Angelo Gregucci è ormai un affermato tecnico. In questa stagione è rimasto fin qui ai box dopo l’esperienza vissuta ad Alessandria nel passato torneo di Serie C (fu sostituito in corso d’opera da Moreno Longo). Classe 1964, da calciatore ha vestito per tanti anni la maglia della Lazio e ha giocato nel 1993/1994 sotto la Mole con il Torino. In esclusiva su Toro News il tecnico analizza il momento delle due compagini, prossime avversarie in Serie A.
Esclusiva
Gregucci a TN: “Qualità? O te la crei in casa o la devi comprare a caro prezzo”
In esclusiva su Toro News le parole dell’ex giocatore di Lazio e Torino, oggi in cerca di panchina dopo l’esperienza all’Alessandria
Buongiorno mister, che partita si aspetta sabato sera tra Lazio e Torino?
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“Sarà una sfida equilibrata tra due squadre in un buon periodo. La Lazio, derby a parte, ha sfornato prestazioni di livello e ha ottenuto risultati positivi. Il Torino è sempre squadra caparbia. Per quanto prodotto e fatto non ha i punti che meriterebbe in classifica. Alcuni episodi hanno condizionato i granata, soprattutto nel girone di ritorno. Proprio per tali ragioni prevedo una partita aperta sabato sera”.
A confronto due filosofie di calcio differenti, quelle di Maurizio Sarri e Ivan Juric?
“Sì. Juric è alla ricerca dell’uomo, degli accoppiamenti, dei duelli. Penso sia tutto sommato il modello più simile alla mentalità storica del calcio italiano. La Lazio con Sarri ha invece un modo di giocare molto più strutturato. Si lavora sul riconoscimento di tracce e di catene di gioco. Le filosofie sono molto differenti: da una parte si interpreta l’uomo, dall’altra la traiettoria. Anche il modo di difendere è diverso: uno difende sul riferimento, l’altro sul reparto”.
Chi l’ha più sorpresa tra gli interpreti del Torino in questa stagione?
“Penso che per la solidità che ha dimostrato nell’arco della stagione Bremer sia la sorpresa in positivo del Torino. Il brasiliano è al top a livello nazionale e internazionale. Più squadre hanno messo gli occhi su di lui. È normale che ciò accada perché parliamo di merce rara. Negli ultimi 10/15 il calcio è cambiato parecchio e a maggior ragione Bremer diventa importante. Il Torino avrà la fortuna di capitalizzare con lui, farà i soldi”.
In Serie A è così difficile far giocare i giovani?
“Ci sono dati oggettivi che certificano la difficoltà di far giocare i giovani. Non esistono opinioni a riguardo, altrimenti si scade nella banalità, ma ci sono soltanto dati oggettivi. Il sistema fatica a valorizzare i giovani: il modello calcio italiano deve riflettere su una riforma. Il cambiamento è necessario perché questo format non paga. Al martedì e al mercoledì si possono gustare partite in cui le nostre squadre non compaiono più e sembra di osservare gare di tutt’altra qualità. Siamo il campionato europeo dove la percentuale di giovani nati in Italia e schierati regolarmente è di gran lunga la più bassa. Siamo un paese che giudica e mette in discussione il tecnico dell’Under-21 dell’Italia dopo che costui aveva denunciato tutte le sue fatiche per effettuare le convocazioni di giocatori effettivamente impiegati nei loro club. È vero che siamo la nazionale con più campionati europei Under-21 vinti ma non ne vinciamo uno da tempo immemore. Facciamo una fatica terribile a dare spazio ai ragazzi e proprio per questo servono riflessioni urgenti”.
Concorda con Juric quando dice che al Torino manca un po’ di qualità?
“La qualità nel calcio si può potenziare ovunque. Però, ci sono delle condizioni: se tu non crei la qualità in casa, la devi comprare a caro prezzo. Il Torino ha una tradizione consolidata nel settore giovanile e posso parlarne per esperienza personale. Quando giocavo in granata, fiorivano ragazzi del Filadelfia con grande facilità. Se tu non hai più da attingere da quel serbatoio, allora servono soldi e investimenti che però in questo momento sono difficilmente spendibili ed effettuabili da chi si trova oltre il sesto/settimo posto nel nostro movimento. La qualità, sintetizzando, o te la crei o te la compri: in altre parole o hai grandi giovani che ti sei costruito oppure ti serve un investimento importante, soprattutto se vuoi assicurarti un giocatore forte e giovane”.
Ha accennato alla sua esperienza in granata: come la ricorda?
“Si vociferavano problemi societari, ma si poteva guardare al settore giovanile e stavano emergendo ragazzi come Cois, Sordo, Venturin, Carboni. Almeno sotto il profilo della continuità il patrimonio del Torino era salvato dai prodotti del settore giovanile. Erano arrivati anche dei buoni risultati, tanto che l’anno prima del mio arrivo si arrivò in finale di Coppa Uefa. Il Torino aveva delle difficoltà societarie, ma era un Torino di alto profilo. Aveva tanta qualità, anche contestualizzata in un campionato italiano che aveva l’ipoteca della qualità a livello mondiale. Inoltre, in Italia si sottovalutano altri aspetti. Se un ragazzo cresce in una società, avrà un senso di appartenenza, una conoscenza del club e una riconoscenza verso lo stesso: sono valori aggiunti da tenere presenti. Però, per avere un settore giovanile di un certo tipo servono un progetto e degli investimenti oculati”.
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