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Uniti come un pugno

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Il Toro nella Testa / Su Toro News sbarca la rubrica di Marco Cassardo: e mai esordio fu più fortunato...
Marco Cassardo

Toro News, la prima e più importante testata giornalista dedicata al Torino FC, è lieta di accogliere sulle proprie colonne la firma di Marco CassardoMarco è l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata. Due edizioni (Limina 1998, 2003), 10 ristampe e 15mila copie vendute, hanno fatto di “Belli e dannati” quella che Massimo Gramellini ha definito “la Bibbia del popolo del Toro”. 

 

Cassardo, torinese, è abbonato ininterrottamente dal 1975 nonostante da 24 anni risieda a Milano. I suoi idoli? I primi furono Pulici e Graziani, poi vennero Dossena e Lentini. Autore di romanzi e saggi, Cassardo lavora da anni come Football Mental Coach assistendo calciatori professionisti. Il suo ultimo libro, “Campioni si diventa” (Cairo Editore, 2016), è considerato un testo fondamentale nel campo dell’allenamento mentale dei calciatori.

 

 

Buongiorno fratelli! Mai esordio di rubrica fu più fortunato.

Quella di ieri è stata la miglior partita granata degli ultimi anni: intensità per 95 minuti, condizione fisica, voglia di vincere, concentrazione e gol a raffica. Le avvisaglie le avevamo già avute contro la Fiorentina, quando dopo l’errore iniziale di De Silvestri abbiamo rivisto per almeno un tempo il Toro magnifico e sbuffante degli anni andati, quella magia di colori e adrenalina che ci rapì da bambini e ci fece innamorare della squadra più bella del mondo.

In questa rubrica parleremo di Toro e di mente. Da anni si discute dell’importanza della “testa” nello sport, ma di fatto nelle squadre di calcio l’attività di supporto psicologico è ancora delegata all’allenatore, al team manager, al responsabile operativo, al magazziniere, all’addetto stampa… Siamo indietro: nel mondo anglosassone la figura del mental coach e dello psicologo sportivo è ormai consuetudine; qui in Italia è ancora agli albori. O meglio, sempre più giocatori si avvalgono di mental coach e psicologi, ma si tratta di una decisione individuale (quasi sempre nascosta alla società). A livello di club c’è ancora molta diffidenza. In realtà il discorso è molto semplice: la prestazione sportiva è il mix di quattro aspetti: mentale, tecnico, tattico e fisico. Così come si allenano tattica, tecnica e fisico, va allenata anche la mente. Agli aspetti tattici e tecnici ci pensano gli allenatori; degli aspetti fisici si occupano preparatori atletici e medici . E gli aspetti mentali? Sarebbe buona cosa se se ne occupassero coloro che lo fanno di professione. Ovvio, un allenatore può essere più o meno sensibile e intuitivo, ma è innegabile che è meglio ognuno faccia il proprio mestiere. Come diceva Sciascia, “a ciascuno il suo”.

Ebbene, da adesso fino al termine del campionato proverò a dare il mio piccolo contributo fornendo una lettura psicologica dei vari episodi che caratterizzano le avventure del mondo granata.

Ieri siamo stati eccelsi, ma il difficile non sta nell’impresa, bensì nella prova di maturità che segue a essa. Da tempo immemore falliamo la prova del nove. Pochi giorni e la partita contro il Parma ci dirà se stiamo cambiando o se siamo sempre fermi al palo. Non solo il Parma; dopo la sosta, infatti, incroceremo Cagliari e Genoa, altre partite decisive per capire se stiamo crescendo sotto il profilo della mentalità o se continuiamo a essere il solito Toro che dopo una bella vittoria trascorre un mese a massaggiarsi la pancia. Parma, Cagliari e Genoa: tassativi almeno 7 punti, auspicabile il filotto di tre vittorie consecutive. Basta nascondersi; gli obiettivi si dichiarano e vanno perseguiti. Nascondersi è da perdenti; nascondersi è l’anticamera dell’alibi perfetto, nascondersi ti permette poi di dire: “eh, ma mica era un nostro obiettivo l’Europa… Il nostro obiettivo è crescere”. Palle: obiettivo Europa. La scaramanzia non è pane per chi in testa ha una sola cosa: vincere, godere.

Come dicevo settimana scorsa, sono convinto che nel corso degli anni si sia insinuata nel nostro dna una mentalità perdente che dobbiamo combattere tutti insieme, da Cairo a noi tifosi. Ovvio, una squadra forte e capace di andare in Europa è la conditio sine qua non: ovvio, è necessario completare al più presto e al meglio il Filadelfia; ovvio, è ora di pensare e progettare uno stadio di proprietà (lo stanno facendo il Pisa e l’Empoli, noi no? Dai, su…), ma su questi punti avremo modo di tornare. Oggi mi preme parlare di quello che sta accadendo da tempo all’interno della tifoseria granata con questa lotta fratricida (e ormai stucchevole) tra “accontentisti” e “maicuntent”, termini che solo a sentire mi fanno venire l’orticaria. Hanno ragione i primi a ricordare le gestioni passate e i fallimenti, a sottolineare che Urbano Cairo è stato il primo presidente dopo Sergio Rossi a darci stabilità e che soltanto sei o sette anni fa avremmo fatto carte false per tornare nella parte sinistra della classifica d Serie A. Ma hanno ragione anche i secondi a dire che la mediocrità è il peggiore dei mali, che di plusvalenze non si vive, che senza amore e ambizione saremmo condannati a campionati anonimi. Il punto è un altro, cari fratelli. Siamo sempre meno: non per colpa nostra, abbiamo perso generazioni di tifosi, siamo una delle tifoserie più vecchie d’Italia, non riusciamo a riempire uno stadiolo da 25mila posti e per tenere duro e mantenere alta la bandiera del nostro amato Toro abbiamo una sola soluzione: riunirci, ricompattarci, diventare un unico pugno che combatte contro tutto e tutti. Ciò significa criticare la società quando non è all’altezza, non applaudire come ebeti dopo sconfitte deprimenti, incazzarsi se all’ultimo giorno di mercato si incassano 16 milioni per Cerci e lo si rimpiazza con Amauri, stimolare il presidente a compiere l’auspicato salto di qualità e a fare di tutto per ottenere anche in campo calcistico i grandi risultati ottenuti in campo imprenditoriale. Ma significa anche esserci, partecipare, ammettere alcune grandi intuizioni di mercato (penso a Nkoulou o Meité,  tanto per citare le ultime), la gioia di avere in squadra campioni come Sirigu, Iago Falque e Belotti,  la crescita del settore giovanile.

Siamo granata. Dovremmo essere i primi a sapere che non esistono solo il bianco e il nero, esistono le sfumature. Anzi: cosa c’è di peggio del bianconero nel mondo del calcio? Nulla.

E allora andiamo insieme a caccia di punti d’incontro, altrimenti rischiamo di perdere di vista la realtà del nostro tempo e diventare un piccolo borgo antico di duemila abitanti, una vita fuori dal mondo, il tempo trascorso a dividersi in contrade.

Ci sono tifosi granata che godono se il Toro perde per poter attaccare presidenza, mister, squadra e “accontentisti”; ci sono tifosi granata che godono se il Toro vince per poter accusare i “maicuntent” di ogni colpa e spedire a Venaria tutti coloro che non si accontentano del nono posto. Entrambe le fazioni hanno in comune una cosa: sono più innamorate delle loro opinione che del Toro. E’ un male sottile essere avvinghiati alle proprie opinioni come la patella allo scoglio, un male pericoloso, un male che porta dritto al dogmatismo, all’integralismo e all’ottusità (guarda caso i semi malati da cui nasce ogni totalitarismo)

La vita è sempre stata dura per noi granata. I nostri vicini di casa non sono mai stati cosi forti; oggi sono una delle squadre più potenti e protette del mondo. Il calcio è globalizzazione e business, ma noi abbiamo le nostre carte da giocare. In tale contesto ciascuno di noi può svolgere un ruolo importante mettendo a disposizione la propria intelligenza e la propria passione, applaudendo e fischiando a seconda dei casi, stimolando, suggerendo, cantando, scrivendo, partecipando. Uniti come un pugno, fratelli; non abbiamo alternative.

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