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interviste
E’ l’autore del documentario più completo finora realizzato su Gigi Meroni, con un perfetto mix fra la storia dell’uomo e quella del calciatore, accompagnate da musiche scelte...
"E’ l’autore del documentario più completo finora realizzato su Gigi Meroni, con un perfetto mix fra la storia dell’uomo e quella del calciatore, accompagnate da musiche scelte sapientemente fra quelle dei “Beatles” (fino al ’67), “The Animals” e Jimi Hendrix. Felice Pesoli lo ha presentato in anteprima venerdì durante il granata day del Festival del Cinema Internazionale di Gavi dedicato al musicista Francesco Lavagnino. Risultato: quasi due minuti di applausi spontanei di oltre 300 persone, (fra cui i soci del Toro Club Valle Scrivia) alla fine della proiezione che sarà replicata sugli schermi Rai in autunno, durante la trasmissione di Giovanni Minoli “La Storia siamo noi”.
"Pesoli come nasce l’idea di questo documentario ?
"Sto passando in rassegna i miei miti giovanili, dopo Walter Chiari, Meroni.
"Ma scusi lei non è milanista ?
"Sì però Meroni per me, da piccolo, incarnava la ribellione al sistema. Era un ribelle rappresentativo di un modo di essere a tutto tondo.
"Un ribelle che però in campo e in allenamento non sgarrava mai…
"Anche per essere beatle devi essere un professionista. Lui lo era fino in fondo, solo così poteva permettersi il resto. Diceva sempre Rocco: “Mi desse un pretesto in campo per staccargliene due, ma è sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via”.
"Nel suo documentario si vedono tutti i gol di Meroni, cosa rara, e gli assist ?
"Li ho voluti sintetizzare parlando di Combin. Quando i due si incontrano questi era un giocatore alla frutta. Grazie alla vicinanza di Gigi che gli sfornava assist al bacio, ritornò all’onor del mondo.
"E’ corretto dire che i tre gol di Combin nel derby dopo la sua morte rappresentano la sintesi dell’eredità di Meroni ?
"Sono stati tre reti cariche di rabbia sorda. A cui è seguita un’esultanza silenziosa, totalmente diversa da quella di oggi, sul campo è sicuramente così.
"Nel documentario ha fatto parlare, amici, parenti e la sua donna. Adesso chi è Meroni per lei?
"Un divo pop, ingenuo, tranquillo, cresciuto alla dura scuola della vita che sapeva coniugare in modo eccezionale la dolcezza del gesto a un’inflessibilità rara. Era disponibile, ma se credeva in una cosa non cedeva di un centimetro.
"Cosa l’ha colpita di più incontrando chi lo ha amato e conosciuto ?
"Un fatto successo prima di cominciare le riprese: quando ho visitato il ceppo di corso Re Umberto ho trovato una lettera scritta da una ragazza di vent’anni a Meroni. Questo è la forza di un mito che vive ancora. E poi tutte le strampalate coincidenze della sua morte...
"Cosa ha voluto rappresentare in questi 55 minuti ?
"Un ragazzo di provincia che ha espresso al meglio l’oro della provincia italiana. La sua più che una rivolta politica, è stata una rivolta esistenziale di una persona che ha voluto vivere alla sua maniera e ci è riuscita. Somigliava a Che Guevara, ma frequentava l’oratorio e faceva divertire le folle di tutti gli stadi in cui andava a giocare.
"Perché i tifosi del Toro lo hanno amato e lo amano ancora così tanto ?
"Perché li ha fatti divertire, con semplicità. Sapeva essere leggero nel tocco di palla, ma quando si trattava di tirare, piantava delle cannonate incredibili per essere che aveva gambe così esili. E poi era un personaggio contro, che è l’essenza dell’essere granata.
"Che lezione lascia Meroni ai giovani di oggi ?
"Quella di un individualismo che non si confondeva con l’egoismo. Lui giocava a pallone, era duro ma corretto, faceva quello che doveva ma non si dimenticava mai dei suoi compagni di squadra, che non a caso lo adoravano. Dopo i rigori consolava i portieri ma non per sfotterli, ma perché era leale.
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