Il Torino ha salutato ad uno dei suoi dirigenti più legati all'ambiente granata. Silvano Benedetti, dopo una lunga carriera da giocatore prima e da dirigente poi, lascia il club di Urbano Cairo. Torino Channel l'ha intervistato per avere delle dichiarazioni di congedo alla squadra che ha seguito per tanti anni.
le voci
Benedetti: “Grazie, il Toro rimane nel cuore. Voglio stare con la famiglia”
Domanda per chi vuole andare in pensione: sei attratto dai cantieri? "Ancora no, non mi sento ancora pronto per andare a vedere i cantieri. C'è bisogno di staccare un attimo la spina da un mondo stupendo, che mi ha regalato tantissime emozioni. Un mondo che mi ha tanto impegnato ed è per questo che ho scelto di fare una pausa per caricare le pile e, magari un domani, di continuare sempre nel calcio, che è il mio mondo".
Il direttore Ludergnani ha detto che ha tentato di convincerti con Cairo a rimanere, ma non c'è stata possibilità. Ha anche detto che ti capisce perché questo mestiere, mettendoci tutta la passione necessaria, ti occupa moltissimo tempo tutto l'anno. "Con Ruggero ci siamo parlati già prima di Natale ed è stata una bella chiacchierata. Lui, da responsabile, ha provato a stimolare la mia persona a rimanere in questo ambiente. La mia è stata, però, una scelta ponderata da diverso tempo. Ho fatto delle mie valutazioni interne che mi hanno portato a questa scelta. Proprio come dice Ruggero, quando uno fa calcio (c’è chi fa la Prima Squadra, chi fa il Settore Giovanile e chi fa la Scuola Calcio), se la prendi con passione e serietà, ti prende 24 ore su 24. Quando è arrivato Ludergnani ha detto che il calcio al Toro deve essere sette giorni su sette. L'ho fermato e gli ho detto che per me è otto giorni su sette. A tutte le ore dobbiamo essere sempre disponibili. Questa è anche la filosofia del presidente. Se vogliamo ottenere dei risultati, bisogna lavorare tanto. Tutta una filosofia sposata per il Toro e per la persona che sono, quando faccio una cosa la devo fare bene nei limiti delle mie possibilità. Per questo ci ho dedicato tanto e mi ha preso anche tanto. Giusto prendere una pausa per dedicare quel tempo, che ho perso, alla famiglia e ai nipoti.
Siamo in un luogo simbolico. Perché hai scelto il Fila per questa chiacchierata? "Tutto è nato al Filadelfia. Io sono arrivato nell'Ottanta con i miei due fratelli che mi hanno accompagnato, dopo aver salutato i miei genitori. Questo è stato il primo passo dove ho mosso il mio tesseramento al Torino. Ho firmato il mio primo cartellino del Torino nell'ufficio dell'avvocato Cozzolino. Dopo aver fatto tre provini in Toscana nel '79 e l'ultimo proprio al Filadelfia dove, il povero Ellena, capo scouting con l'avvocato Cozzolino e altri osservatori, mi ha dato la possibilità di esser stato scelto dal Torino. Sono arrivato al Fila a ritirare il materiale per fare il primo allenamento nel magazzino del Torino. C'era Mario Ranzetti, custode del Torino, e gli ho chiesto con grande umiltà di aver una divisa. Lui mi disse di non rompere le scatole e di aspettare il mio turno. Già si respirava un'aria di storia e il cuore batteva a mille"
Qui poi avresti fatto migliaia di partite e allenamenti tra settore giovanile e prima squadra. "Ho fatto allenamenti dai giovanissimi in su, con la Primavera tantissimi derby con gli spalti pieni di gente. Era uno spettacolo il derby Primavera giocato al Filadelfia. Mi piace anche raccontare quando in un derby dovetti marcare Giuseppe Galderisi, fiore all'occhiello della Primavera della Juventus. Vincevamo 1-0. Ad un certo punto, al 90', mister Vatta mi urlò di non fare fallo su Galderisi, che io marcavo a uomo da dietro, perché allora si faceva così. Lui si girò, partì ed entrai in scivolata, facendo fallo. Da Vatta, psicologo fuori che si trasformava in panchina, ho ricevuto tantissimi insulti dopo il rigore segnato. In quel momento andai in area e segnai il 2-1, salvandomi in calcio d'angolo. Questo aneddoto, io, e i miei compagni di allora, lo ricordiamo sempre con tanto affetto".
In questi ultimi giorni c'è il passaggio di consegne con il tuo successore. "Tante emozioni, è stata scelta questa location per respirare alle famiglie cosa vuol dire essere del Toro. Un conto è il Comunale, un altro è il Filadelfia. Arrivano qua, vedono la casa madre del Toro. Questo è un modo per far respirare al nuovo responsabile la storia del Toro. Gli auguro di essere all'altezza, ma ne sono sicuro che lo sarà perché è un ragazzo preparato, perché la gente del Torino merita gente professionale".
Sei stato per 18 anni responsabile dell'attività di base del Torino FC. Dal 2005 ad oggi qual è il tuo bilancio personale? "Sicuramente è stata un'esperienza unica ed incredibile. Ho iniziato questa esperienza con Antonio Comi. Il presidente, nell'epoca del fallimento, ci fece un lungo colloquio a Milano. Conosceva le nostre qualità. Ci ha spronato a dimostrare che se fossimo stati all'altezza avremmo avuto degli anni davanti. Così è stato. Ci ha dato fiducia e di questo lo ringrazio. Ci ha stimolato a far bene e meglio. Lui è una persona ambiziosa e l'ha sempre dimostrato. Non ci siamo mai seduti. Abbiamo sempre dovuto lottare, perché è giusto così. La vita è questa. Ci ha dato la possibilità di vivere per 18 anni, più i cinque precedenti all'Era Cairo, nel Toro. Penso che non sia facile fare questo mestiere per 18 anni ed essere riconfermati. Per il presidente è giusto che se uno è valido vada avanti e ce lo ha dimostrato".
Ti dà maggiore gratificazione la carriera da giocatore o da dirigente? "Sono state entrambe meravigliose. L'esperienza da calciatore mi ha regalato tantissimo. Nel momento in cui avrei sperato di rimanere, mi hanno venduto alla Roma. La sera della firma con la Roma io e mia moglie ci siamo messi a piangere. Scusatemi, mi prende l'emozione. Ci è dispiaciuto. Ho fatto il regalo nella finale di Coppa Italia persa contro il Torino, quand'ero nelle file della Roma. All'epoca feci di tutto per vincere. Col senno di poi son contento che la finale sia andata al Toro".
Qual è il consiglio che hai maggiormente dato alle famiglie? "Quello di non pensare di avere un campione in casa, ma di avere una grandissima opportunità perché vestire la maglia del Torino, come quella di qualunque altra professionistica, ha una grandissima storia, che cerchiamo di trasmettere sempre, come hanno fatto i nostri maestri: Vatta, Naretto, Marchetto, Ussello... Maestri prima di vita e poi di calcio. E poi di dare la possibilità a questi bimbi di divertirsi il più possibile perché solo attraverso il divertimento si possono ottenere grandissimi risultati. Se si crea una pressione fin da piccoli, si rischia di annullare la loro spontaneità e questo non va bene. Questo può limitare la riuscita o no di un talento".
E ai piccoli calciatori? "Ai piccoli calciatori di divertirsi. Loro non hanno colpe, vanno in campo per giocare e divertirsi. Spesso sono inquinati dagli adulti, intesi come tutto l'entourage che gira intorno alla figura del bimbo dai genitori, ai mister, ai dirigenti... Troppo spesso si pretendono cose esagerate per ottenere risultati personali e questo non va bene. Bisogna cercare in primis di lasciare la possibilità al bambino di crescere nella massima serenità".
Il Toro ti ha dato molto. Torino ti ha dato tutto: una moglie adorabile, due figli esemplari, i nipotini... Cos'altro chiedere alla vita? "Adesso comincia quello che avrei dovuto fare quarant'anni fa: stare di più con la famiglia. Però mi hanno accompagnato e sostenuto in questo percorso stupendo per svolgerlo nel migliore dei modi. Ogni tanto chiedo a mio figlio, che è del '92 e gioca a calcio, se si ricorda qualcosa, ma dice di no. Mi fa piacere che viva lo sport. Ne ho un altro che studia medicina. Abbiamo tanto da fare. Spero che anche i nipotini possano trovare la propria strada nella massima serenità, però ripeto che è giusto dedicare del tempo anche a loro in questa parte della mia vita.
Grazie di tutto, Silvano. Buona vita e Sempre Forza Toro! "Grazie a voi. Sempre Forza Toro! Non finirà: il Toro rimane nel cuore. Vivrò qui a 500 metri. Spesso e volentieri mi vedranno lo stesso in questo ambiente".
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