interviste

”C’è troppo amore e poca pazienza”

Edoardo Blandino

di Edoardo Blandino

 

Gigi Simoni il Torino lo sente nel sangue. Quando parla dei colori granata la sua voce cambia timbro e si sente tutta l’emozione ed il piacere che ha nel...

di Edoardo Blandino

"Gigi Simoni il Torino lo sente nel sangue. Quando parla dei colori granata la sua voce cambia timbro e si sente tutta l’emozione ed il piacere che ha nel commentare i risultati della squadra. D’altronde è tifoso di questa società, ci ha giocato e l’ha anche allenata. La sua fede è talmente evidente che parlandoci insieme afferma anche: «Immagino si sia capito per chi farò il tifo domenica. […] A 60 anni, dopo aver girato tante squadre, ne tifo solo una».

"Mister, iniziamo con l’avversaria: che cosa si ricorda di Piacenza?«È stato un anno brutto, un anno di disgrazie, nato male e finito peggio. L’ambiente mi ha accolto con poca simpatia perché avevo allenato il Cremona ed ero andato in A. Le due piazze non si amano e non me lo hanno mai perdonato. I tifosi mi contestavano e al primo momento negativo è arrivato l’esonero. Ma devo dire che è stato un sollievo. Ci sono esoneri brutti ed esoneri piacevoli, sinceramente in quel caso è stato positivo».

"Passiamo al Toro. Da calciatore ha vissuto degli anni felici.«Il Toro è la mia squadra. Sono sempre stato tifosi di questa maglia fin da piccolo, quando a 10 anni successe la disgrazia. Poi ci ho giocato tre anni e mi sono affezionato tantissimo. Oltretutto la mia convocazione in nazionale è arrivata proprio con questi colori e ciò ha aiutato a legarmi ancora di più alla città».

"E invece, come allenatore, non è stata un’esperienza piacevole?«Quello da tecnico è stato un anno strano. Arrivai all’ultimo con la squadra fatta in fretta. A gennaio provammo ad aggiustare la rosa, ma non mi diedero il tempo di far integrare tutti i nuovi giocatori. Camolese al mio posto fece un ottimo campionato e vinse. È stato molto bravo. Ma sinceramente penso che anche io avrei potuto fare bene. La Piazza non ebbe pazienza. È sempre stato questo il problema del Toro».

"Si spieghi meglio.«I tifosi sono come quelli genoani: vivono il calcio in modo passionale e viscerale. Sono quel genere di tifoso che si tramanda l’amore per questa squadra da generazione a generazione. Purtroppo, a causa di questa enorme infatuazione, si arriva all’eccesso. Il troppo amore non sempre aiuta. La realtà del Toro è la Serie B ora e la squadra va aiutata».

"Intende dire che non fosse giusto contestare?«Purtroppo, in questi anni, la squadra ha continuato a vivere promozioni e retrocessioni: A e poi B, B e poi A. Il tifoso giustamente si stanca. Però bisogna capire che la realtà è questa e la squadra è questa. Ho sempre pensato che nel calcio quando vinci qualcosa è perché tutte le componenti hanno dato una mano. Tifosi, giocatori, giornali, squadra, società… tutti quanti hanno lavorato insieme».

"E in questo momento non succede?«Quando si creano delle aspettative troppo grandi, poi ci si arrabbia se il risultato non è positivo. C’è grande fretta di tornare e non si accetta di non essere primi con 10 punti di vantaggio sugli avversari. C’è troppo amore e poca pazienza. Purtroppo si vive nel passato ed è anche comprensibile. D’altronde questa squadra ha avuto anche un’altra seconda storia importante. Noi, per esempio, con Radice arrivammo terzi. Ma purtroppo nel calcio si vince e si perde e capita di retrocedere. Bisogna aiutare la squadra ed in questo momento la contestazione nasce troppo in fretta».

"In carriera lei ha sempre ottenuto risultati importanti, tuttavia, a parte l’Inter, con cui ha vinto una Coppa Uefa, non ha mai allenato squadre di primissimo piano. Come mai?«Sono sempre andato vicino ad allenare grandi squadre. Dovevo andare alla Roma, poi è arrivato Eriksson. Boniperti mi voleva alla Juve, quando allenavo il Genoa, poi hanno preso Trapattoni. Però ho allenato la Lazio e anche il Napoli, per non parlare del Torino. Anche queste sono grandi squadre. Sono contento della mia carriera».

"Allora non ha nessun rimpianto.«Ho vinto otto campionati da allenatore e devo dire che ero curioso di vedere come avrei potuto allenare in club più importanti. Con il Napoli arrivai in finale di Coppa Italia, ma mi esonerarono poco prima perché firmai con l’Inter. Con i nerazzurri ho vinto una Uefa e poi mi mandarono via dopo aver battuto il Real Madrid in Coppa Campioni. Diciamo che per me allenare una grande era più una prova con me stesso. Se dopo anni i tifosi dell’Inter mi ricordano ancora con affetto, significa che qualcosa di buono ho fatto. Credo di aver superato l’esame e di aver dimostrato che avrei potuto allenare anche a grandi livelli».