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Mario Rigamonti. Il Centauro
"Quando c'era Cadario...", stavamo partendo in trasferta col Toro Club diretti a Verona, per giocare in casa dell'Hellas. 2 gennaio 1977, il campionato dei 50 punti. E in attesa del pullman da Acqui, un anziano tifoso prese a raccontare. Prima, di Aldo Cadario da Portacomaro (Asti), appunto. Difensore/mediano dal fisico scultoreo, proveniente dal Settore Giovanile, in prima squadra dal 1937. Mentre altri snobbavano l'autore del racconto dicendosi "ma questo cosa perde tempo con 'ste vecchie storie", io mi avvicinai pieno di curiosità. E lo sentii raccontare di quella volta che, nel cortile del Filadelfia, lui giovane tifoso con altri appassionati, rimproverarono Quelli Là di ritorno dalla trasferta di Padova dove avevano pareggiato 4-4 il 20 febbraio 1949 (doppietta di Meo Menti, Ossola, destro fortissimo di Castigliano; per il Padova doppietta di Checchetti, Vitali G., Fiore. Arbitro: Gemini di Roma). Trovarmi a contatto con un pezzo di storia granata vivente fu per me, allora diciottenne, un'emozione. E scoprii che il piccolo-di statura-grande-di-ricordi signor Ferrero era stato amico fraterno di Mario Rigamonti, centromediano sistemista (in pratica uno dei primi stopper del calcio italiano, il primo di caratura internazionale) del Grande Torino. Per via della comune passione per la motocicletta. Mario Rigamonti, proveniente dal Brescia, era stato scoperto da Mario "Maiu" Sperone, mediano sinistro del Torino Campione d'Italia negli Anni Venti. Lo aveva impressionato la facilità della lunga battuta, in un atleta ancora completamente da sbozzare.
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Dalla Storia Critica del Calcio Italiano di Gianni Brera: "Pozzo prepara la squadra Nazionale per affrontare la Francia a Parigi il 4 aprile 1948. Bacigalupo; Ballarin, Eliani (Roma); Annovazzi (Milan), Rigamonti, Grezar; Menti II, Loik, Gabetto, Mazzola, Carapellese (Milan). Resta a casa il terzino sinistro granata, il fuoriclasse Maroso, afflitto da pubalgia; con la maglia numero 5, viene sostituito Parola, di cui si incomincia a capire che lo stile supera in lui di gran lunga il dinamismo. Lo stopper centrale Rigamonti è bresciano e studia medicina. La sua struttura è del normotipo a larghe sezioni muscolari: un'autentica forza della natura. Un suo fratello lottatore passerà alla storia sportiva per aver operato al cranio, in Svezia, un avversario (lo svedese Johansson) infortunatosi durante i campionati d'Europa: come era notte, all'ospedale non c'era nessuno: si è dunque offerto lui: ha salvato il paziente-collega e si è puntualmente ripresentato sulla materassina per continuare il torneo: era sfinito, il dottor Rigamonti, ma il cavalleresco avversario finnico, riconoscente come tutti, gli ha passato la vittoria". Qui Brera racconta di Luigi Rigamonti, noto anche con il soprannome "il Gran Lombardo" lottatore e medico chirurgo (fondatore del pronto soccorso all'Ospedale di Brescia), bi-campione italiano di lotta greco-romana (Milano 1946, Roma-Firenze 1949).
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Proprio l'antagonista di Mario Rigamonti in Nazionale, il bianconero Carlo Parola, l'autore della rovesciata stilizzata poi sulle bustine delle figurine Panini, così ricordò nel 1976 il "Riga" a Salvatore Lo Presti, autore del bellissimo "profondo granata": "Stopper autenticamente moderno. Rigamonti interpretò il ruolo di centromediano in maniera estremamente efficace. Sul piano agonistico era in grado di schiantare qualsiasi avversario. Non era altissimo (in effetti 182 cm per 75 kg) ma era in possesso di una muscolatura poderosa. Fortissimo di testa, aveva un eccellente senso della posizione"; era il centromediano ideale del Sistema WM. "Non aveva una base tecnica raffinata, prediligeva il destro ma insieme a quei campioni non sfigurava. Potrei paragonarlo a Morini, ma più pesante e più cattivo". Per chi come me ha visto giocare il "gobbo al cubo" Morini (gomiti e tacchetti ferri del mestiere, proficuamente usati nei duelli con Boninsegna e Graziani con reciproca soddisfazione), sul piano tecnico, un gran bel riconoscimento per uno stopper di ruolo. Amedeo Amadei, "il fornaretto" di Frascati, gran centravanti di Roma e Internazionale, ricordava con affetto il "Riga". Dopo un incontro domenicale particolarmente acceso in cui se l'era vista con Rigamonti che lo marcava a uomo, aveva trascorso il lunedì tra bagni caldi, emollienti e massaggi per far passare ammaccature e piccoli traumi, postumi della contesa. Rigamonti era imperioso nello stacco aereo e nell'anticipo, scattante e veloce, tanto da riuscire nella necessità a chiudere anche in fascia, sulle ali, dando a Maroso o Martelli e a Ballarin la possibilità di proporsi in avanti e fluidificare. Questo è uno dei tanti dettagli che rendono il ricordo del gioco del Grande Torino un intramontabile paradigma tecnico/tattico, un esempio di calcio moderno difficilmente riproducibile che non è mai passato di moda.
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Pochissimi lo sanno, ma negli anni antecedenti la sua completa dedizione al calcio, seguendo le orme del fratello Luigi, Mario Rigamonti fece anche lotta greco-romana, conquistando il titolo di Campione Lombardo di categoria. Il "Riga" era arrivato a Torino da Brescia molto giovane, appena sedicenne, nel 1938. A Brescia ne intuirono le grandi potenzialità, tuttavia la sua passione per il "mutur", in anticipo sui tempi legali per la patente di guida, rendeva inquieti i suoi genitori. I quali dissero di sì al Torino che, dopo aver guadagnato il diritto di opzione con 25.000 lire, con altre 18.000 lo portò sotto la Mole offrendo ai genitori l'ipotesi seducente di Mario messo finalmente in un collegio, a studiare. Ai genitori bastò. Delegarono il fratello maggiore Luigi, di cui abbiamo appena parlato, a seguirlo con frequenti visite a Torino. Sperone lo dirottò in una squadra minore a rodarsi. Nel periodo più drammatico della guerra ritornò prima al Brescia in prestito militare, e poi al Lecco. Divenne titolare granata a neanche 23 anni, esordendo il 14 ottobre 1945 (come il portiere Valerio Bacigalupo) nel derby perduto 2-1. Marcava Silvio Piola, compito niente male per un esordiente, non vi pare? Piola segnò il goal della vittoria soltanto su rigore.
Il suo esordio in Nazionale cadde l'11 maggio del 1947 contro l'Ungheria di Szengeller e del giovane Puskás a Torino, con il risultato a favore degli Azzurri (dieci granata in formazione, schierati davanti al portiere bianconero "Cochi" Sentimenti IV) per 3-2. Ai festeggiamenti che seguirono Rigamonti mancava. Lo trovarono in una piazza di Torino che ancora tirava calci con tanti suoi giovanissimi amici e a piedi scalzi. Appena poteva, e anche quando non doveva, saltava in moto e spariva. Per dove? Una volta, dopo una visita lampo ai suoi a Brescia, venne rintracciato da uno zio a San Secondo, un paesino presso Parma; stava aiutando nella vendemmia i fratelli Gaggiotti, gli amici di sempre, che gli avevano dato rifugio insieme ai fratelli Luigi e Dante durante la guerra. Nel parmense contava amicizie, simpatie e spesso vi ritornava in moto nei giorni di libertà. Sostava a San Secondo, ma non disdegnava di portarsi a Zibello, alla mensa della signora Zaira, dove alla Buca era di casa. A quei tempi la trattoria a ridosso di un argine del fiume Po era un posto semplice, e il nome lo conferma, dove si gustavano piatti eccezionali e dove il culatello, familiarmente servito, era il piatto clou.
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La foto storica, iconica del Grande Torino, fu scattata prima del derby Torino-Juventus 3-1., 13 febbraio 1949. L'originale in bianco e nero vede Mario Rigamonti unico giocatore senza lo scudetto sul petto. La foto venne poi opportunamente colorata per onorare la memoria del Grande Torino, e anche Rigamonti vi è rappresentato con lo scudetto sulla maglia. La Signora Bertazzini volle apporre "...solo il fato li vinse". Metà stopper, metà moto. Splendido atleta, rock solid. Insieme al signor Ferrero, che pieno di orgoglio ancora ne raccontava quella mattina dell'inverno 1977. Quando il Torino era, ancora una volta, veramente grande. Mario era anche bello. Con il mantovano Danilo Martelli, antesignano del numero 13 universale per il Grande Torino, all' occorrenza terzino, mediano o mezzala, ed il ligure di Vado Valerio Bacigalupo II, il nuovo portiere della Nazionale, componevano il Trio Nizza. Rigamonti avrebbe potuto figurare nel cast di "Easy Rider". E penso che di Lassù, Mario Rigamonti abbia seguito con un occhio di riguardo, magari ammiccando, le gesta sul campo e on the road di Enrico Annoni, indimenticabile stopper della cavalcata UEFA 1991-92. La bandana non era di moda ai tempi del "Riga", ma lo spirito era quello. Quello del Toro.
Gianni Ponta, chimico, ha lavorato in una multinazionale, vissuto molti anni all’estero. Tuttavia, non ha mai mancato di seguire il “suo” Torino, squadra del cuore, fondativa del calcio italiano. Tra l’altro, ha scoperto che Ezio Loik, mezzala del Grande Torino, aveva avviato un’attività proprio nell’ambito dell’azienda in cui Gianni molti anni dopo sarebbe stato assunto.
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