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Un Toro che non mi faccia vergognare mai

Maria Grazia Nemour
Sotto le granate / Torna la rubrica della nostra Maria Grazia Nemour

Dopo dieci partite guardo questo Toro di sopra e di sotto e sono delusa del nostro anonimo stare in classifica, perché non capisco come questo risultato che non brilla di luce propria si colleghi ai tanti pezzi del Toro che mi piacciono.

Mi piace la difesa: Sirigu dallo sguardo torvo tra i pali, capace di errori clamorosi nei rinvii ma risolutivo nella protezione della nostra fragilità più profonda, la porta. Mi piace N’Koulou tanto quanto mi piaceva Glik. Non mi dispiace Izzo.

Mi piace Meitè. Tanto. Ma anche Djidji, e da non so più quanto aspetto Lyanco.

Mi piace da sempre Iago, il suo estro, la sua onestà nel gioco e nell’impegno che tanto lo fa Toro. Mi piace la flessibilità d’azione di Berenguer. Mi piace Belotti che fatica a stare in campo e che vorrei scuotere, rimontare pezzo per pezzo tra mente e corpo.

Mi piace Temitayo Olufisayo Olaoluwa Aina. Ola Aina.  Attacco, resistenza, difesa.

Mi piace fare oh! allo stadio, perché il primo tempo contro la Fiorentina mi ha emozionata.

Mi piace Mazzarri più di Miha, e voglio che mi dia più di soddisfazioni di Ventura: un derby, un passaggio in Europa, una coppia di attaccanti da far crescere con fiducia e stimoli.

Ma quello che più mi piace, del Toro, è che posso andarne orgogliosa. Mi piace che non abbia da rifarsi un vestito buono dopo essere finito in B: è stato un periodo deprimente quello, ma sono sempre andata a testa alta, nessuno al Toro aveva rubato nulla. Anzi.

Mi piace il Filadelfia, che alcuni, da fuori, possono scambiare per un luogo di culto, ma che in realtà è qualcosa di molto più semplice: è la impagabile sensazione di poter girovagare a lungo per poi avere sempre un posto in cui tornare, anche solo per un saluto: la casa.

Rinuncio a un faraonico stadio di proprietà se poi per riempirlo bisogna accettare di metterci dentro chiunque, se fuori dai cancelli si apre la terra di nessuno che ospita il circo dell’illegalità fatta gadget, se le pareti sono vestite di scudetti truffaldini. Io credo che Andrea Agnelli non debba presentare alcun tipo di scuse al Torino, perché le scuse di una persona che non gode della stima di chi le riceve, sono tempo sprecato. A dirla tutta sono vagamente dispiaciuta per lui, per il fatto che non abbia sentito il bisogno di dissociarsi nel modo più limpido e netto dagli atti criminali della sua curva, in modo che nessuno possa permettersi di pensare che la Juventus abbia appena finito di pagare gli arbitri che già fa selezioni per nuovi co.co.co tra gli n’dranghetisti; per il fatto che abbia chiamato nel suo ufficio D’Angelo e gli abbia detto “ciuccio, ti sei fatto beccare” invece di “ciuccio, mi fai ribrezzo e non voglio che nessuno possa pensare che tu rappresenti la Juventus, già con Moggi abbiamo rasentato il ridicolo. D’Angelo, sei fuori” ecco, tutti questi pensieri mancati, mi suscitano una certa pena al suo indirizzo.

Mi piace un Toro che non mi faccia vergognare, che non scenda mai a patti con criminali in curva. Mi piace un Toro che si faccia promotore di legalità, in curva. Nessuno spazio alla corruzione, solo slanci d’amore e contestazione mossi da passione. E allora sono pronta a soffrire a ogni partita, a sudare ogni risultato, perché già mi sento vincente.

Toro, non mi deludere. Mai.

 

Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.