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mondo granata
Nessuna società di calcio in Italia può vantare la storia del Torino. E' in riva al Po che è atterrato il pallone moderno, calciato dall'Inghilterra, è sempre qui che ha conosciuto storie epiche, tragedie piccole e grandi che l'hanno consacrata la squadra più sfortunata del pianeta ma anche glorie alte come nessuno ha mai conosciuto. Il Torino attuale ha 104 di storia all'anagrafe, ma ne ha in realtà 123 sulle spalle. Che sono larghe. Arriva il "football". Il calcio italiano è nato a Torino.
La città, calcisticamente, domina l’Italia, ed il derby di ritorno è gara decisiva per lo Scudetto: vincendo, i bianconeri potrebbero riaccendere le speranze, che invece il gol dell’ex siglato da Gabetto cancella definitivamente, e con tre mesi d’anticipo il Toro ha già chiuso il campionato. Stava montando la rivalità, esistente da sempre, tra le due tifoserie, stava diventando quel sentimento che rasenta l’odio, e che si rivestiva anche di significato di lotta sociale, tanto sentita in quegli anni.La squadra, durante il campionato, fu colpita da diversi infortuni, anche gravi: Bacigalupo, Menti, Loik, Castigliano su tutti. Ma era stato acquistato Piani per fare da buona riserva tra i pali; era stato acquistato Martelli, che era un potenziale titolare; Rosetta, futuro nazionale, sostituì Castigliano; e la classe di Maroso gli permise di giocare più avanzato, sganciandosi dal ruolo di terzino e permettendogli di spingere di più (anche se non quanto avrebbe voluto, lui che voleva giocare nel quintetto avanzato).Il Torino è Grande. A farne perenne fotografia, la squadra schierata, a Torino, nello stadio che si chiama Comunale e non più Mussolini, con addosso la maglia azzurra anziché quella granata (e un portiere diverso), e in panchina Pozzo anziché Ferrero. Il commissario tecnico era restio ad un’operazione simile, non tanto perché dubitasse del valore dei giocatori ma del loro atteggiamento tattico invece sì: non era tanto convinto del sistemiamo estremo attuato da Ferrero (ma plasmato da Erbstein). Ci prova: prova a chiamare solo tre granata, contro l’Austria. E ne prende 5. Si ricrede. E perfino lui, come anche l’allenatore ufficiale del Toro, ha la sensazione di non guidare più quel gruppo di giocatori. Pensare che non ha ancora visto il meglio.E se su questa squadra nessuno sembra poter operare alcunché, cosa può fare la società? Ben poco, in effetti; ma quel poco, lo fa. Conscia che Maroso soffre di pubalgia, si assicura il giovane terzino Tomà come riserva, e già durante la stagione aveva opzionato l’attaccante romeno Fabian, che aveva preso in prova e poi promosso, visto che Tieghi e Zecca non hanno convinto. E cambia l’allenatore: al posto di Ferrero, Mario Sperone, lunga esperienza nelle giovanili del Toro, proveniente dall’Alessandria con cui ha vinto il campionato di B. Stop. Convinti che non si potrà fare meglio della stagione precedente, troppo esagerata, irripetibile. Certo che però… La squadra inizia rifilandone 4 al Napoli, ma alla seconda perde a Bari, bestia nera per i granata, e si pensa che non è come l’anno prima, no; in effetti, no. Alla terza addirittura 6 gol (sempre a zero) alla Lucchese. Alla quarta, a Roma contro i giallorossi, alla fine del primo tempo i padroni di casa sono in vantaggio per 1 a 0; nella ripresa, i granata ne fanno 7. Sette. No, non è come l’anno scorso: questa è la squadra più forte che si sia mai vista. E’ anche la più forte che mai si vedrà, ma questo il tifoso non lo può sapereIl Milan è più continuo dei granata: battendoli nello scontro diretto, ecco che i punti di vantaggio dei rossoneri alla 24° giornata sono addirittura 4. Ma il Toro è capace di fiammate che lasciano a bocca aperta. E la preparazione atletica, nonostante gli infortuni che caratterizzano anche questa stagione 1947-’48, fa sì che la squadra allenata da Sperone riesca a tenere un ritmo che le altre non reggono. Solo al 27° turno i granata raggiungono il Milan, dopo un pareggio nel derby in cui riluce la stella bianconera del giovane Boniperti, ed al 30° sono finalmente in testa da soli. Le ultime 21 gare sono senza sconfitte, i punti di vantaggio diventano due, poi tre, poi cinque, le sei partite conclusive sono altrettante vittorie, e il distacco dalle seconde alla fine sarà di sedici…
Il dopo-Superga. Gli anni ‘50 sono uno dei periodi piu’ difficili della storia del Torino: il dopo-Superga prevede una restaurazione completa,lunga e complicata e il ricordo dei Campionissimi è un fardello decisamente troppo pesante da sopportare.Il presidente Novo però non molla e cerca subito di allestire una squadra competitiva ingaggiando per la stagione 1949-50 ,il cosiddetto “anno zero”,alcuni giocatori di primo livello come l’attaccante argentino Beniamino Santos, autore di ottime stagioni e di numerose reti e il portiere “Bepi” Moro, che però delude; i granata chiudono comunque con un piu’ che dignitoso sesto posto.Le annate successive sono invece di bassissimo profilo a causa anche delle difficoltà economiche , il Toro vive campionati anonimi e di grande sofferenza ed è quasi sempre impegnato nella lotta per non retrocedere. Nel1953-54 Novo è affiancato da una finanziaria,la Torino Sport, escogitata da lui stesso per sostenere la società. La sostanza non cambia e seguono stagioni poco brillanti, niente di piu’ di qualche tranquilla salvezza , coni granata sempre costretti a cedere i loro pezzi migliori per motivi di cassa; da segnalare però, nel 1954-55, l’arrivo del mediano Enzo Bearzot, autentico uomo squadra,che rimarrà in granata per diversi anni giocandosempre con grande tenacia e attaccamento alla maglia e che, da allenatore,guiderà la nazionale italiana alla vittoria nei mondiali di Spagna’82 .Meglio del solito la stagione 1956-57 dove il Toro presenta un attacco tutto sudamericano: Armano,Arce e Tacchi assicurano un micidiale mix di velocità e fantasia; il girone d’andata è disastroso e si chiude con l’ultimo postosolitario ma nel ritorno i granata, guidati da un nuovo tecnico,lo jugoslavo Blagoje Marijanovic,sono protagonisti di una strepitosa cavalcata e terminano il torneo in quinta posizione con vittorie prestigiose come ilperentorio 4-1 nel derby."Talmone" e caduta. Dopo un’altra annata discreta il 1958-59 è invece tutto da dimenticare: questa volta la prima retrocessione in serie B della storia del club è inevitabile. La squadra perde alcuni elementi importanti, la maggior parte dei giocatori si avvia alla fine della carriera, in panchina si alternano ben quattro allenatori (Allasio, Bertoloni, Ellena e l’ungherese Senkey) e il presidente Rubatto si rende protagonista di due decisioni impopolari: in cambio di un compenso del Comune fa traslocare il Torino dalla sua casa, il Filadelfia, al Comunale e per la prima volta in Italia compare sulle maglie dei giocatori uno sponsor, la "T" di Talmone,in seguito ad un accordo con l’industria dolciaria Venchi Unica. Unica nota positiva l’arrivo dalla Fiorentina del bomber ”Pecos Bill” Virgili che con i suoi 20 goal sarà tra i protagonisti della promozione immediata dell’anno successivo. La stagione1959-60 è infatti piena di soddisfazioni: la società non si perde d’animo e punta a una pronta risalita: l’ organico viene ringiovanito con gli arrivi di Moschino e Giorgio Ferrini, rimangono alcuni ‘’senatori’’come Bearzot eGrava e grazie ad un gruppo unito dove l’anziano aiuta il ragazzo e viceversa il Toro conquista il primo posto nella cadetteria ed arriva alla semifinale di Coppa Italia.
Scudetto. Nelle stagioni successive, più che per i successi della squadra, che a dir la verità latitano parecchio, si assistette alla composizione di quel mosaico che porterà poi allo scudetto del 1975-1976 con gli acquisti di Graziani, Salvadori, Zaccarelli, Santin e, soprattutto, alla definitiva esplosione di Paolo Pulici come bomber implacabile, capace di vincere per ben tre volte il titolo di capocannoniere. E proprio “Puliciclone” insieme al già citato Francesco Graziani, andrà a costituire il temibilissimo duo denominato “i gemelli del gol”. La squadra è ormai molto competitiva, è dotata di ottime individualità, ha un Pulici nel fiore dei suoi anni ed è affidata a un tecnico giovane e con idee nuove che si chiama Luigi Radice, pronta per spiccare il grande salto e passare da squadra di belle speranze a solida e vincente realtà. Il campionato è quello 1975-1976: il Torino parte leggermente dietro le grandi del campionato come la Lazio di Chinaglia, il Milan di Rivera, l’Inter del figlio d’arte Sandro Mazzola e la temibile Juve, razziatrice di scudetti in quegli anni, e parte con il freno a mano leggermente tirato. Ma il gioco ideato da Radice, che si ispirava al calcio totale di matrice olandese con l’aggiunta di quel cinismo di cui i tulipani originali avevano sempre difettato, non era semplice da recepire e la squadra faticò all’inizio, salvo poi partire come un bolide e coronare, dopo una esaltante marcia con tanto di sorpasso ai danni dei rivali della Juventus, il sogno tricolore. Lo stadio Comunale, quando Pulici infila la sua testa tra le stringhe del terzino cesenate Danova e segna il gol dell’1-0 (la partita finirà poi 1-1 per l’autogol di Mozzini ma influirà poco sull’esito finale del campionato) e, quando da Perugia arrivò la notizia della sconfitta della Juventus, poté scatenare la festa.
Il calo. Sembra il preludio a una nuova lunga serie di successi, ma purtroppo le speranze dei tifosi vengono deluse: nei campionati successivi il Torino non riesce più a ripetere i fasti della stagione dello scudetto, con la squadra scoraggiata dalla mancanza di risultati nonostante l’impegno profuso non fosse mai mancato e il divario tecnico con squadre più vincenti fosse, per non dire nullo, quantomeno molto risibile, fattori non sufficienti a spiegare una così massiccia emorragia di successi. Inizia quindi una serie di campionati che vedrà il Torino barcamenarsi continuamente tra alti e bassi, sempre a coltivare la speranza di trasformarsi in una splendida farfalla e sempre a risvegliarsi constatando con amarezza di persistere ancora nello status di bozzolo, con quel tipico atteggiamento da “vorrei ma non riesco”, una serie che si protrarrà per più di un lustro.
Il Toro del vivaio. La stagione che si può considerare come quella della svolta è quella 1982-1983, il campionato successivo al vittorioso Mundial di Spagna ’82. Il Torino ha appena perso due autentici pezzi di storia: il presidente Pianelli, che osteggiato dalla curva decide di cedere la squadra a Sergio Rossi, e il bomber Pulici, che dopo 134 gol in maglia granata viene ceduto all’Udinese. La squadra di Rossi sembra essersi scrollata di dosso il torpore degli anni passati e, anche se non riesce a ripetere i successi degli anni ’70, si rende protagonista di eventi a dir poco memorabili, come la grande rimonta nel derby con la Juventus da 2-0 a 3-2 in poco più che tre minuti nel maggio 1983. E’ un’epoca nuova per il calcio italiano: le frontiere vengono riaperte e viene abolita la norma che prevedeva la presenza di un solo straniero per squadra e in questo nuovo mercato il Torino non se ne sta certo con le mani in mano. Guidata dai consigli dell’ex-ferroviere Luciano Moggi, la squadra granata si aggiudica, all’inizio degli anni ’80, alcuni tra i pezzi più pregiati del mercato, come l’olandese Van de Korput, l’argentino Pato Hernandez, l’austriaco Schachner e, soprattutto, il brasiliano Leo Junior. Proprio Junior andrà a comporre con Dossena un centrocampo formidabile che porterà i granata, nuovamente con Radice in panchina, al secondo posto in campionato nella stagione 1984-1985, alle spalle della rivelazione Hellas Verona. Ed è proprio con gli anni ’80 che inizia uno dei periodi migliori della storia granata, quello del vivaio. Il vivaio granata, denominato anche “la cantina delle meraviglie”, e da molti paragonato all’attuale “cantera” del Barcellona per la produzione costante e continua di talenti, sfornò in quegli anni alcuni tra i più importanti nomi del calcio italiano di quegli anni come, tra gli altri, Cravero, Comi, Benedetti, Lentini e Fuser. Seconda caduta. Il Torino si presenta quindi come un efficace connubio tra giovani provenienti dal vivaio e campioni esteri posto sotto la guida del tecnico dello scudetto Radice e faceva brillare gli occhi ai tifosi. In effetti la squadra non parte male e sembra instillare nella gente il piacevole dubbio che forse questa volta sia realmente possibile voltare definitivamente pagina. Mai fiducia fu più malriposta: infatti nel campionato 1988-1989, il primo della storia a 18 squadre anziché 16, il Torino sprofondò come un piombino nelle zone basse della classifica fino a retrocedere in serie B al termine del campionato, nonostante la squadra potesse vantare ottime individualità come Skoro o Muller, giocatori dalle qualità tecniche indiscutibili, ma rivedibili sotto il piano della grinta e dell’aggressività agonistica.Il sogno di Borsano. Ma il Torino dimostra che in serie B c’è solo di passaggio: nella stagione 1989-1990 la squadra del neo presidente Borsano, mantenuta l’intelaiatura della stagione precedente e con un mercato faraonico, stravince il campionato cadetto a suon di record (il 7-0 al Comunale contro il Pescara e le 16 partite vinte sulle 19 disputate al Comunale). Il nuovo Toro si affaccia quindi agli anni ’90 da neopromossa con gli occhi pieni di entusiasmo e speranza e la convinzione che questa volta la ruota della fortuna abbia definitivamente girato e che da quel momento in avanti la squadra granata riuscirà a tornare lassù dove le compete.E' strano il destino di Eugenio Fascetti: dopo aver condotto la squadra ad una cavalcata trionfale da record, viene salutato con ringraziamenti. Polemiche destinate a spegnersi presto; in panchina sta infatti per arrivare un allenatore che avrebbe lasciato il segno come nessun altro dopo di lui. Emiliano Mondonico, che in riva al Po aveva giocato (come “meteora”) a fine anni '60, proviene da scintillanti stagioni alla guida dell'Atalanta; con lui, Borsano dimostra le proprie intenzioni strappando al Réal Madrid il suo regista Martin Vazquez, portando Fusi dal Napoli ed un giocatore, Pasquale Bruno, che arriva dalla Juventus eppure diventerà presto un idolo. La squadra era stata costruita con criterio già in Serie B, dunque tanti altri elementi non cambiano, è proprio un'epoca nuova, c'è il trasferimento nella nuova, scomoda, bellissima e fredda “astronave” che è lo Stadio delle Alpi. Il cammino in campionato porta il Toro al quinto posto, in Coppa UEFA e davanti alla Juve; sul terreno di gioco brilla la stella di Lentini,
un'ala di enorme talento.
Camolese e i 50000. E' Emiliano Mondonico, tornato a Torino, a riportare i granata nella massima serie. Intanto, una feroce campagna-stampa avversa alla società batte incessante mentre la squadra lotta per non retrocede; invece, cadrà nuovamente, a Lecce come undici anni prima. I “genovesi” vendono il club a Francesco Cimminelli, imprenditore dell'indotto Fiat, simpatizzante juventino dichiarato, che come presidente sceglie quel Tilli Romero ex-addetto stampa dell'azienda degli Agnelli, ma più noto per essere stato protagonista dell'incidente in cui perse la vita Gigi Meroni. Il loro Toro parte male, ma poi arriva la scelta giusta: in panchina, un cuore granata come Camolese, che sarà tra i più amati allenatori in assoluto. Otto vittorie consecutive sono il lancio verso il primo posto.Il terzo millennio vede i granata vivere una discreta stagione in A, ricordata per un derby indimenticabile in cui Ferrante e compagnia rimontarono la Juventus da 0-3 a 3-3 (con la ciliegina di un rigore sbagliato dai bianconeri proprio alla fine). Le roboanti promesse di Cimminelli e Romero si scontrano con un inopinato esonero ai danni di Camolese, e infine con l'ultimo posto in classifica. Proprio il giorno seguente la retrocessione matematica, il popolo granata si ritrova nella Giornata dell'Orgoglio Granata, 50000 persone che marciano dal Filadelfia a Piazza San Carlo a Superga, per dire: “Il Toro siamo noi”.Dopo la peggior stagione di A della storia del Toro, arriva la peggior stagione di B della storia del Toro, la 2003-'04: 12° posto finale, 899 spettatori presenti alla penultima di campionato come pubblico più sparuto di sempre.
La fine. La società più contestata (fino ad allora) di ogni tempo realizza una squadra in tono minore, l'anno successivo, eppure molti dei giovani espressi dal vivaio sono pieni di talento e sfonderanno; arriva la promozione, inaspettata, dopo i play-off vinti contro il Perugia. Ma deve arrivare il peggio, l'inimmaginabile: dopo un'Estate di patimenti, il 10 Agosto 2005 viene decretato il fallimento del Torino Calcio.Nessun imprenditore si fa avanti per salvare il Toro. Gli avvocati Marengo e Rodda tentato l'adesione al Lodo Petrucci, che permetterebbe di ripartire per lo meno dalla Serie B, ma per trovare il capitale necessario si affidano ad un personaggio ambiguo, tale Giovannone; entra in scena l'editore Urbano Cairo, intenzionato a rilevare il “nuovo” Torino, ma per convincere Giovannone a mollare ci vuole un deciso intervento da parte dei tifosi. Sono mesi di trattative giocate sul filo di lana delle scadenze, tra Palazzo di Città (da cui arriva l'importante aiuto per l'adesione al Lodo tramite una partecipata) e hotel, tra piazze e...Toro News, realtà web che aggiorna ora per ora la situazione e che diviene il luogo di aggregazione dei tifosi. Alla fine, Cairo diventa presidente, accendendo speranze che da tempo non avevano più casa a Torino.
La resurrezione. Speranze immediatamente rinfocolate dal primo campionato del nuovo Torino Football Club, che rileva il titolo sportivo del precedente Torino Calcio. Il mercato viene fatto in una settimana, eppure va subito in Serie A, dopo un'esaltante finale play-off contro il Mantova vinta 3-1 ai supplementari recuperando il 2-4 dell'andata, davanti a 60000 tifosi che dicono anche “addio” allo Stadio delle Alpi. Si torna in Serie A, si torna allo Stadio Comunale, nel frattempo diventato Stadio Olimpico. Il Toro vivrà il suo centenario nella massima serie, con una festa splendida che sigla ancor più la popolarità del presidente. Ma sul campo sono tre stagioni di Serie A caratterizzate da continua sofferenza; per due volte si trova una salvezza all'ultimo respiro, la terza volta no. Ancora Serie B, mentre l'idillio tra tifosi e Cairo finisce bruscamente; i granata cadono all'ultimo metro, finale play-off contro il Brescia, pur con recriminazioni nei confronti dell'arbitro del match di andata. Il 2010-'11 trova dunque il Torino ancora in cadetteria; qui però finisce la storia, ed inizia l'attualità che sulle pagine di Toro News viene raccontata ora per ora, minuto per minuto, ad ogni tifoso. E che, subito dopo, diventa storia.
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