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Un Toro competitivo nel solco della storia granata

Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 
Uno dei dibattiti più accesi fra i tifosi granata in questo periodo è quello relativo al grado di soddisfazione per il campionato fatto dal Torino fino ad ora. Quasi tutti concordano che non dovrebbero esserci eccessivi problemi a...

Uno dei dibattiti più accesi fra i tifosi granata in questo periodo è quello relativo al grado di soddisfazione per il campionato fatto dal Torino fino ad ora. Quasi tutti concordano che non dovrebbero esserci eccessivi problemi a raggiungere la quota salvezza, ma le opinioni divergono e si articolano in mille e più sfumature quando si tratta di provare a dare un anticipo di giudizio complessivo della stagione che si sta concludendo. Senza entrare troppo nello specifico direi che sono due i filoni su cui si addensano i pensieri dei tifosi, ognuno coi suoi distinguo, ognuno con i suoi se e i suoi ma: c'è chi la pensa come Ventura, cioè che la squadra è una neopromossa e sta facendo il massimo che questo status, e gli obbiettivi fissati ad inizio stagione, concedono e chi invece non transige sul blasone del Toro e si aspetta e pretende che il Toro in A faccia di meglio.

Non per fare il diverso o il sapientone di turno, ma credo che non dovrebbero esistere due fronti contrapposti su questa questione perchè in realtà le due "fazioni" portano argomentazioni che sono parte della stessa verità. E siccome il calcio non è una scienza esatta, ma un calderone dove ogni opinione è valida perchè oggettivamente difficile da confutare (ma al tempo stesso da dimostrare, accreditando così anche solo chi ha la lingua in bocca a parlare come potenziale esperto...), vorrei fare uno sforzo di obbiettività e supportare le mie considerazioni con il più alto numero possibile di dati a suffragio delle mie tesi.

Sul blasone del Toro, c'è poco da dire: esiste perchè la storia lo certifica e la leggenda degli Invincibili lo ha marchiato per sempre nella memoria collettiva del nostro Paese. Se guardiamo però ai risultati, dal 1950 ad oggi, cioè per quasi il 60% della nostra storia, il Torino ha vinto un solo scudetto (sfiorandone un altro paio) e tre coppe italia (sfiorandone molte di più!): un palmarés decisamente contenuto se rapportato al presunto blasone. Cosa significa questa statistica? Che chi vuole un Toro all'altezza del proprio blasone non intende in realtà un Toro vincente giacchè nell'ultimo mezzo secolo abbondante vincente lo è stato ben poco, ma pretende una squadra ed una società che stiano nelle prime file, che diano fastidio lassù in alto e che imbrocchino qualche stagione esaltante che faccia sentire ogni tanto almeno il profumo di un trofeo o di un'impresa. E questa prospettiva mi sembra decisamente condivisibile anche dai "venturiani", ossia da quelli che classificano il Toro come neopromossa. In fondo, infatti, per essere veramente competitivi non è necessario investire cifre da capogiro, né fare chissà quali sforzi economici: occorre programmazione, stabilità societaria e tecnica, unità di intenti e senso di appartenenza. Tutte cose che non costano nient'altro che duro lavoro e competenza.

E qui viene il secondo punto di convergenza tra le due "visioni": in fondo Ventura quando dice che siamo una neopromossa molto probabilmente si riferisce proprio a questo, cioè ad una squadra e ad una società che sono in fase di rodaggio per capire come affrontare al meglio la serie A dei nostri giorni. Ed ha ragione a suo modo. Non sono il fan numero uno di Ventura, sia per il tipo di gioco (lo trovo, di fondo, sconsolatamente noioso...) sia per il suo approccio scarsamente autocritico (non dice mai che lui ha sbagliato qualcosa), ma riconosco al mister l'aver compreso appieno la situazione della piazza di Torino: è stato l'unico "dottore" che prendendo in cura il "malato" ha azzeccato la diagnosi perfettamente ed ha impostato una cura lenta e graduale che ha dato frutti come nessun'altra nel recente passato. Credo che la storia valuterà Ventura come l'uomo che ha davvero dato una svolta al Torino FC, non tanto come allenatore, quanto come uomo di calcio che ha saputo fungere da catalizzatore per una serie di processi di sviluppo societari, di cultura sportiva e di transizione di mentalità fondamentali per rilanciare il Toro a tutti i livelli.

Se poi vogliamo limitarci al campionato in corso allora dico che il Toro è una squadra solida e i numeri lo dimostrano: innanzitutto perchè si sa difendere ed infatti a parte i 23 gol presi in 6 partite (le due col Parma, Napoli, Cagliari, Juve e Milan) ha subito solo 18 gol nelle altre 24: una media da Champions al netto di qualche partita in cui ci sono stati dei clamorosi ed anche un po' inspiegabili cedimenti. Inoltre per minor numero di sconfitte è al sesto posto, oltre ad essere, con Palermo e Udinese, la formazione che ha pareggiato di più: è, quindi, una squadra difficile da battere. Il rovescio della medaglia è la scarsa propensione a "far male", dimostrata dal basso numero di vittorie e da una certa sterilità dell'attacco. Il girone di ritorno tuttavia ha finora prodotto tre punti in più dell'andata: se, perciò, da qui a fine campionato si facessero anche solo gli stessi punti fatti nelle ultime otto partite dell'andata, si chiuderebbe con un bottino che vorrebbe dire salvezza raggiunta comodamente e discreta posizione di classifica.

Alla luce di tutto ciò mi sento quindi di dire che sin qui la stagione è stata positiva, senza alcun dubbio, e che l'obbiettivo prossimo della società non può che essere quello di consolidare questa situazione migliorando risultati e piazzamenti poco a poco: non è assolutamente un obbiettivo fuori dalla portata se lo si valuta alla maniera di chi la vede come Ventura, né una richiesta "nostalgica" eccessivamente legata al blasone se visto da quella parte di tifosi che appaiono più intransigenti. Un Toro competitivo nel solco della storia granata dal dopoguerra ad oggi è dunque più che fattibile senza bisogno di ricorrere a sceicchi o a voli pindarici: occorre solo lavorare sulle giuste alchimie e sugli equilibri tra vivaio, mercato, progetto tecnico ed orgoglio. Facile a dirsi, e neanche poi così tanto a farsi.

 

Alessandro Costantino

Twitter: AleCostantino74