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Susanna Egri: ‘Il mio Grande Torino’

Redazione Toro News

Le prime due cose che colpiscono di Susanna Egri sono i suoi splendidi occhi azzurri, che ricordano il mare quando incontro il cielo e la sua leggiadria innata. D’altronde una ballerina cammina in punta di piedi con lo sguardo rivolto...

Le prime due cose che colpiscono di Susanna Egri sono i suoi splendidi occhi azzurri, che ricordano il mare quando incontro il cielo e la sua leggiadria innata. D’altronde una ballerina cammina in punta di piedi con lo sguardo rivolto all’infinito e in questo suo volteggiare ci pare di rivedere suo padre Ernesto chiacchierare con Valentino Mazzola e dare un’occhiata bonaria al giovane ed immenso Maroso. Susanna si racconta con una bambolina ormai lisa che però racchiude un qualcosa di magico, è una delle poche cose che si sono salvate dai rottami dell’aereo che riportava a casa il Grande Torino e trattiene in sé lo spirito della leggenda. ‘La porto sempre con me, ne ha fatti di viaggi, ormai è consumata, ma è il mio portafortuna. La trovai tra i resti dell’aereo, incredibilmente intatta…’. Un miracolo, un segno, come se l’anima di quella squadra avesse accarezzato la bambolina di pezza portoghese.

"Chi è Susanna Egri, grande étoile della danza che ha saputo far nascere altre stelle dalla sua preziosissima scuola? ‘Sono nata a Budapest, ma ancora in fasce sono venuta in Italia, perché mio padre, Ernesto Egri, ha vissuto molto qui da voi. Dopo essere stata a Bari, Cagliari, sei anni a Lucca siamo approdati a Torino nel ’46. Da questa città non mi sono più mossa, anche perché dopo la tragedia ho deciso di fermarmi”. Ernesto Egri, forse più conosciuto con il cognome Erbstein, aveva ormai firmato un patto di ferro con Ferruccio Novo, i due massimi artefici del miracolo Grande Torino. ‘Mio padre è sempre rimasto in contatto con il presidente Novo, è venuto in Italia anche clandestinamente, durante la guerra, quando erano vigenti le leggi razziali. Con Novo c'è sempre stata una vicendevole profonda amicizia’. Susanna nel maggio ’49 era la prima ballerina del Comunale di Firenze e quel 4 maggio era in partenza per Parigi: ‘Il treno stava praticamente partendo quando sono stata tirata giù di corsa perché appunto era caduto l’aereo. Oltre a ballare ho subito iniziato l'attività della scuola di danza, anche perché avevo bisogno di un lavoro più stabile, all’epoca non è che girassero molti soldi”.

"La signora Egri ha lavorato anche molto per la televisione: ‘Ho avuto fortuna che la prima tv sperimentale è nata proprio a Torino e sono stata quasi subito chiamata a collaborare. Facevo dei balletti da solista, si prestavano molto ad essere mandati sul grande schermo. Io ero prima ballerina e allo stesso anche coreografa’. Proprio l’attività di coreografa le ha dato grande prestigio: ‘Una delle mie soddisfazioni più grandi è stata l'Aida che è andata in scena all'Arena di Verona per ben 13 anni consecutivi, un record. L'abbiamo portata anche in Cina e in Giappone. C'è voluto praticamente un anno di lavoro, perché mi sono voluta attenere a quel grande genio di Verdi, il quale aveva lasciato chiare indicazione di come intendeva allestire la sua opera". La passione per la danza nasce proprio dalla sua famiglia molto speciale: ‘In famiglia, mia madre era insegnante di danza, mio padre di educazione fisica, era normale che danzassi anch'io. Mio padre era scettico sul fatto che potesse diventare una professione, mi vedeva più come scienziata, scrittrice, poeta, nemmeno io pensavo alla danza come professione, ma poi ho capito che questa passione racchiude il resto, perché si può dare forma a tutto. Alla fine è diventata una ragione di vita". Già proprio come suo padre ebbe come scopo di vita il calcio e il Torino.

"Il fatto che fosse la figlia di uno dei grandi personaggi che costruirono il Grande Torino le è stato di aiuto? ‘A dire il vero pochi hanno collegato il mio nome a quello di mio padre, semplicemente perché lui aveva scelto Egri al posto di Erbstein come cognome, quando, dopo la fine dell'impero austriaco, gli ungheresi poterono "magiarizzare" i loro cognomi. Ma per tutti lui era ricordato come Erbstein. Purtroppo la figura di mio padre è stata quasi ignorata e la cosa mi è dispiaciuta abbastanza soprattutto per la sua memoria. Figuriamoci che molti hanno collegato la parentela tra me e lui dopo aver visto la fiction tv dedicata al Grande Torino, dove io ho rappresentato me stessa ed era una delle figure principali del film". Che cosa le ha lasciato suo padre come eredità morale? ‘Intanto hanno influito molto i suoi insegnamenti sul mio carattere. Prima di tutto mi ha insegnato a dare importanza agli ideali sostanziosi, non lasciarsi fuorviare dal lusso e dalla vita facile, essere generosi e adoperarsi per gli altri. Questo gli permise di avere un grande carisma con i suoi giocatori". Diciamo proprio l’antitesi del calcio moderno.

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