europei chiamati alle armi la parola d'ordine fu la stessa, sopravvivere! Un giorno, durante una scaramuccia in un locale della Bretagna, venne scambiato da un importante membro della British Army per un pezzo grosso della Wermacht. Bert fu internato in un campo per prigionieri di guerra in Inghilterra e precisamente ad Ashton, cittadina della Greater Manchester dove per inciso è nato il calciatore del Chievo e della Roma Simone Perrotta. Finita la prigionia Trautmann fece il contadino dando qua e là una mano all'esercito locale nel disinnescare le numerose mine che erano state disseminate dai suoi connazionali vicino al porto di Liverpool. A Maine Road qualcuno lo notò e lo scritturò per poche sterline la settimana. Un portiere tedesco nel City? Che indecenza! Questi i primi malevoli commenti. Bert rispose coi fatti. 1949-1964: parò il 60% o quasi dei rigori avversari il prode Bert! Quindici lunghi anni girando in lungo e in largo gli splendidi stadi dell'Inghilterra trasformarono il giovane paracadutista tedesco ex prigioniero di guerra in un meraviglioso portiere amato e stimato da tutti, avversari compresi. La Gloria, quella vera, baciò sul collo Bert Trautmann al minuto 73 di una tesissima finale di FA Cup a Wembley nel 1956. Tuffandosi senza paura a difesa della sua porta in una mischia selvaggia si procurò - lo testimoniano le radiografie effettuate dopo la partita - la rottura di ben 4 vertebre del collo. Il suo City stava vincendo, in dieci, per 2-1 e, a quei tempi, non erano consentite sostituzioni durante le gare. Visibilmente sofferente, il volto una maschera da guerriero che non vuol lasciar trasparire alcun dolore, Trautmann terminò stoicamente quella finale che il suo City vinse addirittura per 3-1 sulle "volpi" blu del Leicester. "He was as brave as a lion!": fu coraggioso come un leone, così Bob Wilson, che divenne un apprezzato portiere nell'Arsenal e oggi fa l'opinionista per la BBC, ricorda quell'episodio. Non c'erano vite da spezzare, nè proiettili da sparare, nè atti d'eroismo da improvvisare. La testa fra le mani, i compagni attorno festanti per il trionfo raggiunto, quel dolore lancinante sopportato come se fosse un comune mal di testa ma soprattutto la consapevolezza di aver combattuto e vinto una battaglia vera, lui tedesco di Brema, per un club inglese. Per milioni d'inglesi l'ostilità preconcetta contro la Germania che bombardò senza ritegno intere città infischiandosene di obiettivi militari o civili finì proprio dopo quella finale. Molti esaltano ancora oggi il tuo coraggio, la tua compostezza, la tua forza di reagire a qualsiasi contrarietà. Ciao grande Bert, te ne sei andato in punta di piedi da eroe: icona di un City e di un'Inghilterra lontani anni luce da quelli odierni. City e Inghilterra che il destino ti han fatto incontrare quasi per caso: but that's life! Renato Tubère
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