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Urbano Cairo e il debito, parte 2

Anthony Weatherill
Loquor / "Il calciatore/merce è diventata la via più semplice da seguire per realizzare bilanci accettabili e lauti guadagni, e non sarebbe male, prima o poi, che qualcuno facesse chiarezza e trasparenza su tutti i meccanismi regolatori del...

“Il profitto è la naturale conseguenza

                                                     di un lavoro fatto bene”.

Henry Ford

 

Nelle parole dell’intervista a Radio24 non può sfuggire un’ammissione di notevole rilevanza, e cioè il riconoscere la scarsa stima degli analisti finanziari verso le aziende non propense a ricorrere al debito nelle loro attività. Questo perché un debito contratto, in ogni intrapresa, rappresenta sempre l’ottimistica premessa di un ipotetico credito futuro incassato con gli interessi. E’ più o meno, se mi passate l’inusuale analogia, come mettere al mondo un figlio, il quale per ovvie ragioni all’inizio sarà solo un costante debito ma che nel lungo periodo finirà per diventare il miglior credito da incassare che ogni persona o comunità possa sognare di avere nella vita. Cairo, che è un abile e intelligente imprenditore e sa bene di avere scalato con un debito (con la banca IMI dell’attuale presidente della Lega A e vicepresidente della Federcalcio Gaetano Miccichè) il gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, ammette quindi la ragionevolezza dell’indebitamento della Juventus, da Aurelio De Laurentis considerato eccessivo, ma torna a sottolineare la sua idiosincrasia verso l’indebitamento d’impresa. La conclusione del presidente del Torino è che forse lui e il presidente del Napoli dovrebbero aggiornarsi. L’uomo è intelligente, e quindi non dovrebbe sorprendere molto questa sua autocritica. Ma perché allora non mostra di essere conseguente con i fatti alla sua stessa analisi? Difficile dare una risposta ad una domanda del genere e non ho nessuna intenzione di perdermi in ipotesi cervellotiche. Mi fermo al dato di fatto: allo stato attuale Urbano Cairo non ha nessuna intenzione di ricorrere all’indebitamento nella gestione del Torino Calcio. Rilevare ciò da parte mia non è né una critica né un elogio, ma solo una semplice costatazione. Voler decidere di gestire una società di calcio in questo modo è assolutamente legittimo e ha, come ho anche ricordato nell’intervento della settimana scorsa, una sua logica imprenditoriale. Questo modo di fare impresa nell’evoluzione del calcio attuale, ha portato la quasi totalità delle squadre della Serie A a puntare tutta la loro strategia mercantile sulle plus valenze del mercato calciatori e sui diritti televisivi. Una politica completamente diversa da quella seguita dalla quasi totalità delle squadre di calcio europee, che hanno fatto degli stadi di proprietà, delle partnership commerciali e del merchandising il punto di forza dei ricavi dei loro bilanci. Fa impressione vedere Napoli, Milan, Torino, Inter, Lazio e Roma senza stadio di proprietà e senza nessuna strategia precisa di sfruttamento del brand (stendiamo un velo pietoso sulla Fiorentina, in piena agonia progettuale). Getta un po’ di sconforto, almeno a me, vederle agire sul mercato calciatori alla stessa stregua di un qualsiasi mercato delle vacche.

Il calciatore/merce è diventata la via più semplice da seguire per realizzare bilanci accettabili e lauti guadagni, e non sarebbe male, prima o poi, che qualcuno facesse chiarezza e trasparenza su tutti i meccanismi regolatori del mercato calciatori e su in quanti e quali rivoli finiscano i fiumi di denaro che lo animano. Sono mesi che sulla piazza di Napoli si discute sul fronte ricavi, non in crescita da almeno tre anni, della società presieduta da Aurelio De Laurentis, uscita dalla top20 della Football Money League, la classifica dei ricavi delle società di calcio stilata ciclicamente dalla Deloitte. Anche il Napoli è una società che si fa vanto di non avere debiti finanziari(è importante ricordare che gli azzurri sono la società più liquida della Serie A. In cassa ci sono 118 milioni custoditi presso Unicredit), ma che sostanzialmente non ha avuto uno sviluppo infrastrutturale e commerciale. Quasi tutti i debiti e i crediti del calcio Napoli sono legati esclusivamente al mercato calciatori e ai diritti tv di Lega A e Champions. Lo stallo della crescita dei ricavi della società presieduta da Aurelio De Laurentis è ormai sotto gli occhi di tutti gli analisti finanziari, e stiamo parlando della seconda forza, con molto e imbarazzante distacco dalla prima, della Serie A. Il dato preoccupante sono i ricavi che non crescono, mentre i costi di produzione continuano a salire. Nonostante le roboanti dichiarazioni del patron della Filmauro di voler partecipare entusiasticamente alla nascita di un campionato europeo per club, il rischio eventuale di rimanerne fuori è altissimo. Perché come sostiene Marco Bellinazzo, autorevole specialista del settore per conto del Sole24Ore e notoriamente tifosissimo del Napoli, “il divario tra azienda e squadra appare sempre più ampio”. Il fatturato del Napoli, nell’ultimo bilancio, ha subito una contrazione del 32% soprattutto perché ha ricavato -74 milioni provenienti dalle plusvalenze. Non credo serva aggiungere altro. Quando una società come la Lazio l’anno scorso dal merchandising ha ricavato solo 1,47 milioni di euro(e di stadio nuovo di proprietà nemmeno a parlarne) e la Roma si ferma a poco più di 4 milioni(qui lo stadio di proprietà sfocia nel campo mitologico/giudiziario), è facile comprendere che se in passato ingenti debiti sono stati fatti, certo non hanno avuto l’obiettivo infrastrutturale e commerciale. Inter e Milan, ormai in mano di proprietà straniere importanti, sembrano aver appena imboccato la strada da anni intrapresa dalla Juventus. Fanno ben sperare le notizie di questi ultimi giorni, auspicando abbiano finalmente un fondo di realtà, dei due club milanesi vogliosi di giungere ad uno stadio nuovo e di proprietà.

Sarà un progetto sicuramente realizzato a debito, ma che nel tempo genererà crediti. Vale la pena ricordare che quando i debiti sono realizzati per le strutture del club, sono debiti fatti per i tifosi perché contratti per cose che rimarranno nel tempo. Cose fatalmente destinate a generare ricavi, che fatalmente renderanno più ricco il club, che fatalmente potrà anche scegliere se investire maggiormente nel mercato giocatori per provare a raggiungere qualche risultato sportivo importante. Risultato sportivo importante  foriero  di aumento di natalità di nuovi tifosi per il club. E’ una semplice e normale regola di mercato. Questo non vuol dire, come qualche buontempone(chiamiamoli così per carità di patria) ha provato a sottolineare, che io auspichi un aumento dei costi del calcio, prefigurando quindi una mia contraddizione su quanto sostenuto fino ad oggi. Personalmente, e chi ha la pazienza di seguire questa rubrica da quando è nata lo sa bene, sono contro il denaro che prevarica il sistema calcio e le sue istituzioni, sono contro chi vuole utilizzare il calcio come un facile mezzo di moltiplicazione di denaro. Sono contro chi, e qui la mia Inghilterra è storicamente la colpevole numero uno, ha sporcato le maglie, per me sacre, con le sponsorizzazioni e ha quotato le società di calcio in borsa. Ma non ho mai sostenuto, ne mai sosterrò, di essere contro il libero mercato e la necessaria e giusta struttura mercantile che il calcio deve  avere. In conclusione,  i presidenti come Urbano Cairo sono ovviamente liberi di agire come vogliono, e sono assolutamente legittimati nel farlo. La gestione fatta di plusvalenze di mercato , diritti televisivi e bilanci privi di debiti bancari si può considerare anche qualcosa di accettabile. Ma non si può redarguire chi rileva in questo modo di fare un avvenire di certo tranquillo ma privo di ambizioni. Se non per i propri, legittimi, affari.

 

(ha collaborato Carmelo Pennisi)