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foto Chirico
L’ultima vittoria in Serie A contro la Cremonese porta la firma di Luca Mezzano, un vero cuore Toro del periodo a cavallo tra i due millenni. Era il 28 aprile 1996 quando Mezzano decise il match interno contro i lombardi. Al tempo Luca era un giovane difensore cresciuto sotto la Mole, poi è stato anche allenatore delle giovanili granata, fino al 2017. In esclusiva su Toro News analizza il momento del Torino, partendo proprio dai ricordi di quelle sue prime esperienze tra i professionisti.
Buongiorno Luca. Che cosa ricorda di quella stagione, la 1995-1996?
“Emozioni contrastanti. Da una parte c’era un momento felicissimo dal punto di vista professionale perché ero diventato giocatore della Prima Squadra e avevo segnato il mio primo gol in Serie A sotto la Maratona e quindi si stava coronando il mio sogno. Dall’altra parte c’era una squadra che faceva fatica e l’ambiente era non semplice. Insomma i sentimenti erano alterni. Del resto, a fine stagione quella squadra retrocesse”.
E di quel gol alla Cremonese cosa gli è rimasto?
“Ho anche la foto di quel gol. Chiusi un cross sul secondo palo, anticipai un altro ex Toro come Fantini. La misi dentro da pochi passi. Penso giocassimo 3-5-2 e da quinto di centrocampo chiusi l’azione d’esterno sinistro”.
Si aspettava di più o di meno dal Torino di quest’anno?
“Penso che il Torino sia in linea con le mie aspettative. Ci sono state partenze importanti, ma qualche buon giocatore è arrivato. Il livello è sufficiente per quanto dovrebbe fare questa piazza. Io ho vissuto stagioni travagliate tra A e B, quindi da una parte si può dire che le cose vadano meglio ma dall’altra il Torino potrebbe ulteriormente alzare l’asticella”.
È uscito da poco dal settore giovanile granata: è un’entità che funziona all’interno della società?
“Sul settore giovanile la risposta è simile a quella data per la Prima Squadra. La mia esperienza è stata bellissima, è stato un orgoglio, ma nel settore giovanile si deve fare e dare di più. Come? Investendo nelle strutture e nello scouting, invece da questo punto di vista la strada è ancora molto lunga. Penso, ad esempio, al centro sportivo che non si riesce ancora a realizzare. I talenti non mancano. Quando c’ero io, tra i giocatori che spiccavano segnalo Buongiorno e Sottil. Il Torino deve essere una fucina di campioni e non qualche talento qua e là. In tal senso la strada è ancora lunga e il progetto ben lungi dal realizzarsi”.
Come ha accennato, conosce bene Buongiorno. In cosa è migliorato di più? E si attendeva la sua esplosione?
“Mi aspettavo la sua crescita perché ha tante qualità. Era già un piccolo professionista: serietà e applicazione in ogni singolo allenamento. Mi rivedevo in lui. Era già molto bravo sull’uomo. Oggi è migliorato nelle letture e gioca indistintamente come perno o come braccetto di sinistra. Può anche fare il centrale in una difesa a quattro. È cresciuto e potrà crescere ulteriormente perché è molto serio e dedito al lavoro”.
Singo, invece, sta un po’ arrancando e deludendo. Perché?
“Singo ha grandi mezzi fisici, pecca dal punto di vista tecnico. Non è un giocatore pulitissimo e non è così migliorato. Ha problemi di continuità, non credo legati alla sua giovane età, considerato che non è più così giovane. Potrebbe essere il suo limite la continuità. Ha fatto vedere cose importanti in diverse circostanze contro avversari di livello. Le qualità non sempre sono accompagnate dalla concentrazione e dalla continuità: ciò fa la differenza tra un campione e un buon giocatore”.
Quali sono le sue emozioni granata indimenticabili?
“Da giocatore del Torino la vittoria dei play-off contro il Perugia davanti a 70mila persone. Era una partita che voleva dire tanto, purtroppo poi il sogno di aver realizzato qualcosa di importante con la mia squadra del cuore si è infranto con un fallimento incredibile. Da allenatore mi sono rimasti un paio di derby: uno vinto 5 a 0 con i ’97 e uno vinto 2 a 1 con i 2000 in casa loro”.
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