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Una notte buia e nebulosa
Film, poesie, canzoni, libri e con loro storie, personaggi, eventi che hanno reso memorabile quel momento in cui, i nostri ricordi, le nostre emozioni sono rimaste bloccate nella nebbia, coltre intangibile, astratta e concreta allo stesso tempo.
La vedi e non ci vedi.
La vedi e non riesci a toccarla.
La vedi e ne assapori i contorni mentre i ricordi sono confusi e non ti resta che scavare in quel poco che ti resta: un ricordo annebbiato, come se la memoria perdesse, via via a poco a poco, i dettagli che definiscono il quadro completo.
La nebbia ti può aiutare a dimenticare un amore, come accadde a Humphrey Bogart in Casablanca, quando ai piedi di un aereo lascia che Ingrid Bergman, affascinante e bellissima, parta con il rivoluzionario Victor Laszlo: non certamente l’eroe che ci meritiamo, ma quello di cui abbiamo bisogno.
Dalla nebbia puoi riemergere e centrare l’obiettivo, come accadde ad un mio compagno di squadra in una partita del campionato CSI, in quel di Druento.
Lui scattò nella nebbia e si ritrovò per incanto il pallone sui piedi.
Sentimmo l’impatto con il cuoio, l’urlo del nostro centravanti e il fischio dell’arbitro, tutto proprio allo scadere di un match in cui sarebbero state necessarie divise catarifrangenti per entrambe le squadre.
Nella nebbia si sono consumati efferati omicidi, si nascondono misteri, rintracciabili nelle atmosfere noir cupe di storie affascinanti e allo stesso tempo inquietanti.
C’è chi ci convive. Automobilisti, contadini, detective avvolti dalle brume, all’inseguimento di femme fatale o contrabbandieri macedoni (semicit.).
Ci convivono anche i calciatori e gli spettatori che stanno allo stadio, e in egual maniera, quelli che sono a casa, spesso i più colpiti da un evento simile.
Parliamo di nebbia e di Toro, già molto abile di suo a incappare in periodi di annebbiamento, ma soprattutto parliamo di quelle partite in cui il Toro ha dovuto giocare in quella cosa che quando c’è, non si vede. (Cit.)
Proprio a Reggio Emilia, nel campionato 2015/16, la partita di andata, in calendario il 13 dicembre alle 20.45 (che già ci vuole una bella testa nel piazzare una partita, a Reggio, in serale, a dicembre…) fu la nebbia a diventare assoluta protagonista e costrinse l’arbitro Celi ad ammainare bandiera bianca.
Ventura avrebbe festeggiato in quell’occasione il record di partite consecutive sulla panchina del Toro, primato che invece raggiunse nel successivo derby di coppa Italia.
Il match poi venne recuperato il 20 gennaio 2016 e terminò in pareggio (1-1).
Ma la partita emblematica per eccellenza quando parliamo di nebbia e quando parliamo di Sassuolo è quella del rocambolesco 3-3, quinta di campionato 2020/21.
Il Covid è ancora un fattore e al Mapei Stadium si gioca davanti a quasi mille persone distanziate e mascherate, sulla tribuna centrale.
Serata fredda e appunto nebbiosa che rispecchia il momento del Toro, ultimo a zero punti dopo tre sconfitte consecutive.
Sulla panchina del Toro c’è Marco Giampaolo, il Maestro, uomo di sicura conoscenza ma di scarsa tempestività nello scegliere Torino e i granata, in questo momento storico.
In questo caso, Giampaolo non è certamente l’eroe che ci meritiamo, ma soprattutto non è quello di cui abbiamo bisogno.
Ancora una volta, Giampaolo cambia formazione, segno di una inquietudine di fondo che non produrrà nulla di buono.
Il Toro inizia bene e sfiora a ripetizione il gol, che arriva grazie ad un’incursione offensiva di Linetty su cross di Vojvoda e pasticcio sesquipedale di Chiriches.
Prima del riposo, Verdi si divora il gol del 2-0, proseguendo nella sua esperienza horribilis con la maglia del Toro.
Si va al riposo in vantaggio e quando si riparte, il Toro ricomincia a macinare gioco, anche se due uscite a vuoto di Sirigu rischiano di costarci caro.
Che questa annata non sia fortunata lo capiamo al termine dell’azione che porta al pareggio gli emiliani: uscita difensiva sbagliata dei nostri difensori, rimpalli in serie e gol di Djuricic che segna, di tacco, da due passi.
Il Toro paga pegno nel suo momento migliore.
Poco prima della reazione granata, Giampaolo si snatura e inserisce Nkoulou per Verdi (difesa a 5 per arginare Boga), mentre qualche decina di minuti prima era stato Singo a subentrare a Vojvoda (ammonito).
Il Toro non ci sta, tiene botta e riparte a testa bassa grazie al solito straordinario Belotti che prima, fa a sportellate in area con Chiriches, si beve Ferrari e di destro batte Consigli per il momentaneo 2-1, poi su azione di contropiede, da il “la” (con un assist delizioso) a Lukic: esterno destro del Gallo, palla a Lukic che incrocia e fa tris.
A questo punto, anche il più pessimista dei tifosi del Toro, ha accarezzato l’ipotesi che la sua squadra sarebbe uscita viva dalla nebbia di Reggio Emilia.
Troppo netto il dominio, troppo il divario in campo tra le due compagini.
Ma ammettiamolo, che noi in primis siamo rimasti piacevolmente sorpresi da questo dominio e da questa fugace illusione che ci fa pensare che sì, Giampaolo oltre a necessitare di alcuni uomini (che mai arriveranno), aveva solo bisogno di tempo per costruire qualcosa e uscire da questo periodo nero.
Ma il Toro dell’era Covid è entità bizzarra, cocciuta nella reiterazione degli errori, ingenua, disgraziata, sfortunata, desolante nella sua irrequietezza, nel suo essere fragile e caduco.
Ed è in quel preciso istante, che dura un battito di ciglia, che il tifoso del Toro passa da un motivato ottimismo ad un pessimismo cosmico di Leopardiana memoria.
E se è vero che nei segni possono essere trovate le spiegazioni divine, ecco che il tracciante di Chiriches all’84esimo va visto come un triste presagio.
Il centrale romeno scaglia un tiro potentissimo che finisce la sua corsa all’incrocio dei pali.
La distanza, che potremmo definire siderale, si assesta sui trenta metri.
Il pallone parte dritto per dritto dal basso verso l’alto, ha una traiettoria decisa appena lascia il piede del difensore e finisce lassù dove Sirigu proprio non può arrivare.
L’ottimismo di qualche minuto fa si è trasformato in paura, adesso in cuor nostro sappiamo che il destino si accanirà beffardamente contro di noi e bisogna solo capire quale sarà il modo che il Dio del pallone sceglierà per punirci.
Nelle settimane precedenti abbiamo subito la rimonta dell’Atalanta, poi quella del Cagliari. Basta aspettare.
L’inerzia della partita è cambiata e i neroverdi attaccano.
Il cross è di Berardi, lo stacco di testa è quello di Caputo. 3-3 in un amen.
Timide proteste granata per un braccio largo del centravanti ai danni di Bremer ma niente di particolare.
Finisce con un pareggio che lascia l’amaro in bocca ai granata e nel dopo partita le dichiarazioni di De Zerbi mi riportano alla triste realtà delle bugie che ripetute diventano una verità.
“La partita l’abbiamo fatta noi” dice il tecnico bresciano mentre fisso il televisore con lo sguardo perso nel vuoto.
Eppure di quella partita, De Zerbi ci aveva capito davvero poco mentre Giampaolo l’aveva letta e preparata molto meglio del suo collega.
Ma come spesso capita in questo gioco bastardo e crudele, è bastato un tiro estemporaneo per rimescolare le carte e spedirci di nuovo all’Inferno.
Il bicchiere mezzo pieno dice che il Toro esce dalla nebbia di Reggio Emilia muovendo la classifica, al termine di una partita gagliarda che fa ben sperare per il prosieguo del campionato.
Non andò esattamente così, in un campionato Via Crucis costellato da sconfitte, delusioni e una salvezza raggiunta in maniera molto casuale e anche fortunata.
Fu una stagione disastrosa che costò il posto a Giampaolo prima e a Nicola poi, seppur a salvezza raggiunta.
Ancora una volta, ripensando alla decisione scellerata di puntare su Giampaolo, rifletto sul recente periodo.
A Giampaolo si imputarono diversi errori ma fu innegabile non notare che non venne messo in condizione di operare secondo il suo dogma.
RIncon regista, Verdi trequartista, Rodriguez terzino a tutta fascia. Impensabile.
Ma questi problemi tecnici non devono far dimenticare che quel caos era figlio della stagione precedente e che, le guide di Giampaolo e Nicola non furono affatto risolutive.
Clima rovente, sopito in parte dall’era covid, stadio vuoto, contestazione, retrocessione ad un passo.
L’arrivo di Juric ha diradato quella situazione nebulosa, traghettando il Toro in posizioni più tranquille ma è evidente che non basti.
All’orizzonte di Reggio Emilia e con una partita da recuperare, il Toro, nonostante uno scialbo pareggio casalingo contro la Salernitana, può decidere davvero se uscire definitivamente dalle nebbie di una classifica cortissima proponendosi come una concorrente accreditata per la rincorsa Europea.
Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.
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