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interviste
Matteo Emilio Dotto, giornalista Mediaset e puro cuore granata. Da sempre, con la sua felpata sensibilità, discreto ma determinato, lo vediamo abilmente disquisire sull’impercettibile mistero del fuorigioco,...
Provi a descriversi, chi è Matteo dotto, come si vede?‘Sono una persona normalissima, ho la fortuna di fare il lavoro che mi piace (il giornalista, non il moviolista che è solo l’aspetto “visibile” di quello che faccio durante la settimana e che come incarico svolgo per puro… dovere di servizio), ho una bella famiglia e sono contento di aver trasmesso a mia moglie Marcella e alle mie piccole Costanza e Francesca il virus granata. Che soddisfazione quando, a scuola, le mie bimbe portano dentro l’orgoglio di essere del Toro e sul diario l’adesivo dei Leoni della Maratona!’
Poi è cresciuto, il Toro cosa le ha dato?‘L’orgoglio di essere un ambasciatore granata in terra straniera anche se Genova non è poi così lontana. Da ragazzo ricordo le litigate con i compagni di scuola genoani all’epoca della sfida tra gemelli del gol: Pulici-Graziani contro Pruzzo-Damiani. L’appuntamento dell’anno per me era quando il Toro veniva a Genova: appena aprivano i cancelli mi fiondavo in gradinata con un mio amico (laziale, ma all’epoca “gemellato”). Mi ricordo nella stagione 1976-77, quella dei 50 punti, un Genoa-Toro 1-1 con almeno 12-15 mila tifosi granata. E la settimana dopo un Samp-Torino 2-3 con tripletta di Ciccio.’
Scorre la moviola dei ricordi, quale situazioni irregolari vorrebbe che non fossero mai accadute?‘Se potessi far tornare indietro la macchina del tempo, più che rivangare la moviola, peraltro già citata prima, vorrei tornare all’epoca di Sergio Rossi per evitare che lo si contestasse. Era una persona per bene, un tifoso e un vero signore. Forse perché venivamo dai fasti dell’era Pianelli (peraltro lui pure contestato a partire dal 1980 o giù di lì), eravamo forse troppo di bocca buona. Via lui, il disastro…’
E quali vorrebbe riproporre ai telespettatori come esempio?‘Parallela a quella del Toro ho un’insana passione per l’Argentina, forse perché negli anni Venti mio nonno materno emigrò là da Orsara Bormida, nell’Acquese, per salvare dalla fame la sua famiglia. Ebbene, mi piacerebbe rivedere alla moviola qualche “numero” di Patricio Hernandez, un grande talento mancino, un calciatore che rimase solo due anni in granata ma che non ha mai dimenticato la sua esperienza a Torino. Gli feci un’intervista a Buenos Aires nel 1987 per Stampa Sera e al sentire la parola magica “Toro” gli brillavano gli occhi dalla felicità. Lui, il mitico Leo Junior e Casagrande sono stati a mio avviso i più grandi stranieri del Torino dopo la riapertura delle frontiere nel 1980. Anche se ho due crucci: Francescoli e Marinelli. L’uruguaiano, campione vero e grande persona, se fosse arrivato qualche anno prima si sarebbe davvero potuto imporre. Carlitos, purtroppo, non aveva la testa all’altezza del suo sinistro.’
Come vede il Toro attuale?‘Dico la verità, a inizio stagione mi illudevo di poter stare nella colonna di sinistra della classifica, magari con un occhio più alla zona Uefa che alla retrocessione. Il campo, purtroppo, finora ha detto il contrario.’
Avrebbe cacciato De Biasi per Zaccheroni?‘Sinceramente – pur apprezzando il grande lavoro fatto da De Biasi nella scorsa stagione – avevo condiviso il decisionismo del presidente al momento del cambio. E, pur senza il conforto del risultato, la prima di campionato contro il Parma mi aveva quasi esaltato. Poi però Zaccheroni non mi ha dato l’impressione di capirci un granchè: ha cambiato tanti moduli, scaricato e rilanciato giocatori in un tourbillon piuttosto confuso. Come si dice in piemontese, per il futuro… speruma ben’
Cosa dovrebbe fare Cairo per rimediare alla brutta classifica?‘Visto che è facile fare i tifosi… senza portafoglio, gli consiglio tre acquisti: Andreolli per la difesa, Almiron per il centrocampo e Cavenaghi per l’attacco.’
Un saluto ai tifosi granata.‘Un grande abbraccio a tutti i tifosi e soprattutto a quelli delle due curve, Maratona e Primavera. Finora solo loro sono stati all’altezza del nome del Toro. Speriamo che presto li segua anche la squadra. E poi, a proposito di tifosi, un blitz a Melfi nella primavera del 2005 mi ha permesso di conoscere due grandi persone: detto senza ruffianeria, l’autore di questo articolo e il mitico Marco Montiglio e la sua splendida famiglia. Anche questo è essere del Toro: fare amicizie nuove e trovare tante cose in comune con persone fino a ieri sconosciute.’
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