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Don Rabino: ‘Tifare Toro è vivere’

Redazione Toro News

Ha tanto da raccontare Don Aldo, prete salesiano dalle ampie vedute, testimone oculare di tanti anni di vita granata, ma anche di opere sociali di altissimo livello. Uno come il don non poteva che essere il padre spirituale del Toro, una...

Ha tanto da raccontare Don Aldo, prete salesiano dalle ampie vedute, testimone oculare di tanti anni di vita granata, ma anche di opere sociali di altissimo livello. Uno come il don non poteva che essere il padre spirituale del Toro, una persona soprattutto vicina a chi ha bisogno, con una preghiera, ma soprattutto tanta comprensione e umanità.Don Aldo lei è tra i nominativi del Granata dell'anno, che effetto le fa?

"“Mi sento spiazzato perchè non so se merito tutto questo. Sono nato con il Toro nel cuore, da ragazzino c'era solo il calcio, giocavo, ho fatto anche un provino, pensate un po' proprio con Giorgio Ferrini, siamo dello stesso anno. Avevo già firmato il contratto dopo aver giocato in una rappresentativa che racchiudeva Toro e Juve nel '55, ma poi ho lasciato perdere per riprendere gli studi e ho chiuso di brutto con il calcio giocato. Avevo fatto studi tecnici, già lavoravo, per cui quando decisi di entrare in seminario gli studi erano molto seri e dovevo applicarmi al massimo. Che dire, è un riconoscimento che mi inorgoglisce e fa piacere, tocca un qualcosa che fa parte del mio dna, rinunciare a tifare Toro è come rinunciare alla vita. ”.

"Com'è entrato in seguito nel giro del Toro?

"“Intanto ci tengo a precisare che non ho avuto nessun rimpianto per aver lasciato il calcio, stare con i salesiani mi ha permesso di rimanere vicino allo sport, avendo avuto anche l'opportunità di stare a contatto con don Gino Borgogno, fondatore delle Polisportive salesiane. Nel '72 proprio grazie a questi contatti mi chiamò l'avvocato Cozzolino per venire al Torino a dare una mano a Don Francesco Ferraudo, il quale aveva meno tempo per seguire la squadra. Nel frattempo all'Oratorio San Paolo ho creato un gruppo sportivo di notevole interesse, in quanto sono stato il primo presidente a vincere il titolo piemontese nel campionato italiano di pallavolo, della Fipav, la mia squadra tra l'altro ha fornito molti giocatori alla Klippan. Nel '74 ho costruito a Maen, in Val d'Aosta, una struttura sportiva che servì come ritiro estivo per alcune squadre giovanili del Torino. Sempre l'avv. Cozzolino intuì i suoi valori e mandò su Puja, che aveva con sé i giovani Camolese, Cravero, E. Rossi, Cuttone, avevano 14 anni, nacque così un altro particolare rapporto. Ho portato a Maen, dal '78 al 2000, molte giovanili granata tutte le estati, fino a quando Comi e Benedetti non hanno creato i campi estivi della scuola calcio. Dal '78 ho iniziato ad avere più rapporti con la prima squadra soprattutto quando don Francesco che si ritirò”.

"Ma come viene visto un prete all'interno di una squadra?

"“Le cose sono tutte da inventare, non esistono regole fisse, bisogna sapersi far accettare. Questo comporta soprattutto creare un buon rapporto umano, presentarsi nel modo giusto. Gradualmente si sviluppa il rapporto partendo da questioni logistiche, come trovare l'alloggio ai giocatori, gli asili e le scuole ai figli. Per i più giovani si aiuta l'inserimento per chi è lontano da casa. Mi ricordo ad esempio di Comi, arrivato qui giovanissimo. Sua madre sentiva me per sapere come andava a scuola, come si comportava. Era più tranquilla se lo seguivo io. Il 4 dicembre battezzerò il figlio di Brevi. Ho fatto il corso matrimoniale a Sorrentino, a Ferrante, a Lucarelli, che ha fatto anche la cresima. Queste cose le faccio seriamente, senza mai pensare che sono calciatori”.

"Però nel frattempo ha avuto modo anche di girare un po' il mondo per creare delle importantissime opere sociali.

"“La mia vita fuori dai confini nazionali iniziò negli anni della contestazione del '68, da cui partì poi l'operazione Mato Grosso, attiva e ampliata ai giorni nostri. Ho cominciato così a lavorare in modo diretto nel campo missionario. Nel '69 con altri salesiani andai in Bolivia, a Santa Cruz de la Sierra,era appena morto Che Guevara, cercammo di aiutare i contadini della zona ad avere più opportunità di sopravvivenza, creando delle piccole scuole e ospedali. Durante quel viaggio, passando proprio per il Mato Grosso, scoprimmo il lebbrosario in Brasile, che cambiò ancora di più la mia vita. Oggi continuiamo, abbiamo costruito un ospedale per bambini, delle scuole, anche una di basket. Non ho mai perso di vista lo sport, negli anni ' 60, mentre studiavo a Roma, fui anche consulente di un centro sportivo della capitale”.

"In questi suoi anni in granata qual è il ricordo più forte che ha del Toro?

"“Come soddisfazioni mie personali ne ho tre: lo scudetto del '76, dove ho versato un sacco di lacrime dalla gioia. Poi le ultime promozioni, con quella di Camolese con cui l'ho vissuta più da protagonista. Emozionanti le ultime due, quella con Zaccarelli e quella di quest'anno, ti rimangono dentro per sempre. Quella del 2006 l'ho vissuta proprio in prima persona, scendendo negli spogliatoio prima della partita, vivendo il momento prima di andare in campo. Sotto l'aspetto umano ricordo i ragazzini che sono cresciuti e andati in serie A, che ho seguito magari dalla comunione al matrimonio, ho battezzato i loro figli, condiviso una vita con loro. E' bello quando ti vengono a cercare, ti chiamano, ti fanno partecipe dei loro momenti. Vado sempre a dire la messa alla vigilia di ogni partita, negli ultimi 25 anni l'ho fatto quasi sempre, avrò saltato al massimo sette, otto partite”.

"Come definirebbe la tifoseria granata?

"“Intanto farei una distinzione tra quelli che vanno in zone dello stadio più care e dormono un poco a livello di tifo, che sanno esaltarsi solo nel momento travolgente. In curva c'è tifo umano, da vero dodicesimo uomo in campo. Anche i giocatori lo sentono. La nostra è una tifoseria che non dimentica, che ricorda la tragedia di Superga come fosse successa ieri, cosa che alla Juve non succede, hanno perso Scirea, Fortunato e altri, ma non c'è tutto questo sentimento nei ricordi”.

"Cosa rappresenta per lei il Centenario?

"“E' niente altro che ritornare a vivere con 100 anni sulle spalle, ma rinati, capaci di ripartire, qualcosa che ha il senso della vita che non muore”.

"Come festeggerà il 3 dicembre?

"“Dirò la messa alle 9,30 a Superga, poi vediamo cosa mi diranno di fare”.

"Che cosa fa Don Ado quando va a trovare la squadra in ritiro o al centro Sisport?

"“Non amo farmi troppo vedere, sono rapidi incontri che fanno capire la situazione. Si tira su il morale, si dà la carica, ad esempio Barone mi ha detto che era stato a Lourdes e così a volte da una battuta banale, nasce un dialogo e umanizza il rapporto. E' importante per loro non sentirsi soli. Quando vado in ritiro, se è un'ora decente, faccio sempre un giro in camera, loro sono contenti perchè si sentono, come dire, coccolati”.

"I giocatori sono più soli degli altri individui?

"“In un certo senso sì, raramente esplodono nella propria città, per cui sono spesso lontani da casa. Ad esempio portai su Calaiò, che scoprii io, suo padre lo voleva portare via, poi quando seppe che c'ero io gli permise di stare qui. C'è un certo senso di solitudine, soprattutto quando succede un infortunio, qualcuno rischia di andare in crisi, sentendosi abbandonato”.

"Cosa pensa di Fiore?

"“Non lo conosco ancora bene, prima di entrare nella confidenza bisogna aspettare dei mesi, c'è sempre chi stenta più degli altri ad integrarsi. Fiore è un ragazzo molto educato, ma più chiuso, mentre Barone è più estroverso, con lui si parla di più. Il gruppo dell'anno scorso è stato particolare, si risorgeva dalle ceneri, è nato un rapporto più intenso. L'inserimento di alcuni giocatori nuovi, già affermati, il cambio dell'allenatore che ha scombussolato l'ambiente ha creato qualche fatica in più. Anche per me è tutto nuovo, ancora da comprendere”.

"Zaccheroni è un allenatore da Toro secondo lei?

"“E' presto per dirlo, noi siamo abituati a pensare ad un tecnico ruspante, emotivo, sanguigno. Per me è un signore, educato, molto preparato, ricco dal punto di vista umano, ma non esplosivo come De Biasi, Mondonico. Più alla Camolese, infatti c'è stima reciproca tra i due. Zac ha una venerazione per Radice e il suo gioco, per cui è molto determinato a fare bene”.