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(foto da Twitter @MarcoBellinazzo)
"Le nuove guerre del calcio” è il nuovo libro di Marco Bellinazzo, giornalista del Sole24ore ed esperto di politica sportiva e calcio&business. Bellinazzo ha avviato un giro d’Italia per presentare l’opera edita da Feltrinelli e in libreria dal 15 novembre e per la tappa di Torino ha scelto il bar Norman la sera del 2 dicembre, poche ore prima del 116° compleanno del Torino. Partendo da questo abbiamo avviato una chiacchierata che tocca diversi temi, tra Toro e non solo.
La scelta del luogo e della data per questa sua tappa torinese immaginiamo non sia casuale.
“Assolutamente no. Nel libro ho voluto affrontare il senso del calcio e della democrazia, non con un atteggiamento nostalgico. Però, stando qui dove è nato il Torino, un club tra i più iconici per quanto riguarda il sentimento del calcio, volevo esaltare il fatto che per sopravvivere all’eccessiva finanziarizzazione, ai giochi geopolitici, ai fondi governativi che si stanno accaparrando il calcio per i propri fini, l’unica strada è quella di riportare al centro del calcio i tifosi. Utilizzando strumenti tecnologici come i fan token, o normativi, come il crowdfunding o forme di azionariato diffuso. Non credo che esistano ricette assolute e applicabili in ogni contesto, ma ogni club dovrebbe ristrutturare il proprio patto esistenziale intorno al principio per poi i tifosi sono sicuramente dei clienti del club, ma non possono essere ridotti solo a questo ruolo, così come i club non possono essere solo erogatori di servizi. I club devono essere organismi vivi e questa vitalità c’è solo se i tifosi possono far sentire la propria voce. Dicendo questo parlo proprio dei tifosi, delle famiglie, dei veri appassionati, non alle frange del tifo che lucrano sul calcio e devono essere allontanate, forse proprio grazie ad un patto con i veri tifosi”.
In casa Toro, il Filadelfia potrebbe essere un fulcro di questo patto tra club e tifosi?
“Ogni elemento della storia di un club se rinfocolato può far riscoprire il senso del tifo ai più giovani, e questo porterebbe benefici anche economici. Noi assistiamo ad una enorme disaffezione, soprattutto del pubblico più giovane, verso il calcio, laddove il calcio diventa un oligopolio di squadre sempre più ricche che vincono e le altre semplicemente partecipano. Dunque, la riscoperta dei luoghi e dei valori storici può essere una strada importante per recuperare questi tifosi”.
Come vorresti presentare il tuo libro?
“Racconta esattamente l’involuzione del calcio, che è stato visto da parte di governi autocratici come passepartout a partire dal 2003, quando Putin tramite Abramovich andò a comprare il Chelsea in un momento in cui Putin era in difficoltà in patria poiché stavano emergendo le atrocità fatte in Cecenia. Avere un club forte e vincente come il Chelsea, per cui venivano comprati calciatori a cifre folli, ha fatto partire un meccanismo di accaparramento del calcio da parte prima dei russi, poi degli sceicchi, poi dei cinesi e degli americani. Dunque, si sono create una serie di frontiere in cui si combatte tra potenze per il controllo del calcio, in una lotta che riguarda governi, fondi di investimento, grandi aziende di streaming che hanno bisogno di diritti sportivi per potersi reggere. Tutto questo sta allontanando il calcio dalle sue radici identitarie. Nel libro affronto questi temi per cercare di capire come sarà il calcio del 2030. Se questa deriva continuerà avremo il calcio dei videogames. Se invece ci saranno rivolte dei tifosi, come è successo per la Superlega, queste potrebbero permettere di rimettere al centro i tifosi. Ho dunque indagato modelli partecipativi tra calcio e democrazia e mi piacerebbe che innescassero delle riflessioni nel mondo del calcio”.
Che idea ti sei fatto del caso Juventus?
“C’è oggettivamente un problema interpretativo sulla manovra stipendi e su come doveva essere contabilizzata. La Juventus ritiene di aver agito correttamente applicando altri principi contabili. Siamo in attesa della revisione del bilancio 2022, nel frattempo il CdA si è dimesso per tutelare la società e affrontare il processo, sarebbe stato inopportuno avere un CdA interamente a processo conoscendo anche le lungaggini della giustizia italiana. La Juventus ha avviato un nuovo corso amministrativo, mentre la magistratura dovrà accertare quanto avvenuto nell’interesse sia della Juventus, sia del calcio italiano, e capire spero in tempi non troppo lunghi se ci sono state irregolarità, applicando eventualmente sanzioni. Il centro del processo sarà questo, più che sulle plusvalenze. Su questo tema mi sento di dire che sarà molto difficile pensare che ci possa essere una condanna a meno che compaiano elementi in grado di far accertare il dolo di due società negli scambi. Perché criteri che permettono di stabilire oggettivamente il valore di un calciatore non esistono. Tutti i procedimenti ordinari e sportivi fin qui si sono arenati su questo scoglio”.
Le vicende della Juventus devono far rivalutare l’operato di Cairo al Torino?
“Il problema di realtà che hanno una tifoseria ambiziosa, penso al Torino ma anche alla Fiorentina e al Bologna, è quello di conciliare queste aspirazioni con il fatto di avere un bacino di utenza limitato, per quello che è il calcio moderno, per poter puntare a fatturati alti. Per chi ha fatturati sotto ai cento milioni, oltre a fare plusvalenze “vere”, è necessario contenere i costi della rosa se non si vuole mandare i bilanci in tilt. Il calcio italiano ha già vissuto troppi fallimenti, anche in piazze importanti come questa. Quindi credo che un atteggiamento come quello di Cairo sia sempre da apprezzare, ma dovrebbe conciliarsi con investimenti su strutture, su giovani, sul territorio. Su questo il Torino può forse fare di più, se pensiamo alla Fiorentina che invece ha investito sul Viola Park, in un contesto globale del calcio che, come racconto nel libro, è sempre più oligopolistico, in cui anche i meccanismi Uefa su Champions League e Financial Fair Play hanno avuto l’effetto di creare un gruppo di 10/12 club che sono sempre più ricchi e vincenti, condannando il resto del calcio europeo a dover inseguire avendo gap di fatturati ormai incolmabili. Questo è uno dei motivi per cui si crea disaffezione, perché uno dei principi della passione calcistica è che Davide talvolta possa battere Golia. Se invece Davide gioca un campionato diverso da quello di Golia, creiamo qualcosa che potrebbe piacere a qualcuno, ma abbandoniamo il calcio meritocratico che appassiona milioni di persone”.
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