Riassunto prima puntata. Il narratore è un uomo di 33 anni senza memoria, amnesia provocatagli da un incidente stradale in Germania nel 1988, nel quale è rimasto fortemente ustionato.E’ il figlio di un ex pilota dell’Aeronautica, ora in pensione, e vive col fratello, che gli è ostile, e con la sorella in un casale toscano. La sua vita è tormentata dall’impossibilità di provare affetto per un mondo che non riconosce.Un giorno però, durante una visita in banca, un impiegato gli mostra per errore una cassetta di sicurezza, intestata al padre, della quale ignorava l’esistenza.All’interno della stessa vi è una macchina fotografica danneggiata, due rullini fotografici, una foto bruciacchiata di una ragazza, e una bandiera granata sgualcita e malandata.Non fidandosi di padre e fratello, egli stampa segretamente il primo rullino e si trova di fronte ad alcune foto che raffigurano un air show. In una delle foto è ritratto un bambino con la bandiera granata in mano.Dopo esseri assentato da casa per acquistare della carta fotografica però, il protagonista scopre che il secondo rullino è sparito e che molti oggetti della sua camera oscura sono stati messi a soqquadro.Tormentato da una visione che sembra fuoriuscire dall’amnesia, il protagonista è in cura da uno psicologo militare, al quale confida le proprie angosce. Quando però intuisce che il dottore è a conoscenza della faccenda foto, che era rimasta segreta, il protagonista interrompe le sedute, intuendo che sotto una vicenda semplice si sta nascondendo uno strano mistero. Una sera, tornando a casa, il protagonista si imbatte in un incidente stradale, nel quale la vittima è il giovane impiegato di banca che gli aveva mostrato per sbaglio la cassetta di sicurezza.Partito per la Germania per sottoporsi ad un intervento di chirurgia plastica con il suo anestesista Bert, il protagonista decide di recarsi sul luogo dove era avvenuto il suo incidente, nel 1988. Sul luogo i due uomini incontrano un fattore tedesco, che afferma di sapere con sicurezza che il ragazzino coinvolto in quell’incidente era morto e di possedere le foto dei soccorsi. Egli afferma anche di aver visto trasportare via il corpo da un elicottero, verso la vicina base aerea di Ramstein, il 27 agosto 1988, il giorno prima della strage nella quale uno scontro tra aerei delle frecce tricolori provocò oltre 70 morti.Tutto questo è illogico, in quanto il protagonista è ancora vivo, ma i due non ardano a mettere in relazione le foto della cassetta di sicurezza con la strage di Ramstein. Chiunque le avesse scattate era lì quel giorno.La mattina seguente i due uomini si recano dal fattore tedesco, ma trovano un’ambulanza sul vialetto della casa. Il vecchio uomo é spirato nella notte, sembra per cause naturali. Convinti di trovarsi ormai di fronte a una serie di fatti non casuali, e ad una vicenda che corre loro parallela i due uomini cominciano a credere che ci sia una relazione tra la base di Ramstein ed padre del protagonista, ex Ufficiale dell’Aereonautica.Il protagonista stesso si reca in visita alla lapide che elenca le vittime della sciagura e lì di fronte, la cupola che gli impediva di ricordare si squaglia. E lui capisce.Torna al motel, dove ha lasciato Bert, ma lo trova impiccato, insieme ad una lettera di addio.
mondo granata
81 specchi neri
E’ passato un anno da quando sono scappato da Ramstein, in quella giornata piovosa.Ricordo ancora l’immagine innaturale di Bert, sollevata da terra…Bert… cosa aveva scoperto? Il collegamento tra mio padre e la base di Ramstein? O cos’altro ancora?Ricordo la corsa in macchina confusa e sconclusionata attraverso le foreste, con la sensazione di essere inseguito, le sirene della polizia ancora nelle orecchie.Avevo avuto la lungimiranza di partire dall’Italia con molti contanti e altrettanti riuscii a prelevarne nelle ore immediatamente seguenti al ritrovamento di Bert. Stranamente i miei conti non erano stati bloccati.Sapevo che mi stavano cercando e che le tracce lasciate dalla mia carta di credito avrebbero fatto stringere il cerchio intorno a me. Dovevo fare in fretta.Cominciai a girare alla rinfusa, per poi dirigermi, in preda a una lucida confusione, verso il confine, sperando di riuscire ad attraversarlo, per quanto patetico e disperato fosse il mio tentativo.Un uomo sfigurato e ricercato, con la mente accecata di lampi, flash e film di un passato che filtrava attraverso il collasso di quella che era stata la cupola dell’amnesia.Quella cupola che per tanto tempo mi aveva fatto credere di essere un altro, per più di venti anni.
Ho trascorso i primi giorni dopo la fuga, chiuso in un motel isolato nei pressi di Metz, dopo aver superato indenne la frontiera.Sono stato avvolto da un’ansia sudata e tremebonda, non ho mangiato per due giorni, spiando oltre le tende per vedere se la Gendarmerie fosse arrivata a circondare il motel, magari guidata da mio Padre con qualche alto funzionario militare a fianco.Ho avuto bisogno di riflettere e prendere contatto con ciò che era diventata la mia vita. Spacciato per spacciato, tanto valeva cercare di interpretare la pioggia di meteoriti che era diventata la mia vita.
Dunque io non ero quello che avevo sempre creduto di essere.La lapide delle vittime di Ramstein ed il nome delle sole due persone italiane, oltre ai piloti, avevano squarciato il mondo, insieme al ricordo di quell’esplosione.Non ero mai stato il figlio di quell’uomo estraneo, che per oltre vent’anni mi sono sforzato di chiamare padre. Non ero mai stato il figlio di quella madre per la quale non ero mai riuscito a provare affetto o dolore. Non ero mai stato il fratello di quel ragazzo che mi aveva freddamente odiato o di quella sorella triste e distante.Ora finalmente prendeva lucida forma il muro di solitudine dal quale ero stato circondato.Non potevo ricordare perché non avevo ricordi con loro, tutto era una finzione, i racconti, le foto che mi avevano mostrato…Una messa in scena, nata chissà come e chissà quando, nella quale ero stato eletto protagonista.No, io non ero quel figlio.Io ero a Ramstein il 28 agosto 1988.Ero il ragazzino che nella fotografia guardava spaventato l’obbiettivo.Lei, Cristina, era la mia vera sorella.Ora la ricordo bene, l’immagine bruciacchiata ritrovata nella cassetta di sicurezza.In quei giorni al Motel, con le sole pareti a farmi compagnia, ho cominciato a ricordare, accucciato in un angolo, tremando per un freddo che veniva da dentro.
I miei ricordi all’inizio erano collages di disperazione e confusione. Disordinati, tornavano a galla come un mosaico confuso, le tessere del quale dovevano essere capovolte e rigirate per trovare i giusti incastri.Eravamo a Ramstein e ricordo che mia sorella era nervosa, molto nervosa.Arrivavamo da un lungo viaggio i cui contorni si perdevano nei particolari ancora avvolti dai resti della cupola dell‘amnesia. Avevo 12 anni, lei ne aveva parecchi di più, la lapide diceva 22. Lei era una giornalista.Lì alla base avrebbe dovuto incontrare qualcuno, poco dopo l’esibizione delle Frecce Tricolori… una persona importante… La sera precedente la rassegna aerea avevamo preso alloggio in un motel nelle vicinanze e lei mi aveva rammendato la bandiera granata, strappatasi quel pomeriggio - Tienila sempre con te – mi aveva detto prima di partire per la Base. Per tutta la giornata lei non aveva smesso un attimo di fare fotografie, il suo hobby, e di guardarsi attorno nervosa.Poi, alle 15:40, quando gli aerei delle Frecce Tricolori stavano decollando, mia sorella mi aveva chiesto se avessi voglia di un gelato.Era in coda di fronte al camioncino, io l’avevo aspettata qualche decina di metri più indietro.Si era voltata per fotografarmi e io… In quel momento avevo visto il cielo in fiamme, squarciato da un rumore secco come quello di una spada.Lei, Cristina, in una frazione di secondo si era voltata ed aveva visto palla di fuoco che volteggiava verso di sé.- Scappa! Scappa! – Aveva fatto in tempo a girarsi e a gridare. L’unica frase che avevo ricordato per tutti quegli anni.Fece in tempo a muoversi, nell’istante di tempo che segui il suo – Scappa!La vidi investita dalle fiamme e dalla carcassa dell’aereo che stava bruciando.E che stava per investirmi.Stringevo la mia bandiera granata, non me ne separavo mai. La mia reazione ingenua fu di proteggerla. Feci in tempo a voltarmi e mi misi a correre, un calore devastante alle mie spalle.Quando mi svegliai, molto tempo dopo, ero un’altra persona.
Non ebbi mai alcun incidente in macchina.Toccò in sorte ad un altro ragazzino, che doveva avere più o meno la mia età, e che rimase ucciso tra le fiamme.Lo portarono alla Base, aveva detto il vecchio contadino tedesco, prima di essere ucciso. Un incidente che era avvenuto su una macchina militare… lo avevo “visto” molto chiaramente durante il mio sopralluogo.Era il vero figlio di quello che per più di venti anni è stato mio padre.Fui sostituito con lui, un anno dopo, quando mi risvegliai dal coma e quando fu chiaro a tutti i medici che tutti i ricordi erano andati persi.Ma perché, dannazione? Perché?
Dopo i primi giorni a Metz, trascorsi in stato di shock, mi sono spostato nel Sud-’Est della Francia, viaggiando sempre in treno. Un uomo sfigurato non può andare molto distante senza essere notato.Saint Nazaire è una piccola cittadina balneare, che ospita un importante convalescenziario.Una mela deve essere nascosta tra altre mele.Ho trascorso un po’ di tempo in una piccola pensione gestita da una vecchia signora, mangiando quel poco che i soldi, fortunatamente ancora consistenti, mi permettevano.Lì, in quella scarna camera che si affacciava sul mare ho cercato di ricostruire il mio passato e di incastrare i tasselli.Anche durante questo anno, i miei sogni sono stati perseguitati da un‘unica scena che, per quanto si sia riempita di colori, rimane sfocata e confusa. Il mio unico sogno che tormenta le mie notti.Mi trovo su di una balconata, di fronte a me c’è uno spazio aperto.C’è qualcosa in quello spazio aperto. Qualcosa di… grande. Non riesco a intravederlo. Sono girato verso l’obbiettivo. Vorrei scavalcare quella balconata. Vorrei raggiungere quella forma che si trova di fronte a me.Ma non posso.
Dopo qualche giorno trascorso a Saint Nazaire, sono riuscito ad accedere in modo traballante ad internet, in un locale dove scoppiettava uno degli ultimi flipper dell’emisfero settentrionale.Ho cercato sui siti italiani qualcosa che avesse a che fare con la mia scomparsa, tramite i motori di ricerca. Nulla, non ho trovato nulla. Qualcosa sulla morte di Bert, allora. Un piccolo trafiletto, in un sito austriaco, dopo ore di ricerca.Una foto contornata da molte parole in tedesco, maledizione, nessun riferimento a me.Solo con ritardo ho realizzato che una ricerca sul web, fatta con determinate parole chiave, può essere individuata. Troppo tardi.Sono stato chiuso per tre giorni nella mia pensione, senza mangiare, dopo quel giorno.
La pancia vuota non aiuta a pensare.Per quale motivo io, che ero rimasto ferito a Ramstein ero stato scambiato con un ragazzino deceduto in un tragico incidente stradale?Più i miei pensieri si contorcevano, più capivo che, se volevo arrivare al bandolo della matassa, dovevo assolutamente ricostruire la storia mia e di mia sorella e arrivare al motivo per il quale ci trovavamo in Germania.
Mia sorella…. Aveva molto talento. Aveva vinto una borsa di studio molto giovane ed era andata a lavorare a Roma. Aveva poi cominciato a collaborare con un settimanale… Noi a casa eravamo molto soddisfatti e orgogliosi di lei… Noi…. Noi chi? Io e mia madre, mi sembra di ricordare. Mia madre triste, mia madre che spesso piangeva…Perché piangeva? I miei ricordi in quei giorni erano ancora troppo deboli e fragili per rendersi limpidi. Mia madre, nostra madre… morì nel 1987, ero sicuro di questo, al termine di una breve malattia.Venne sepolta in una giornata di sole meravigliosa, e io non riuscivo a credere che potesse essere successo veramente. Non riuscivo a credere che niente di quello che mi stava capitando fosse vero.Mia sorella era vicino a me, mi ripeteva che non mi avrebbe più lasciato.Andai a vivere con lei dopo quel giorno e di lì fino all’anno seguente fu tutto uno spostarsi e… uno scappare.Non feci più ritorno nella mia città natale. Ora me la ricordo.In fondo lo avevo sempre saputo. La bandiera che stringo qui con me, parla chiaro.Eravamo di Torino.
Eravamo una famiglia normale e serena nei primi anni della mia vita. finché non era successo qualcosa, che ci aveva gettato nella disperazione.Tra i miei primi ricordi c’è quello delle vacanze sull’Adriatico, non dovevo avere più di tre anni, in un’atmosfera serena.Nei giorni di Saint Nazaire ho avuto ricordi confusi di mio padre.Era morto molti anni prima di mia madre, ignoravo quando.Stavo cominciando a mettere in ordine i pezzi.A 11 anni avevo già perso entrambi i genitori. Mia madre se ne era andata per il dispiacere di aver perso mio padre. Quasi dal sommerso, è riemersa una sensazione dei miei giorni di coma.Il pensiero di voler vivere ancora cinque minuti insieme a mio padre.Per poter mettere la mano nella sua, per potergli parlare soltanto più di una volta.Molto spesso, in quella camera della pensione, mi sono addormentato su questo dolce ed amaro ricordo.
Ricostruendo la mia vita, sono riuscito a rammentare anche i nomi dei miei compagni di classe, quando eravamo ancora a Torino.. Poi il trasferimento con mia sorella e l’iscrizione in una classe di Roma, io solo in una piccola mansarda, fino a sera tarda, quando lei ritornava a casa.Una sera ritornò trafelata e mi disse che dovevamo fare le valigie, in fretta e furia. Bisognava andare al Ssd, per intervistare un… un militare o qualcosa del genere… Viaggiammo tutta la notte in treno, ci fermammo lì per tre giorni e mia sorella mi fece promettere di non allontanarmi dalla stanza d’albergo per nessun motivo. Ricordo lunghe telefonate concitate da parte sua, ma non rammento gli argomenti.Da quel momento cominciammo a viaggiare, a spostarci sempre più velocemente.Io ero stanco e spesso piangevo, ma lei mi assicurava che ce l’avremmo fatta.Ricordo ancora spostamenti sotto la pioggia, nottate trascorse in macchina.E poi le fughe, fari nella notte che tentavano di tagliarci la strada, giornate nascoste in una strada fuorimano, il lungo viaggio in Germania.L’ultimo viaggio del nostro percorso, la tappa finale.Poi “tutto sarebbe stato consegnato a un magistrato”, mi disse.Mia sorella stava conducendo un’inchiesta su qualcosa di importante.Qualcosa di proibito.Qual’era l’argomento della sua ricerca?Su internet non c’è traccia di nulla.Il suo nome compare soltanto nella lista delle vittime di Ramstein.Accanto al mio, naturalmente.
Così, dopo la mia fuga, molti mesi sono trascorsi in questa anonima attesa di qualcosa.I miei capelli sul lato destro sempre più lunghi, la barba spesso incolta, che un istinto di conservazione mi ha spesso spinto a ardere.Sono diventato un animale notturno, che scende a guardare il mare di notte, per sentire l’odore di salsedine e ricordarsi di essere ancora vivo.
Dopo un altro mese ho acquistato un biglietto del treno per l’Italia. Mi sono deciso quando ho visto, in mezzo alla gente che usciva dall’ospedale vicino alla collina, un volto che non vedevo da tempo.Il cassiere della banca. Questa volta era proprio lui, ne sono sicuro. L’avevo già intravisto a Ramstein, quando stavo fuggendo dal Motel dove avevo trovato il corpo di Bert.Anche quell’uomo sinistro fa parte di questa storia, deve essere un collaboratore di mio padre, molto di più di quanto la sua professione faccia pensare. Si stava guardando intorno e gesticolava verso una persona che lo attendeva.Mi sono nascosto e poi ho raggiunto la mia pensione.Me ne sono andato via la mattina dopo, lasciando la maggior parte dei miei oggetti lì, in modo da far pensare ad un allontanamento momentaneo.Una volta seduto sul treno, non ho fatto in tempo a pensare a quanto mi ero affezionato a quel luogo balneare e alle sue stradine strette. No.Poco lontano, oltre la piccola stazioncina, ho visto mio padre.Quello che ho sempre creduto essere mio padre. Stazionava oltre la strada del lungomare e chiacchierava con un uomo che potevo vedere solo di spalle, ma che sapevo fin troppo bene essere il Cassiere.Il treno si è mosso in quel momento, in quell’aria che sapeva di brezza marina.Io, con le mani appoggiate contro il finestrino.Mi avevano sfiorato la coda.
Ho continuato a guardarmi attorno sospettoso per buona parte del viaggio.Alla fine erano riusciti a risalire al mio nascondiglio.Immaginavo la determinazione con la quale il mio falso padre aveva perseguito i suoi scopi.Non avevo difficoltà a visualizzare la fredda determinazione con cui lui aveva pianificato tutto con il mio falso fratello, l’agghiacciante Simon Ward privo di emozioni.Ma se mi avevano avuto a disposizione per anni così lunghi, perché non eliminarmi allora? Perché conservarmi in vita, sottopormi a cure chirurgiche, perché? Soltanto per rimpiazzare il figlio morto nell’incidente? O perché io ero prezioso per loro?Sono caduto vittima di un sonno profondo.Per la prima volta dopo molto tempo non ho sognatola scena di me sulla balconata, ma un’altra immagine fissa. Una bambola. Grossa e bella, galleggiava sull’acqua.E vederla mi riempiva di tristezza.
Quando mi sono risvegliato era pomeriggio, e non mancava molto al confine con l’Italia.Lo scompartimento era al completo. Accanto a me sedeva una giovane e graziosa ragazza, assorta nella lettura di un libro, lentiggini e occhi scurissimi.Sul sedile di fronte un religioso si era appisolato contro la parete che separava dal corridoio, un giovane manager o aspirante tale, tentava di fare funzionare un notebook, una donna controllava il cellulare nella borsetta.Alla mia destra, un uomo che aveva l’aria di essere un funzionario di banca, sfogliava un giornale in italiano.Le gallerie si sono susseguite lunghe e inesorabili, alternate con squarci di sereno azzurro alla destra, luoghi senza problemi dove fermarsi e scegliere una vita diversa e più fortunata.Poco prima di Mentone, la ragazza alla mia sinistra si è alzata ed ha cercato di recuperare la propria valigia dal vano superiore.Non so cosa sia una donna, penso che sia chiaro. Ma non ho potuto fare a meno di ammirare la sua figura slanciata, mentre cercava di afferrare la valigia.Mi sono offerto di darle una mano e lei ha risposto con un sorriso, non è sembrata spaventata dal lato sinistro del mio volto. Mi ha chiesto di aiutarla con gli occhi.Ho spinto avanti la valigia nel corridoio, verso l’uscita, tre scompartimenti più in là, e lei mi ha seguito.Improvvisamente ho sentito qualcosa urtare contro la mia schiena e sospingermi in avanti, all’altezza dell’uscita. Benché sorpreso, non ho faticato a comprendere di che cosa si trattasse.- Non costringermi ad usarla – ha detto la ragazza in tono freddo e asciutto, l’ombra della gentilezza di poco prima – Tra un attimo il treno entrerà in una galleria e rallenterà fino ad andare a passo d’uomo. La porta è difettosa. Aprila e scendi giù. C’è una macchina che ci aspetta appena fuori dalla galleria.Finalmente erano arrivati i nemici, dopo averli aspettati così a lungo, ho pensato.Ho cercato di voltarmi, ma in quel momento il buio della galleria ha avuto la meglio e, mentre la frenata del treno si faceva netta, l’oggetto metallico ha premuto ancora di più verso la mia schiena.- Aprila! O forse vuoi una sorte peggiore?Non ho avuto scelta ed ho spalancato la porta del treno, mi sono calato giù lentamente, seguito da lei, senza più bagaglio.In lontananza si udivano alcune voci concitate, provenire dal nostro scompartimento.Nel buio del piccolo marciapiede, ho intravisto il convoglio riacquistare velocità e due volti affacciarsi alla porta, ora bloccata, tentando di aprirla con sguardo feroce.Il religioso e il giovane manager.- Anche la donna era con loro, sono in tre. Ti avrebbero portato via poco dopo il confine. Non aspettavano altro – ha detto la ragazza, conducendomi attraverso una porta, in uno slargo del marciapiede, illuminato soltanto da una pallida lampadina.- Chi sei tu? – le ho chiesto sconvolto.
- Puoi chiamarmi Nadine, ma di me non saprai altro.Un piccolo appartamento a mezza costa sulla colina francese che scende verso il mare.Avevamo trovato una macchina ad attenderci, fuori dalla galleria. Lei e il conducente non si erano rivolti parola, finché la vettura, dopo un quarto d’ora di viaggio, ci aveva lasciato di fronte a quel moderno condominio.- Dobbiamo proprio condividere quell’aggeggio? – le ho chiesto, indicando la rivoltella sul tavolo.- Per un po’ temo di sì, finché non ci saremo conosciuti meglio…Era una donna d’azione. Incredibile pensare che dietro a quel fisico da modella si potesse nascondere una persona abituata a maneggiare le armi.La limonata che ondeggiava sul tavolo era un sollievo contro l’ansia provata nell’ultima ora. Mi ha detto di non farmi problemi, il frigo ne era pieno.- Tagliamo corto – ho detto – Che cosa vuoi? Lavori per mio padre? E’ lui che stiamo aspettando? Perché non tiri subito quel grilletto? Vuoi fare un lavoro pulito, vero?Non ha dimostrato emozioni. - No… - ha giocherellato col suo bicchiere di limonata – non lavoro per tuo padre. Ma ho la sensazione – aggiunse ridacchiando – che il religioso, il manager e la donna dello scompartimento, lavorino per qualcuno molto vicino a lui…Ha studiato la mia espressione. – In settimana ci è giunta un’informativa a proposito di alcuni agenti italiani che stavano cercando un uomo dal volto bruciato sul territorio francese… - mi ha guardato in volto - Scusami… Gli ordini sono stati chiari. Sottrarti a loro entro i confini nazionali.- Per quale motivo?- Non spetta a me discutere gli ordini ed inoltre non lo so. Se quegli Agenti erano così interessati a te, avevano i loro buoni motivi. E tanto vale andare a fondo della faccenda. Il mio compito è soltanto quello di proteggerti.- Proteggermi? Con una pistola puntata addosso?- Questo è solo un mezzo…- Lavori per i Servizi del tuo paese, vero? Perché interesso anche a loro?Nadine ha risposto decisa e impassibile - Non sono qui per rispondere alle tue domande, sono qui per darti un tetto, e aspettare che gli agenti del tuo paese mollino la presa. Qui avrai da mangiare e dormire. E potrai pensare alla tua vita… e ricordare.Non ho avuto parole, se non la sensazione di essere in trappola.- Quanto sai di me? - le ho chiesto con cinismo.- Niente più di quanto tu stesso non sappia di te.- E quello che posso sapere vale così tanto?- Per me non vale nulla, io sto eseguendo quello per cui vengo pagata. - Dunque sono prigioniero? - le ho chiesto con sarcasmo.- Puoi andartene quando vuoi - mi ha risposto con naturalezza - In questo caso sappi però che i tuoi amici italiani non impiegheranno molto a trovarti. E sono certa che useranno un trattamento assai meno tollerante, per farti dire quello che sai…Quello che so.Cos’è quello che so? Neppure io lo conosco.- Cosa capiterà quando… ricorderò?Nadine non ha risposto. La nostra era un’amicizia a tempo.
E’ andata così. E’ passato un anno, come vi dicevo dal giorno della mia fuga a Ramstein.Ho vissuto in questo appartamento per qualche mese, cercando di ricordare, col mare azzurro a fare da sottofondo ai miei pensieri.Nadine ha occupato l’appartamento a fianco. Qualcosa mi dice che sono stato monitorato giorno e notte, ma il saperlo non farebbe una grande differenza.Sono addirittura riuscito a sottopormi ad un nuovo intervento chirurgico. Decisivo e spesato.Ora il mio volto si avvicina a quello di una persona normale e una leggera chioma mi è stata impiantata anche sul lato sinistro del cranio.Non ho mai smesso di guardarmi attorno con inquietudine, durante questo anno. Sento il peso di mille sguardi silenziosi e minacciosi.Non faccio che ripensare allo sguardo sbarrato del giovane impiegato di banca nel gretto del fiume, al vecchio contadino tedesco portato via avvolto in un telo argentato, a Bert e a come gli avevo detto di fare attenzione, l’ultima volta che gli avevo parlato.Perché loro sì ed io no?Che cosa nasconde la mia vicenda, da poter scatenare questa scia di morte?Domani si parte. L’ho detto a Nadine.Per ricordare ho bisogno di rivedere i luoghi dove ho vissuto.E devo ricostruire quello che io e Cristina, mia sorella, avevamo fatto prima di arrivare a Ramstein.Nadine ovviamente verrà con me.
Torino.Ti rivedo così, arrivando dall’autostrada.La città della mia infanzia, della mia vita prima che fosse sconvolta dal nulla.Sfioro la bandiera che tengo sempre in tasca e un brivido risale lungo il mio braccio.Come potevo esser stato juventino nella mia seconda vita? Non pensavo ad altro se non al mio tifo, negli anni di Torino, e avevo portato la bandiera con me in ogni luogo, per non dimenticare quello che ero…Conduco Nadine sotto casa mia, abitavamo in un vecchio sobborgo. La mente si popola di ricordi belli e malinconici. Come può essere svanito tutto? Cosa è capitato a quelli che eravamo?Quasi senza accorgermene ho di nuovo di fronte agli occhi la bambola che galleggia.Di nuovo tristezza, tanta tristezza.
Ricordo come arrivare al piccolo cimitero fuori Torino dove so essere sepolta mia madre. E’ ancora lì, ora ne ricordo anche il viso dolce malinconico. Accanto a lei non c’è nessuno. Né mia sorella, né… io. Fa effetto dirlo.Abbiamo fatto qualche ricerca. A Ramstein esiste un piccolo cimitero dove sono state composte le salme di coloro i quali non avevano avuto parenti a reclamarle. Non sono molte le lapidi, ci siamo fatti inviare via mail alcune foto. C’è quella di mia sorella, poco vicino al limitare estremo del cimitero verso il campo. E c’è la mia, quasi sotto un pino. Sapete, fa un po’ effetto vedere il proprio nome su di una lapideCosì, saliamo a 3. Ma i conti non tornano.Nel piccolo cimitero vicino a Torino, non c’è traccia di lui.Dov’è finito mio padre?
Dopo qualche giorno ci spostiamo a Roma.Non ho mai visto quella città nella mia seconda vita. Ma nella prima sì, trascinato da mia sorella assetata di verità.Nadine sa come muoversi. Ha gli agganci giusti e non smette mai di guardarsi intorno.Dormiamo sempre in appartamenti privati, che lei conosce. Mi sono rassegnato a non fare domande ed in fondo è meglio così.Il primo passo è risalire al settimanale per il quale lavorava mia sorella.Quando ci rechiamo alla sede però, le nostre richieste vengono sì accolte con grandi sorrisi, ma si scontrano contro un muro di difficoltà.Dapprima ci fanno attendere per un’ora in sala d’attesa, poi dicono di non possedere un archivio sulla persona che stiamo cercando e ci chiedono di ripassare il giorno dopo, quando sarà presente uno dei vecchi funzionari.Ringraziamo e ce ne andiamo.- Potrebbe essere una trappola… - dice Nadine - Sembrava ci aspettassero…Fa qualche telefonata. A Roma fa caldo ed io non posso rimanere a lungo esposto ai raggi solari. Nadine però impiega poco tempo a trovare uno dei suoi agganci.Il vecchio Direttore della rivista. Ha una casa in zona Garbatella e ci sta aspettando.
Il Direttore ci riceve nell‘ufficio della sua Villa, con giardino annesso e non fa mistero di essere benestante.Ora si occupa di sicurezza e mi chiedo quanto saremo sicuri nelle sue mani. Ha banalmente i capelli bianchi, ma beato lui che li ha.- Ricordo la ragazza di cui mi parlate, Cristina. Bruciò le tappe… aveva talento e una dannata voglia di vivere. Che disgrazia… - scuote la testa - Si era trasferita qui a Roma e manteneva il fratellino con i soldi del suo lavoro. Poi un giorno, dietro la sua insistenza, le affidai una ricerca su un argomento scottante del quale nessuno voleva parlare – l’uomo sorride beffardo. Non finge di nascondere una certa aria di superiorità – Lo feci per togliermela di torno, vi dico la verità. Quella ragazzina sapeva bene fare il suo mestiere, ma temevo che avrebbe causato un terremoto in Redazione. Invece lei se ne tornò dopo una settimana con un dossier da brivido. Era andata a scavare, con naturalezza e sorprendente facilità, in una vicenda nella quale fino ad allora era stato gettato solo del fumo… Non riuscivo a credere ai miei occhi. Avevo sotto gli occhi un’autentica bomba. E questo non era nulla, diceva lei. Diceva che la verità doveva venire a galla, che doveva incontrare persone importanti…- Ne parlai in www. Era la primavera del 1987, ricordo. Fu un comitato infuocato, uno degli ultimi della mia gestione. In molti osteggiarono la pubblicazione per un semplice fatto di antipatia personale nei confronti di quella ragazza. Altri invece dicevano che il materiale era buono e bisognava battere il ferro finché era caldo. Immaginate quei momenti densi di fumo e discussioni…. Alla fine decidemmo di pubblicarne soltanto una parte, in versione leggermente annacquata, con un breve rimando in copertina.L’uomo accende un sigaro nauseabondo, assai poco proletario, ma gli anni cambiano per tutti.- Ebbene… fu un successo. Era dai tempi degli anni di piombo che non riuscivamo a vendere così tante copie. Ne parlarono i telegiornali e a quel punto fummo obbligati a fare uscire la seconda parte, la settimana seguente.A quel punto cominciarono ad arrivare le prime telefonate…- Telefonate?- Sì… telefonate da Ministri e sottosegretari. Anche da quelli teoricamente vicini alle nostre posizioni politiche storiche. E poi alcune telefonate molto paternalistiche da parte di quei personaggi border line, vicini a più ambienti… spesso influenti, diciamo così, che sconsigliavano dal proseguire su quella strada…- Quali ambienti? - parlai senza sentire il suono della mia voce.- Oh... Persone abituate a frequentare i salotti bene, quelli internazionali… e ambienti vicini a quelli militari. Insomma, faccendieri. Con un ruolo nei Servizi Segreti naturalmente.- I Servizi Segreti?- Telefonarono due persone… ho fatto per molto tempo questo mestiere… conosco molto bene una minaccia travestita da consiglio… Il giornale attraversava una brutta vertenza a causa di vecchi articoli, e si stava per arrivare in tribunale. Chi telefonava ventilava una possibile soluzione positiva della controversia, in cambio…- In cambio? - Nadine era abituata a fare domande. E forse a fare interrogatori.L’uomo tira una forte boccata di fumo. Continua a guardare fuori dalla finestra, quasi non voglia guardarci in faccia.- Volevano che imbavagliassimo quella ragazza. Che la facessimo fuori dal giornale…- E lei… lo fece.- Certo che no. - rispose l’uomo piccato - Cristina stava per mettere le mani su qualcosa di veramente grosso e non avrebbe mollato la presa. E poi il nostro pubblico aveva decretato il successo della nostra linea.Mi gira la testa. Parliamo da più di trenta minuti, ma non sono ancora riuscito a mettere in ordine le parole.- Mi scusi - chiedo - Quale inchiesta stava seguendo… - mi fermo un secondo prima di dire “mia sorella”. Nadine se ne accorge ed è già pronta per intervenire.- Qual era l’inchiesta che quella ragazza stava seguendo?L’uomo si volta verso di noi e sgrana gli occhi, guardando prima l’uno, poi l’altra.- Non lo sapete? Davvero? - Ottiene solo silenzi in risposta. Si guarda le mani, le incrocia e si sporge in avanti sulla scrivania. Quasi per parlare più piano.- Quella ragazza… seguiva il caso Ustica…
Sono uscito nel giardino della villa per prendere una boccata d’aria e riflettere, mentre Nadine ha continuato a parlare con l’ex direttore.Ustica, il DC 9 I-TIGI dell’Itavia, precipitato in mare il 27 giugno 1980.Conosco la storia per aver letto qualcosa negli ultimi venti anni.Ma mi rendo conto solo ora di averla sempre conosciuta… in profondità.Mia sorella ne era ossessionata in maniera quasi maniacale.Solo ora ricordo le sue telefonate dal bar sotto casa, i suoi incontri segreti, quando stavamo scappando da una parte all’altra dell’Italia.Un’altra storia da ricomporre.
Torno nello studio del Direttore, tentando di nascondere l’ansia per quella rilevazione.Il loro discorso è andato avanti.- Tentai di dissuaderla dal continuare le sue inchieste, ma lei non ne volle sapere. Le spiegai che quello era un discorso, come dire… delicato. Che attorno alla vicenda ronzavano alcune morti “sospette”. Ma lei non ne volle sapere. Pochi mesi dopo la pubblicazione del dossier partì alla ricerca di qualcosa. Aveva fiutato l’osso.Trascorsero tre settimane circa, senza che avessi più sue notizie. Mi arrabbiai moltissimo e, come potete en immaginare, mi opposi alla sua nuova richiesta di fondi. Litigammo per telefono… me ne disse di tutti i colori. Mi diede del codardo… L’ultima volta che mi chiamò – prosegue il Direttore, con calma – era trascorso un altro mese ed io avevo appena fatto ritorno dalle ferie. Mi disse che era riuscita a mettere le mani sulla verità. Non mi volle dire di cosa si trattasse, per telefono. Diceva di essere in pericolo di vita, che qualcuno voleva ucciderla… Mi richiedeva la prima pagina per l’edizione del martedì, più le cinque pagine seguenti. Le dissi di scordarselo, non avrei accettato niente a scatola chiusa. Disse che si trovava all’estero, dove avrebbe dovuto incontrare una persona, e che avrebbe voluto incontrarmi in un luogo segreto… Insomma, non la presi troppo sul serio, la invitai a tornare a Roma per parlarne… Lei si arrabbiò tantissimo e mi rispose che avrebbe inviato tutto quanto aveva scoperto ai giornali, qualunque essi fossero. Mi chiuse il telefono in faccia…Il direttore sospira, poi chiude il suo lungo discorso – Due giorni dopo venni a sapere che lei ed il piccolo fratellino erano morti a Ramstein…
Ce ne andiamo senza troppe domande, con l’ultima parola che rimbomba ancora nelle orecchie… Ramstein, Ramstein, Ramstein… io e mia sorella ci eravamo recati lì per incontrare qualcuno… la mia memoria non mi permetteva ancora di vedere.Giunti in anticamera della villa del Direttore, però, mi accorgo di avere dimenticato la giacca su una delle sedie. Torno indietro e quando entro nello studio, il Direttore sta parlando al telefono.- Sì… ti dico che sono… - Mi vede e riaggancia frettolosamente.
Un sussurro nella notte.Senta: neanche Ponza funziona? neanche Ponza funziona? Abbiamo trovato un cimitero stasera venendo... da Firenze in poi praticamente non ne abbiamo trovata una funzionante… non ne abbiamo trovata una funzionante…
Mi sveglio e vedo sorpreso la faccia di Nadine accanto al mio letto. E ‘ seria.Per un attimo mi torna in mente l’immagine di Bert, qualche mese prima. Quando mi svegliò nel motel in Germania, perché parlavo da solo…- Dove hai sentito queste cose? Le hai lette?- mi domanda incalzandomi.Sono assonnato, stavo sognando qualcosa di diverso dal solito, ma non ricordo cosa.- Cosa… cosa dici?- Queste frasi che stai dicendo nel sonno… dove le hai sentite?- Quali frasi?- Non fare il furbo con me! - si siede sul letto e mi punta un dito minaccioso al petto - Stai ripetendo le frasi del colloquio aereo tra DC9 e il Centro Radar di Ciampino. Dove le hai lette?Mi alzo seduto e scanso la sua mano.- Io non so neanche di cosa parli! Stavo sognando…Resta a guardare il mio volto furibondo. Riflette.- I casi sono due. O hai letto tutto questo dopo il tuo incidente… o te ne ha parlato tua sorella. In questo caso lei ne sapeva veramente parecchio sulla vicenda. E tu, anche se probabilmente non lo ricordi, ne sai davvero tanto…Non la lascio vantarsi della sua frase.- Anche tu, per essere una che non sa il motivo per cui i Servizi del proprio paese sono interessati a me, sembri saperne un po’ troppo sulla vicenda…Allarga gli occhi sorpresa.- Lasciami dormire ora. Qualsiasi cosa io dica.Spengo la luce. E’ inutile, non possiamo fidarci l’uno dell’altro.
Alla Biblioteca nazionale chiediamo una copia dei due settimanali del 1988, sui quali era stato pubblicato il dossier di mia sorella. Quando ne entriamo in possesso però, non possiamo lasciarci sfuggire un moto di rabbia. Gli articoli sono mancanti, qualcuno deve averli asportati con molta cautela con una lametta. Quando lo facciamo presente al commesso, allarga le braccia sospettoso e forse comincia a sospettare che siamo stati noi.Perché rimuovere un articolo vecchio di venti anni?Gli esecutori hanno pensato a tutto, ma non a Nadine. Ha vissuto a Roma per molti anni e compiamo un tentativo disperato.C’è una piccola biblioteca privata, all’altezza del Granicolo, specializzata nel cambio/scambio di riviste sportive, il Guerino su tutte.Il tentativo non si rivela disperato. Si rivela fruttuoso.
Ci sentiamo protetti da tutta quella carta che ci attornia, quasi come fossimo in un rifugio segreto.L’articolo ha inizio con un drammatico riassunto degli avvenimenti che ebbero luogo tra le 20 e le 21 del 27 giugno 1980.Il DC9 della compagnia aerea ITAVIA, decollò dall’aeroporto Marconi di Bologna con oltre due ore di ritardo. L’aereo, costruito nel 1966 era appartenuto originariamente alle Hawaian Airlines, per poi passare alla compagnia italiana. Quel giorno era arrivato al suo settimo viaggio, aveva già percorso la penisola in lungo e in largo, partendo da Lamezia Terme, dove aveva pernottato per l’ultima volta.All’aeroporto Marconi salirono a bordo 77 persone, dirette a Palermo – Punta Raisi. Sul velivolo si trovavano anche 3 componenti dell’equipaggio, più il Comandante Domenico Gatti.Nei primi minuti di volo, l’aereo aveva seguito la rotta verso Firenze, per imboccare poco dopo l’aerovia Ambra 13, una sorta di autostrada che scende verso Sud.Alle 20:56 la torre di controllo di Ciampino era entrata in comunicazione per l’ultima volta con il DC9. Alle 20:59, il transponder del velivolo, l’aggeggio elettronico che ne identificava la posizione, aveva lanciato l’ultimo segnale.Poi l’aereo era scomparso.
Il mattino seguente, una macchia arancione in affioramento, nel tratto di mare che separa le isole di Ponza e Ustica, era stata individuata dagli elicotteri.Era il Kerosene dell’aereo. Di lì a poco erano cominciati ad affiorare rottami e resti di sedili. E poi i corpi.Era quello che rimaneva del DC9 I-TIGI.
L’articolo di mia sorella ripercorre i primi anni della vicenda, visti attraverso gli occhi di una dei parenti delle vittime, che avrebbero di lì a poco costituito L’Associazione dei Familiari delle vittime della strage. Anni in cui la faccenda era stata frettolosamente archiviata.Anni in cui era impossibile riuscire a comprendere se le indagini fossero ancora in corso oppure no.Le prime cause del disastro erano state attribuite ad un non meglio precisato “cedimento strutturale dell’aereo”.Ma l’ipotesi, alquanto azzardata, era stata presto scartata, perché nelle conversazioni avvenute tra l’aereo ed il Centro Radar di Ciampino, non c’era traccia di preoccupazione nella voce dei piloti, tale da far loro segnalare eventuali anomalie, mentre questo tipo di incidenti lascia spesso il tempo all’equipaggio di lanciare un SOS, segnalando la situazione di pericolo.Ma l’articolo, a cominciare dal titolo, punta il dito sull’ipotesi che in molti in quegli anni avevano soltanto sussurrato tra i denti.Il titolo era “Abbattuto” e, senza tanti giri di parole, sosteneva che il DC 9 dell’Itavia fosse stato abbattuto da un missile.
La tesi del cedimento strutturale era stata ben presto abbandonata, spiegavano le parole sulla rivista, ciò non aveva però impedito ai media di scatenare una vera e propria campagna stampa contro la compagnia ITAVIA, accusata di scarsa manutenzione verso i propri aeromobili, che così era stata costretta a chiudere i battenti per sempre nel 1981.Cristina però batteva con insistenza il fatto che sulla vicenda fosse stata scatenata sin dall’inizio una grande opera di mistificazione e depistaggio.Si parlava dei vari tentativi di depistaggio, a cominciare da quello dei NAR, che avevano rivendicato l’abbattimento del DC9, sostenendo che un loro componente, poi rivelatosi vivo e vegeto e legato ai Servizi Segreti. si fosse fatto saltare in aria.I soccorsi poi erano arrivati sul luogo esatto della sciagura con molto ritardo, a causa di un errore nella segnalazione della posizione, dovuto a razzi scagliati per sbaglio da una nave..Tra i resti affiorati, erano poi emersi due salvagenti appartenenti alla Marina degli Stati Uniti, ai quali nessuno aveva saputo dare una spiegazione.I primi pezzi di aereo, riaffiorato dopo lo schianto contro la superficie marina, erano andati misteriosamente “perduti” e troppo pochi ne erano rimasti per una qualsivoglia ricostruzione. Su alcuni di essi, però, erano state ritrovate tracce di esplosivo compatibile con quello militare. Da lì era nata la diatriba tra periti, che si sarebbero divisi sulle cause della sciagura. Molti a favore dell’ipotesi che il DC9 fosse stato abbattuto da un missile, altri, tutti quelli facenti capo all’Aereonautica, che avrebbero avvalorato l’ipotesi della bomba a bordo.
Commentai brevemente il pezzo con Nadine, in fondo lentamente stavo ricordando ogni cosa.L’articolo era stato pubblicato nel 1988, un anno dopo che, dopo che erano stati necessari anni per trovare i fondi ed una lettera di appello all’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, era cominciata la campagna di recupero dei resti del DC9, adagiatisi a 3800 metri di profondità.La tesi che faceva tremare i polsi era sostenuta da mia sorella quando affermava che la società che si era occupata del recupero, la Ifremer, fosse in realtà legata ai Servizi Segreti Francesi. Non solo, le tesi di mia sorella mettevano in forte dubbio la completezza del filmato fornito dalla stessa Ifremer ed il fatto che quella fosse la prima campagna di recupero. Il fondale marino appariva stranamente “arato”, come se qualche mezzo marino si fosse già calato a quelle profondità in precedenza.Per far cosa? Tutto l’articolo era poi pervaso della presenza di un oscuro personaggio legato all‘ambiente militare, che voleva rimanere nell’ombra e che sosteneva di sapere con certezza che l’aereo dell’Itavia era stato abbattuto da un missile durante un’operazione di tipo militare.- Troppe morti - diceva lo sconosciuto - stanno girando attorno a questa vicenda, ma io ho una coscienza che va oltre il giuramento che ho prestato. L’articolo infine rimandava alla settimana seguente, per la prosecuzione dell’inchiesta con altre rilevazioni inquietanti.
Quando finiamo di leggere, sospiro e scuoto la testa.Lo sguardo di Nadine su di me è pesante, lo sento, quasi insopportabile.- Ifremer, Servizi Segreti, Nadine, ma chi vuoi prendere in giro? - Mi giro a guardarla. E’ fredda come al solito e si domanda quanto tempo ci vorrà perché io le riveli quello che lei crede che io sappia.- Dunque i tuoi capi pensano che io ne sappia qualcosa su Ustica? Qualcosa che ho visto durante quei giorni, oppure qualcosa che mi venne rivelato da mia sorella…Sono disilluso, lei non fa una piega.- Non ne sarei così sicuro – dice col suo lieve accento francese - Ora continuiamo a leggere.
“L’affare libico, intrighi internazionali sulla rotta del DC9” era il titolo shoccante della seconda parte del dossier, pubblicato una settimana più tardi, quando il primo pezzo aveva fatto centro nel tentativo di richiamare l’attenzione sulla vicenda.L’articolo iniziava inaspettatamente con un riassunto della tesissima situazione internazionale di quegli anni, che vedeva il Mediterraneo come centro delle operazioni strategiche, tra le forze della Nato, con la VI flotta ed il blocco sovietico che aveva base navale a Sebastopoli, a protezione dei rispettivi oleodotti e gasdotti.In questo scenario, la tensione si accentrava sulla Libia, vista dagli americani come stato pericoloso in seguito alla rivendicazione di territorialità sul golfo della Sirte.Secondo lo scritto di mia sorella, l’Italia che, come facente parte dell’alleanza Nato, avrebbe dovuto perseguire le mire del Colonnello Gheddafi, che mirava a costituire una potenza araba.D’altro canto però l’Italia non poteva rinunciare al suo partner economico più importante nel Mediterraneo. Non bisognava dimenticare che la Libia, tramite una società finanziaria, era divenuta proprietaria del 13% della Fiat e la relazione economica non era di poco conto. Cristina sosteneva, sulla base delle rivelazioni ricevute dal suo misterioso informatore, che l’Italia chiudesse un occhio o facesse totalmente finta di non vedere il passaggio nel proprio spazio aereo dei Mig libici che andavano a fare rifornimento e manutenzione nella ex Jugoslavia, andata e ritorno.Ed è proprio sui caccia libici che si sposta l’attenzione del Dossier.Cristina faceva riferimento alla nota vicenda del MIG libico, caduto sulla Sila a metà luglio del 1980. Sulla base delle dichiarazioni del suo teste e delle prove ottenute, quali ad esempio il rapporto sull’autopsia del corpo del pilota libico, Cristina sosteneva la tesi che lo schianto del Mig fosse avvenuto non a metà luglio, ma qualche settimana prima e fosse da mettere in relazione direttamente con l’abbattimento del DC9.Ma mia sorella non si limitava soltanto ad esporre nel dettaglio la sua teoria, della quale si cominciava a sentire parlare in quegli anni.Sosteneva che l’intera vicenda fosse stata un’operazione militare compiuta dalle Forze di una nazione alleata, che aveva come scopo l’abbattimento del Mig libico sul quale quella sera si pensava erroneamente si trovasse Gheddafi, che doveva recarsi in Polonia, viaggio poi annullato improvvisamente.Mia sorella si spingeva oltre, sostenendo che a fermare Gheddafi, già in volo, fu una comunicazione dei Servizi Segreti italiani, venuti a sapere dell’operazione. Chi aveva abbattuto il DC 9 per errore, sosteneva ancora mia sorella, aveva nel mirino un aereo libico, probabilmente lo stesso poi precipitato sulla Sila, che quella sera viaggiava nascondendosi dai radar molto vicino al DC9, Mig scambiato erroneamente per quello del leader libico.Erano accuse pesanti, ma Cristina dimostrava di esser al corrente di importanti passi dell’inchiesta giudiziaria, come ad esempio il fatto che alcuni caccia italiani decollati da Grosseto, quella sera, poco prima delle 20:30 avessero segnalato per ben tre volte “7300”, il segnale di “Allarme generale”.L’articolo si concludeva con l’affermazione “soltanto un tassello manca alla rivelazione della verità”. E lei sperava di entrarne presto in possesso.
- Che ne pensi? - chiedo a sera a Nadine.Abbiamo deciso di concederci una birra in un locale poco frequentato della periferia romana.La vedo rilassata, segno che probabilmente erano presenti altri uomini a controllarci.- Io non penso - disse lei - No posso pensare. Posso solo dire che troppo sangue è già stato versato per questa vicenda. E tutto quel Dossier è carta straccia senza una prova che lo avvalori. E tua sorella non è più riuscita a portarla a galla…Lei attende, severa e composta, non posso provare una grande simpatia.Sfarfallo sul suo notebook, cercando informazioni sulla tragedia, il web ne è pieno.Ripenso a tutte le informazioni che mi hanno tempestato la mente durante quella giornata. E poi mi torna in mente la bambola. Non è un ricordo, ma quella bambola sta diventando ossessiva… Dove l’ho vista?Torno con la mente a mia sorella.Probabilmente era stata sul punto di entrare in possesso di qualcosa di decisivo. Cos’era? Una testimonianza? Una registrazione forse?Ricordo le immagini dell’affioramento dei resti del relitto, trasmessi dalla televisione.Una macchia rossastra di Kerosene che saliva in superficie.Una macchia di sangue che si estendeva dal punto Condor del Mare Mediterraneo e allungava le sue mani sugli uomini che ne erano stati coinvolti.Una lunga sequenza di morti inesorabili.Passo ancora una volta in rassegna gli articoli che la rete offre e mi imbatto in una pagina che descrive dal punto di vista umano l’ansia e la dei parenti in attesa a Palermo, la disperazione di quelli che erano stati lasciati a Bologna.Storie che in pochi hanno mai letto o ascoltato.Quanti bambini c’erano su quell’aereo…Leggo la loro lista e penso a tutto quanto non ho mai pensato.A quegli attimi terribili, alla paura disperata di quegli attimi, al dolore straziante di sapere un piccolo caro in fondo al mare.Commuoversi… come si fa a piangere quando anche la verità ti viene negata?Sento coinvolgermi questa cosa, neanche mi appartenesse, quasi come l’avessi vissuta in prima persona…La mente, confusa, si fissa su un punto dello schermo.Oh mio Dio…Guardo ancora lo schermo, incredulo.No, non può, non può essere…Tutto a un tratto non esistono più i rumori del locale. Le voci. Le risa.Tutto diventa muto.Nadine mi guarda e non capisce.Mi getto fuori dal locale per prendere aria e mi porto una mano alla gola.Non riesco a respirare.Mi segue, ma io non l’ascolto.Tutti i pezzi sono andati al loro posto.Or so tutto, ora capisco tremendamente tutto.Era sempre stato lì, davanti ai miei occhi e io mi ero rifiutato di vedere.Piove, piove e il cielo confonde le mie lacrime, vorticando in nubi che non riesco a scorgere.Ora conosco il significato di quell’immagine di me bambino, che mi aveva tanto tormentato.Ora lo so.
Cosa è stato a sconvolgere il protagonista?Cosa rivela l’immagine misteriosa, che perseguita i suoi sogni?Potranno mai la verità essere più forte di qualsiasi ragione internazionale?Lo sapremo nella terza ed ultima puntata di 81 specchi neri, viaggio disperato verso il buio. Mauro Saglietti
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