mondo granata

81 specchi neri

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

“…rda guarda” disse il Magistrato.Era la prima volta che si recava in quel posto. Sapeva che aveva aperto i battenti da un paio d’anni, e aveva atteso a lungo, prima di sentirsi pronto.Si chinò incuriosito verso ciò che fuoriusciva dalla scatola e chiese silenziosamente al custode il permesso di poterlo esaminare.Passò con delicatezza le dita tra la stoffa sfilacciata, la percorse quasi con curiosità, soffermandosi incredulo sulle asperità e sul suo percorso intrecciato, quasi fosse un sentiero.Poi udì la voce dietro di sé.

 

Non ci sono stato.Non ci sono stato per molto tempo.In bilico tra un mondo che avevo perso e quello che non avrei guadagnato.Non ho passato.Non ho ricordi.Non ho affetti, amicizie.Non ho un volto.Mettiamola così, senza tanti giri di parole.Sono un mostro.

 

Avevo 12 anni, quando capitò. Era la fine estate del 1988.Una strada in Germania, così mi venne raccontato, mia sorella alla guida.Un sorpasso azzardato da dietro di noi, un furgoncino in senso contrario.La macchina che ci stava superando colpisce la nostra vettura per sottrarsi al frontale.Le ruote oltre il parapetto, la collina.La macchina fa qualche metro nel vuoto, rimbalza, urta, gira su sé stessa.Ve l’ho detto non ho ricordi, se non un piccolo frammento sonoro, che mi lega a quella che è stata la prima parte della mia vita.- Scappa! Scappa! – E’ la voce di mia sorella. Un ricordo cupo e disperato. Una voce lontana, con una tonalità sbagliata.Mi stava dicendo di scappare dalla macchina che prendeva fuoco.Ci volle parecchio per liberarmi dalle fiamme.Così mi raccontarono.

 

Un anno. Un anno intero, trascorso in una camera di un ospedale tedesco.Di quel periodo è rimasto solo l’eco dello “Scappa, scappa!”, e la sensazione inspiegabile che mio padre fosse morto.Sentivo che avrei ancora voluto vivere per cinque minuti con lui.Solo cinque minuti.Erano soltanto pensieri confusi.Mio padre non era morto.

 

Un giorno qualcuno da lassù decise di riattaccare la spina e tutto riprese forma.Riaprii gli occhi di fronte al volto freddo di un medico tedesco.Un anno lontano ed un risveglio in un mondo ostile ed alieno.In quell’incidente avevo perso non solo la faccia e l’integrità di molte ossa.Un giorno mi mostrarono alcune persone, oltre il vetro della stanza.Mi dissero che erano mio padre, mia madre e mia sorella. Mio fratello era rimasto in Italia.Non riconobbi nessuno.Dedicarono anni a me. Ma non ci fu mai verso di accendere la scintilla dei ricordi, neanche tramite le canzoni che avevo adorato, la mia stanza, le mie foto.O quella che era stata la mia ragazzina.Ho perso tutto e il mio castigo è stato vivere senza ricordi.

 

I primi mesi dopo l’incidente furono occupati da lunghe sedute di fisioterapia o da interminabili incontri con psicologi con le quali mio padre cercava di alleviare le mie sofferenze.Leggevo nel suo duro volto di militare, la decisione e la voglia di affrontare il mio problema.Ma questo non è un film, non capitò mai nulla.Alla fine mio padre perse le speranze e si richiuse ancora di più negli ultimi anni della sua professione.Credo che alla fine abbia preferito ricordare il figlio che aveva, piuttosto che ricostruirne uno che lo guardava, mezzo mostro, come fosse un estraneo.

 

Con gli anni ho imparato a sopportare la mia vista allo specchio.La parte sinistra del mio volto è stata divorata dal fuoco e ha lasciato carne deturpata dove c’era la pelle di un ragazzo. Sono stati anni di operazioni chirurgiche dolorosissime. Posso camminare grazie a un perno che mi è stato innestato nella gamba, altrimenti la situazione sarebbe stata ancora peggiore.Tra un mese dovrò sottopormi ad un nuovo intervento per la ricostruzione dei tessuti sul mio volto, probabilmente prima o poi mi impianteranno anche dei capelli, sulla parte sinistra del cranio.Questo importa poco agli occhi della gente.Poco importava a mia madre, quando si girava dall’altra parte per non vedermi.

 

Se ne andò pochi anni dopo l’incidente, divorata da qualcosa che aveva all’interno, più profondo di una malattia. Non mi accettò mai. Faticava a guardare il mio volto deturpato.Non ricordo un solo sorriso nei miei confronti.E non un solo pensiero di amore mio verso di lei.E’ terribile vivere senza affetto e senza neanche il ricordo di essi.

 

Ho compiuto da poco 34 anni, ho un lavoro, trovato grazie alla mia famiglia.Mio fratello ha seguito la carriera di pilota di mio padre, Ufficiale dell’Aeronautica Militare ed ha preso il suo posto presso la Base aerea di Grosseto.E’ freddo come una lama di ghiaccio e credo che mi odi e mi disprezzi per la mia deformità.Ha una donna all’estero, suppongo in Francia, che sopporta il suo gelo.A un Top Gun si perdonano molte cose.Mia sorella ha sposato un imprenditore tessile, ed ha divorziato appena le cose sono cominciate ad andare male.Sono occorsi anni prima di recuperare un freddo, distante dialogo. Tra di noi c’è e rimane la presenza inquietante dell’incidente.Oggi viviamo in Toscana, ci siamo trasferiti qui non appena è stato possibile per me viaggiare, credo che prima abitassimo più a Nord.Ma anche questo per me è un ricordo sepolto.Questa terra mi suggerisce protezione, che controbilancia la freddezza della famiglia.Abitiamo in un bel casale tra le colline di Siena, siamo una famiglia benestante.Produciamo vino ed olio.Un lavoro che non mi porta ad essere troppo in contatto con gli sguardi della gente.

 

Sono in cura da uno psicologo, il Dottor Tempesta. Non ridete, si chiama proprio così.E’ il medico della Base di Grosseto, ma ha casa vicino a noi.Mi prescrive delle pillole che prendo con regolarità, ma che rendono la mia mente torbida e sonnolenta per buona parte del giorno.Servono a placare le crisi d’ansia, dice.Parliamo di tutto e prende nota da anni di ogni mio pensiero, credo che spesso riferisca a mio padre.Non che ci sia molto da dire.

 

Ho un solo grande hobby: la fotografia.Quando riesco a nascondere il mio viso dietro l’obbiettivo, mi dimentico di essere “diverso” e guardo il mondo come probabilmente dovevo osservarlo un tempo.Penso spesso di scappare, di andarmene lontano da questo blocco di ghiaccio che mi avvolge.E mi piacerebbe tanto farlo.Ma un mostro senza ricordi non ne scoprirebbe di nuovi, anche in capo al mondo.

 

C’è qualcosa di strano, però.E’ capitato qualche mese fa.Spesso aiuto mio padre nei conti dell’Azienda.Un giorno ho l’incarico di recuperare uno dei suoi orologi dalla Cassetta di sicurezza.Non era la prima volta che me ne occupo.Una giornata qualsiasi, con la voglia di fare il più in fretta possibile.Scendo nel caveau e attendo che il giovane impiegato di banca apra la cassetta, sull’ampio bancone. E’ la prima volta che lo vedo, deve aver sostituito il vecchio cassiere di sempre.Se ne è andato e mi ha lasciato solo, come da procedura.Quando ho posato gli occhi sulla cassetta, ho capito che doveva esserci stato uno sbaglio.Non conosco quegli oggetti e non c’è traccia degli orologi.Sto per richiamare l’impiegato, quando un oggetto richiama violentemente la mia attenzione.Una macchina fotografica nera, una vecchia Yashica per la precisione.

 

Deve esserci un errore, eppure un talloncino con l’elenco delle cose contenute nella cassetta, porta la calligrafia inequivocabile di mio padre.Come può essere possibile? La mia famiglia possiede una seconda cassetta di sicurezza, della quale io non sono a conoscenza?Richiamo il giovane impiegato, mostrandogli gli oggetti e spiegandogli del pasticcio. Il ragazzo è molto teso, il cognome della mia famiglia crea una certa soggezione.Esegue un controllo e mi dice con un filo di voce che no, non ci sono errori, la cassetta è intestata a mio padre. Scruta per un instante gli oggetti deposti sul tavolo, poi mi lascia nuovamente da solo.

 

Esamino con maggiore attenzione ciò che ho di fronte.Una gran bella macchina,la Yashica, ma è danneggiata nella parte che aggancia l’obbiettivo al corpo macchina.La lente dell’obbiettivo inoltre è… che strano…! Sembra essersi… non trovo le parole. Forse “sciolta”.Da dove proviene quell’oggetto? Quando è stato danneggiato? Perché nessuno me ne ha mai parlato? Lancio un’altra occhiata incuriosita all’interno della cassetta di sicurezza, tenendo d’occhio l’impiegato impacciato, quasi stessi facendo qualcosa di losco.Un foulard colpisce la mia attenzione. Sottile, sfilacciato e consunto ai lati.Porta i segni di qualche riparazione dovuta agli anni.Gli scudetti su quel tessuto si alternavano ai cerchi tricolori delle Coppe Italia…Non è un foulard. E’ una bandiera del Torino.

 

Non so cosa facesse lì.Papà era juventino e io ne sono diventato simpatizzante, mentre a mio fratello interessano solo gli aerei.Cosa c’entra quella bandiera?Passo le mani sul tessuto e, come se avessi operato sul tasto “play” di un registratore immaginario, nella mia mente ho sentito risuonare una frase con la tonalità sbagliata.Tienila sempre con te!Qualcuno ha parlato. Una voce di donna, affabile, di cui mi fido.Qualcosa dentro di me, quando ho toccato la bandiera.E’ la stessa voce che da tempo mi grida “Scappa scappa!”?Quasi inavvertitamente prendo la bandiera, la ripiego e la nascondo in tasca.Non so cosa abbia intenzione di farne.All’interno della scatola ci sono altri oggetti.Due scatolette cilindriche nere porta rullini.Sono stato tentato di aprirle, ma mi viene il sospetto che possano contenere pellicole non sviluppate.E poi ci sono i resti di un documento quasi completamente bruciacchiato, inserito in una custodia di plastica.Sento una scossa dolorosa dentro di me, ogni volta che entro in contatto con qualcosa che ha avuto a che fare con le fiamme. Mi ci vuole qualche secondo per toccarlo con le mani.I resti di una carta d’identità.La foto di una ragazza sconosciuta, dai capelli neri e mossi, sorridente, sui 25 anni.Il nome, Cristina.Tracce della data di nascita, il 1962.Niente altro.Non so cosa guidi le mie azioni in quei momenti.Prendo i cilindri porta rullini.Qualcosa più forte di me sta affondando inesorabilmente gli artigli della curiosità.Chiudo tutto e richiamo l’impiegato.

 

Quella sera nessuno parla a cena, come al solito.Arrivo da anni di cene silenziose. Mio padre ha sempre detestato parlare a tavola.Per la prima volta guardo le persone che mi stavano attorno con sospetto e diffidenza.I pensieri sulla cassetta di sicurezza continuano a tormentarmi. - Hai fretta di mangiare stasera? - mi chiede mia sorella. E’ l’unica che ogni tanto presta attenzione a quello che faccio e spesso ci azzecca.- Ho del lavoro da fare… - rispondo senza alzare gli occhi dal piatto. E’ vero. Ho voglia di correre giù nella camera oscura e dare un’occhiata a quei rullini.Sento mio fratello ridere con disprezzo. Per lui la parola “lavoro” ha altri significati.Cerco di tenere duro, poi scappo giù e mi chiudo dentro.La luce diventa rossa.Ho acquistato, nel corso degli anni, una attrezzatura vetusta ma funzionale.Apro il primo contenitore con una pinzetta, ma mi imbatto in una delusione.Il rotolo è stato sì sviluppato, ma sono presenti pochi fotogrammi.Il resto del rotolo e avvizzito, raggrinzito.Il fuoco, ancora una volta il fuoco.La macchina fotografica di questa misteriosa Cristina, sempre che sia sua, ha avuto un incontro ravvicinato con le fiamme.Inserisco i negativi nell’ingranditore, quindi lascio che l’immagine si imprima nella carta di stampa, quindi la getto nella vaschetta con la soluzione..Stampo tutte le sei foto, poi mi accorgo di non avere abbastanza carta.Poco male, domani ne andrò a comprare una nuova scorta.Peccato però per il secondo rotolo. Lo esamino ed è quasi completo. Doveva essere stato scattato prima dell’altro, che era ancora nella macchina fotografica al momento del… del fuoco.Quando il lavoro è finito, appendo le fotografie alla corda e le lascio sgocciolare.Sono foto scattate in un luogo pubblico. Gente radunata su prati, che probabilmente attende qualcosa.Tre foto sono simili, avrò bisogno della luce per esaminarle meglio.Una quarta foto ritrae un camioncino dei gelati, suppongo, attorniato da una fila di persone in paziente coda. Aerei. La sola parola che trova una connessione con mio padre. La sesta ritrae un ragazzino ripreso da lontano. E solitario in calzoncini corti e sembra in attesa. Sta guardando nella direzione dell’obbiettivo… o poco più su. Sembra impaurito. Tutti guardano in su in quella foto.L’immagine è ripresa da una certa distanza, ma un particolare, che nei primi istanti mi era sfuggito, cattura la mia attenzione. Il ragazzino stringe qualcosa tra le mani. Ma cosa?E’ la bandiera del Torino.Tienila sempre con teChi è quel ragazzino?Che cosa gli è successo?

 

Durante la notte vengo tormentato dalla mia solita immagine fissa.Non da una sequenza.Da un’immagine fissa che alle volte credo riesca a passare attraverso le maglie della cupola che impedisce alla mia mente di ricordare.Un bambino che si sporge da un balcone.Dove si trova? Sono io? Un bambino che guarda indietro e sullo sfondo c’è… c’è… Quell’immagine è confusa. E’ solo uno schizzo sfocato in cerca di colori.Mi chiedo se mai arriveranno.

 

La mattina dopo scendo a prendere le foto. Le infilo nella giacca e incontro il tessuto consumato di quella bandiera.La esamino.La scritta TORINO in giallo occupa la parte superiore di quel quadrato.Il tessuto, oltre che essere sfilacciato e sgualcito è anche macchiato, quasi fosse rimasta una macchia d’olio su di esso. Qualcuno deve averlo rammendato, presenta una lunga cucitura verticale.A chi apparteneva questo telo?Tienila sempre con teDi chi è questa voce di donna che risuona nella mia mente, quando sfioro questo colore?Chiacchiericcio di sottofondo.Gente festosa. Una domenica d’estate.La mente mi suggerisce qualcosa che può avere a che fare con quello che ho stampato.

 

Il casale riesce ad essere stranamente deserto, ma sento gli occhi su di me, mentre salto in macchina ed esco dal cortile interno.Forse farei meglio a chiedere spiegazioni direttamente a mio padre, ma significherebbe andare oltre il nostro consueto rapporto di “Buongiorno / Buonasera” e qualcosa mi dice che al momento è meglio tenere queste cose per me. Devo percorrere sette chilometri per arrivare al paese ed acquistare la carta. Quando però, al mio ritorno entro nella camera oscura, mi accorgo che qualcosa non va. Il secondo rotolo, quello ancora da stampare, non c’è più.E’ sparito.

 

L’altro no, è nella tasca della giacca insieme alla bandiera. Invece quello che avevo lasciato di fianco all’ingranditore, non è più al suo posto.Impiego un’ora per cercare di farlo saltare fuori.Non c’è. Non sono una persona sbadata, qualcuno deve averlo preso.E la stessa camera oscura ha un aspetto… diverso. Non lascerei mai le pinze con le quali maneggio le foto sul piano dell’ingranditore… mai.Mi precipito nel cortile, zoppico come in ogni occasione nella quale sono agitato.Voglio affrontare mio padre o mio fratello, o mia sorella che sia.Poi rifletto. Se parlo di quei rullini, devo anche menzionare la cassetta di sicurezza e la mia visita alla banca. Quella di cui non ho parlato fino ad ora.Forse è meglio mantenere la cosa tra me ed i miei silenzi.- Sei entrato in camera oscura? - chiedo a mio fratello. Sta lavorando al notebook, ma è in uniforme, segno che sta per partire per la base.Mi guarda sollevando un sopracciglio. La sua somiglianza con l’attore Simon Ward è impressionante.- Sto lavorando, fratellino - dice con la sua aria strafottente e severa.E’ spregevole, anche se è mio fratello.

 

La pelle mi fa male, entro due settimane ci sarà la nuova operazione di plastica facciale.Lascerei tutto perdere, ormai mi sono abituato a questa maschera che mi ritrovo e trovo strano che la gente si spaventi nel guardarmi.In più passo le mie giornate a dormire. Quelle pillole sembrano intorpidire anche il poco di memoria che ho e già gli avvenimenti legati ai rullini sembrano confusi.Ho bisogno di concentrarmi per ricostruirne la storia.Attendo due giorni prima di decidermi.Vado alla banca, è meglio restituire il maltolto. La bandiera (tienila sempre con te!) ed il rullino.Quello sparito non è più ricomparso. Ho torchiato la coppia che si occupa delle pulizie, e loro erano troppo terrorizzati. Più dalla mia faccia che dai miei modi. Credo non sapessero nulla.Sarà, ma non mi fido. I cassetti della mia camera sono stati “risistemati”, non so da chi.Mi viene il dubbio che qualcuno stia cercando il secondo rotolo o le stampe… Ma chi?Chi sapeva? Chi mi ha visto? Il giovane impiegato? Quello che sembrava emozionato? Perché proprio lui?Quando torno alla banca, è il solito silenzioso cassiere ad assistermi affabile. Ha quasi sessant’anni ed è da sempre persona di fiducia della mia famiglia, nonostante l’espressione cagnesca e untuosa.Quando gli chiedo della seconda cassetta di sicurezza, casca dalle nuvole.- Ma… ci deve essere uno sbaglio. Suo padre è titolare di una sola cassetta…!Gli dico che ne esistono due, la 166 e la 167, quella che avevo visto per sbaglio.L’uomo sorride. Solo la 166 è la nostra cassetta.Insisto, dico che mi è stata mostrata dall’impiegato che lo stava sostituendo durante la mia ultima visita.- Deve essersi sbagliato, lei mi conosce. Io le posso giurare dell’esistenza di una sola cassetta. Ma… suo padre cosa dice in merito? Non può essere stato lui a parlargliene. E’ irremovibile, chiedo allora notizie del giovane impiegato.Anche lui aveva visto gli oggetti della cassetta.Il Cassiere sospira, sfregandosi le mani.- Credo sia stato trasferito ad altra sede… ma se vuole può parlare con me… io sono sempre a disposizione…- Voglio parlare con lui. Lui ha visto quella cassetta…- Senta… - il suo tono è paternale. Mi tratta come uno che soffre di allucinazioni. Chissà se sa delle pillole.Sono inamovibile. Lui pure. Ci sono regole di riservatezza, dice.Pazienza, troverò quel ragazzo lo stesso.Almeno adesso ho uno scopo nella vita.

 

Il materasso del Dottor Tempesta è sempre stato troppo rigido e alle volte mi fa sentire a disagio- Sono tormentato da questa immagine - gli spiego - Mi sembra… c’è un bambino, di spalle…- Riesci a ricordare dove? Non conosco nessuno più meticoloso del Dottor Tempesta, nel prendere appunti.L’ho visto invecchiare in questi anni. E non l’ho mai visto tradire lo sconforto riguardo a me.- Non ricordo bene dove… Forse… sono appoggiato a un balcone…- Allora sei tu il bambino….- Non lo so… ho salutato qualcuno… Ma voglio andare là, oltre quel balcone.- Ricordi altro? C’è qualcuno con te? Sei in città? Sai quale?Faccio segno di no con la testa - No, non sono in città. C’è qualcuno dietro di me….- Hai paura?- No…- Questo sogno si accavalla con altri? Hai notato dei cambiamenti nel tuo modo di sognare?Alzo gli occhi al cielo. Non ne abbiamo mai parlato in venti anni, nei quali abbiamo discusso di tutto.- Io non sogno, Dottore – mi alzo sul lettino per guardarlo. Le colline senesi oltre la vetrata mi recano sollievo. Se non ci fossero esseri umani, nella mia vita, sarei in pace con la terra.- Non so cosa voglia dire sognare. E non l’ho mai fatto dal giorno dell’incidente. Da tre anni sogno soltanto questa immagine fissa, immobile. Come un fotogramma che si è cristallizzato. Sono come uno spettatore di fronte a un quadro. All’inizio questa “visita” notturna era cosa rara. Negli ultimi giorni invece si è fatta… insistente.Il Dottor Tempesta riempie le pagine del suo taccuino. Potrebbe aver già scritto 100 libri con le mie elucubrazioni.- E’ successo qualcosa di particolare negli ultimi giorni, che ti ha messo in agitazione?Mi rimetto sdraiato. Vorrei dirgli tutto e non dirgli niente. Il Dottor Tempesta in fondo è soltanto una delle figure di fredda porcellana che abitano il mio mondo. Gli dico della voce di donna che mi urla di scappare. Del fatto che anche lei si sia fatta più insistente.E poi gli parlo di quanto successo recentemente, senza fare parola della banca.- Ho visto delle immagini che mi hanno reso inquieto… che per qualche strano motivo fanno parte della mia famiglia, ma non riesco a trovare una relazione con essa… Oggetti ambigui che hanno avuto a che fare probabilmente con un evento violento…Annuisce.- Capisco… Ne hai parlato con tuo padre? O con tua sorella?Sa che detesto mio fratello e che non gli parlerei mai di nulla.- No… è che qualcosa che vorrei tenere per me. Non so neanche se questa storia abbia a che fare direttamente con lui…- E come fai a mettere in relazione queste foto con un evento violento?SDENG. La mazzata arriva improvvisa e inaspettata.Volto lo sguardo verso di lui. Ha chinato il capo sul bloc-notes per scrivere.Io ho parlato di immagini. Come fa a sapere che si tratta di foto?Mi irrigidisco con gli occhi sbarrati. Devo giocare il ruolo di chi non si è accorto di nulla.Parlo con tono normale, elenco gli oggetti che ho trovato, la macchina fotografica danneggiata, il drappo granata sfilacciato…- Ti sei fatto un’idea su quale possa essere questo evento tragico?Lo avverto dalla sua voce. Si è accorto di aver commesso un errore. E probabilmente sa che la cosa non mi è sfuggita.Di lì in avanti la nostra conversazione è un ruolo delle parti.- Credo che ci sia come un debole raggio che penetra attraverso la cupola che imprigiona la tua mente dai vecchi ricordi. Se c’è un’incrinatura, presto l’intera struttura potrebbe crollare. E allora potresti ricordare…Mi prescrive ancora i soliti farmaci e fissa l’appuntamento seguente il mese successivo.Cerco di essere sciolto, ma dentro sono il gelo.Qualcuno gli ha parlato. Qualcuno che probabilmente ha a che fare con la sparizione del secondo rullino.Ci stringiamo la mano con fiera freddezza. Sappiamo entrambi che l’altro sa.E che non sarà facile rivedersi.

 

Mangio un boccone in un locale che non conosco e tutti mi trattano come un appestato.E’ buio quando mi rimetto in movimento verso il casale. Due chilometri prima della deviazione per S. Anna in Camprena, c’è una coda immobile.Qualcuno sta facendo dei gesti, l’ambulanza mi sfreccia accanto a sirene spiegate e le luci si stagliano sullo scuro imbrunire.Si ferma vicino al fiume, sullo strapiombo del gretto.Scendo, col buio è difficile spaventarsi per la mia pelle.Una Lancia Y blu scura ha saltato il guard rail e si è schiantata sui massi, dopo un volo di quindici metri.Pensavo che l’avrei trovato, prima o poi.Ma non così.Quando gli infermieri lo estraggono dai rottami, riesco a vedere il suo volto, prima che lo coprano per sempre.E’ il giovane impiegato della banca.

 

- Dovresti buttare via queste porcherie!Bert è il mio anestesista. Mi seguirà nel viaggio a Monaco, per l’intervento.Esiste una clinica specializzata nei sobborghi di Monaco, che ho già avuto il piacere di visitare. Ho l’età per andarci da solo, però una delle mie poche amicizie è costituita da Bert, questo ragazzone di origine austriaca, che parla in modo buffo l’Italiano.- Queste sono porcherie, non capisco chi sia il criminale che te le prescrive. Sono farmaci fortissimi, che vanno oltre le ansie. Li darei al mio peggior nemico, se volessi farlo dormire tutto il giorno…Spesso incontro Bert al monastero di Sant’Anna in Camprena, vicino a Pienza.E’ un luogo che ispira serenità, dove vengono organizzati dei corsi di terapie che hanno molto a che vedere con i pensieri new age.Sant’Anna in Camprena è il luogo ideale per me.Molti anni fa vi venne girato “Il paziente inglese”, storia di una persona deturpata nel viso e nell’animo, che vive i suoi ultimi giorni, fino a recuperare i ricordi del proprio amore.La vita alle volte sa fare delle sottili ironie.

 

Bert sa tutto di me.E’ convinto ad esempio che io possa recuperare il mio passato con alcune sedute basate su stati di progressiva “assenza”, basata su suoni e colori indotti in una stanza.Non ho detto nulla in famiglia, ma spesso ha funzionato.Durante una delle sedute ho cominciato ad elencare una conversazione che non aveva né capo né coda, ma che probabilmente arrivava dal mio passato.Eh sì, in effetti sì, abbiamo fatto qualche calcolo, dovrebbe essere qualcosa del genere.Mi piace Bert, anche se rimane molto professionale nel suo modo di fare.So che soffre per la separazione. Da oltre due anni l’ex moglie, in Austria, gli impedisce di vedere la loro bambina.Deve esserci stato un discorso di donne e di tradimenti. So quanto soffra per questo, e non gli chiedo.Alle volte il tempo a S.Anna in Camprena scorre in un silenzio che vorrebbe lasciare scoperti i ricordi.

 

Gli parlo di quanto è successo in banca, mentre partiamo per Monaco.In macchina, gli aerei mi fanno paura.Non ha una spiegazione per quanto è successo, però è riuscito a frami gettare via le pillole, e questo lo rende felice.Quando siamo in terra tedesca, gli chiedo una cortesia.Da un po’ questo desiderio si agita dentro di me.C’è un luogo che voglio rivedere.

 

Bisogna vincere i propri fantasmi.Dunque la strada è questa.Credevo di provare emozione, una volta incontrato nuovamente il punto che ha cambiato la mia vita. Magari un lampo che illuminasse i miei ricordi e li liberasse da questa coltre.Invece nulla.Questa è la strada in mezzo al verde. Questo il rettilineo.Abbiamo parcheggiato in una piazzola poco distante e ci siamo avvicinati a piedi, nel silenzio ventoso del verde tedesco.- E’ qui? – mi ha chiesto Bert, cercando di trovare un punto di riferimento per quei terribili momenti.- Deve essere laggiù, ho detto indicando la fine del rettilineo.Mentre cammino, cerco di focalizzare quali possano essere stati gli ultimi metri della mia vita precedente.I miei pensieri di ragazzino, forse qualche banalità sulla scuola.Tutto cambia in un attimo.Il profilo della collina alla mia sinistra, la boscaglia in basso a destra.Abbiamo raggiunto il limitare della curva, leggermente rialzata, rispetto al prato sottostante.Ci siamo spostati poco più avanti.Improvvisamente ho sentito un rombo.Dal fondo della strada, una vettura bianca a velocità sostenuta, in avvicinamento.Dall’altra parte della carreggiata un camioncino Volkswagen che percorre le curve in senso opposto.La macchina si avvicina alla fine del rettilineo, il Volkswagen sbuca dalla curva.Una macchina scura spunta in sorpasso, da dietro la vettura bianca. Si para di fronte al furgoncino.Una frenata, la vettura scura sbanda e colpisce la macchina bianca, per evitare lo scontro col furgone.La vettura bianca perde il controllo, le ruote sollevano polvere sul ciglio della strada.E’ un attimo prima che si abbassi verso il pendio.Un rumore di freni disperato.L’attimo è riempito dallo schianto del metallo.Il furgoncino urta violentemente la macchina scura, a centro strada.La macchina gira, rimbalza.Si ferma e poi c’è solo fumo.Più giù, dal pendio, la macchina bianca continua a rimbalzare.Si ferma a ruote alzate e prende fuoco immediatamente.Nessuno si muove e l’aria si riempie del silenzio impressionante del dopo.Una ragazza si solleva lungo il pendio.Zoppica, confusa, deve essere stata sbalzata fuori dalla macchina bianca.Grida, cerca il fratello, corre verso la macchina.- Ti senti bene? – dice una voce.- Come? – rispondo confuso.- Ti senti bene, tutto ok? – Bert sembra preoccupato.Mi guardo attorno, per cercare i rottami.Non c’è nulla. Niente di niente. Nessuna macchina bianca che brucia. Non ci sono più il camioncino e la vettura scura.Mi passo una mano sugli occhi.- Ti senti bene? – mi chiede nuovamente Bert – E’ come se non ci fossi stato? Dov’eri con la mente?Cerco di prendere fiato guardandomi attorno. Tutto sa di silenzio e di campagna. Mi rendo conto di aver visto una scena, non di averla ricordata.- Eravamo su una macchina militare… - dico quasi senza rendermene conto -Dovevamo essere in vacanza, invece eravamo su una macchina militare…Bert mi scruta e vorrebbe chiedermi qualcosa. Ma la voce di un vecchio che non avevamo notato, poco oltre la fine della curva, lo anticipa.Chissà da quanto tempo è rimasto a fissarci.Non capisco il Tedesco. Ma comprendo il significato di quelle parole.- Io ho visto tutto. Ricordo tutto di quel giorno.

 

C’è un Gasthof non lontano, un chilometro più a Nord.Il vecchio ha insistito perché fossimo suoi ospiti. La sua fattoria si trova all’interno, a poca distanza dall‘osteria. Lui sembra una figura a metà tra un severo Babbo Natale e Scrooge l’avaro. Ma è gioviale e ciarliero e sembra non fare caso alla tavolozza sul mio viso. E’ già qualcosa.Wurstel con senape, patate fritte e birra fresca che si lascia bere e fa scorrere le parole sul tavolo di legno posto all’esterno del locale. Il vento regala sensazioni simili a quelle di una giornata di vacanza.Discorre un po’ con Bert. Quando hanno finito, Il mio amico mi riassume il discorso.- Dice che ha capito subito che stavamo parlando di quell’incidente. Da queste parti non capitano molte cose e allora si è intromesso… La ricorda come una brutta storia…Lancio un piccolo sorriso al vecchio. Il sorriso di un mostro.Lui replica severamente. Il sorriso di un vecchio.- E’ stato il primo a prestare soccorso… - prosegue Bert – Stava lavorando col suo trattore nel campo a fianco. Sentì le frenate ed il colpo. Fu lui ad avvicinarsi per primo alla macchina che stava bruciando…Lo scruto e lui ricambia il mio sguardo malato.Senza volerlo sono di fronte alla persona che mi ha salvato la vita più di venti anni fa.Bert sembra turbato da qualcosa. Forse da quello che ha sentito. Chiede ancora spiegazioni al vecchio. Non è tipo da restare perplesso a lungo, è insolito per lui.- Il signore dice che ci furono diversi morti. Ricorda perfettamente le macchine. Morirono i due occupanti del camioncino…- Lo so, lo so… la storia mi è stata raccontata. Digli che io sono il ragazzino imprigionato nella macchina che fumava…Il vecchio sembra aver capito e scuote la testa. Bert prima guarda me, poi lui, visibilmente imbarazzato.Il vento solleva la tovaglietta di carta. Sarei tentato di ordinare altre patate fritte, ma detesto le frasi lasciate in sospeso.Il vecchio pronuncia una frase in tedesco, secca e determinata. Bert sospira…- Il signore parla di tre morti, quel giorno: due sul camioncino e… un ragazzino nella macchina che bruciava.- Digli che non è possibile, chiedigli se vede le bruciature sulla mia faccia.Il vecchio sembra aver capito e scuote violentemente la testa e parla in modo più serrato – Il signore dice che è impossibile.  Dice di essere stato il primo ad arrivare sul luogo. Utilizzò l’estintore del trattore. Ma non fu abbastanza. Fu una scena disperata. Quella macchina bruciò per dieci minuti col bambino dentro.Bert sorseggia la sua birra e pare scosso. Il vecchio prosegue e lui mi riferisce.I pompieri arrivarono in contemporanea con l’elicottero… dice di aver visto il ragazzino mentre veniva estratto dalle lamiere. Dice che il ragazzino era morto. Lo caricarono sull’elicottero e lo portarono via…- Elicottero? Quale elicottero?  - chiedo.- Dice che si trattava di uno degli elicotteri della Base… Dice che quel ragazzino era il figlio di qualcuno molto importante…Io e Bert ci guardiamo scuotendo la testa. Qualcosa non torna. Per quanto vecchio sia, il suo racconto sembra veritiero.Ma è un racconto che sembra venire da un altro mondo.E poi ha parlato di una Base. Quale Base? Non è che…Non faccio in tempo a dirglielo, che lui va avanti con Bert.- Ci chiede se pensiamo che sia un matto. Dice che si ricorda esattamente il giorno. Era il 27 agosto 1988, la sua memoria è di ferro. Sostiene che a casa sua, da qualche parte, deve ancora possedere due foto dell’incidente, scattate da un amico giornalista. In una di esse si vede nettamente il corpo del ragazzino avvolto e portato via. E poi… dice che è impossibile confondersi con le date. Con quello che accadde il giorno dopo…C’è un attimo di silenzio imbarazzato.Nessuno di noi due parla, ma lancia un interrogativo silenzioso con gli occhi: - Che cosa è successo il giorno dopo?Il vecchio scoppia a ridere, scuote la testa e pronuncia qualcosa di irripetibile in tedesco, alzando anche lo sguardo al cielo.- Ma in che mondo vivete? – Credo suoni pressappoco così.

 

- Sono stato uno scemo a non pensarci, era così chiaro.La Base militare si estende sotto questa collina. Dicono che il viavai fosse ancora maggiore, prima che il muro cadesse.Bert continua a rimproverarsi di non averci pensato prima, ma non penso che sarebbe cambiato molto.Ramstein, la base aerea NATO di Ramstein.A pochi chilometri dal luogo del mio incidente.Mortale per me, a quanto dice il vecchio.Con quello che accadde il giorno dopo…Me ne ha parlato Bert, io ne avevo soltanto sentito parlare.Restiamo immobili a guardare la Base. Il tempo si sta mettendo al brutto e nubi nere si affacciano sventolando i loro pennoni di fine primavera.Nessuno parla. Non so se Bert stia pensando alla sua bambina oppure a questa vicenda.Io penso a quel ragazzino che guardava la ragazza e alla sua espressione di terrore.Penso al fuoco, ma lo penso in soggettiva.

 

Ramstein, 28 agosto 1988.E’ in corso il Festival Flugtag '88. Le porte sono aperte a turisti e visitatori.Nel pomeriggio si esibiscono le pattuglie acrobatiche di diversi paesi e la più attesa è quella italiana.L’esibizione, sugli Aer Macchi MB 339 è spettacolare.Fino alla figura del cuore.Gi aerei scattano in gruppo verso l’alto, posi si dividono, disegnando un cuore con gli scarichi.Cinque si inarcano verso sinistra, quattro verso destra. Poi rispunteranno sulla pista, per incrociarsi.Uno solo, il solista, scenderà sulla pista da una posizione centrale, attraversando lo spazio aereo con una frazione di ritardo rispetto alle squadriglie che si sono appena incrociate, a simulare una freccia che trafigge il cuore.Ma il solista arriva presto, troppo presto.Si schianta contro il primo degli aerei che arrivano alla sua destra.Una fiammata nel cielo.Un terzo aereo è colpito.L’aereo solista si inarca in fiamme, troncato.Supera la pista e si abbatte nel prato adiacente.Pieno di spettatori.Ci saranno 70 morti quel giorno.

 

Siamo seduti nel prato della collina.Vediamo la pista semi deserta, gli enormi capannoni sgombri.- Le foto… le foto sono state scattate quel giorno… la gente assiepata lungo i terrapieni, l’attesa. E lo strano scatto, verso il ragazzino dal volto impaurito. Sospiro guardando lontano, i nuvoloni si addensano.- Chiunque fosse Cristina, la ragazza, temo sia morta quel giorno, laggiù, tra le fiamme.Torno con la mente alla lente quasi sciolta, ai documenti bruciacchiati, ai rullini avvizziti.- Chissà se è morto anche quel ragazzino… - si chiede Bert. Mentre lo dice, sfioro il tessuto della bandiera granata.

 

Tienila sempre con te. Non la abbandonare mai. E’ la cosa più importante che hai, capito?Sì…Il rombo dei motori solca l’aria. Una voce da un megafono parla in una lingua straniera…Il rombo sale.La ragazza guarda il ragazzino. Scatta una foto.Dietro di lei il cielo si dipinge di fiamme.

 

- Che hai? Cosa ti prende? - Bert mi scuote. Respiro a fatica.Sto stringendo la bandiera tra le mani e non la voglio lasciare. Impiego un po’ a calmarmi.- Niente… ho quasi vissuto quella scena. Mentre la ragazza stava fotografando il ragazzino, dietro di lei gli aerei si schiantarono. Ecco perché lui ha la faccia così sconvolta. Ecco perché tutti guardano in un punto in alto.- E tu come fai a sapere queste cose?Non rispondo. Forse è la bandiera, forse no.- Andiamo a casa… - tossisco - il tempo si sta mettendo al brutto.Mentre andiamo verso la macchina, intravedo una vettura che procede lentamente in senso opposto.Non ci faccio caso, poi l’immagine di uno sguardo cattivo mi fa voltare, ma la vettura e già lontana.Giurerei di avere intravisto il cassiere della banca, all’interno di quel veicolo.

 

Al Motel alla sera Bert è di poche parole.Ha parlato a lungo al telefono, poi si è piazzato di fronte al notebook.Mio padre mi ha cercato ripetutamente sul cellulare.Lui ci crede noi si sia già a Monaco e avrà già intuito che siamo parecchio distanti. Ma preferisco non rispondere.- Quello che non capisco - mi dice - è perché tuo padre ti ha tenuto lontano da quel materiale. Perché conservarlo, se era così importante…?- Forse perché non era importante… - rispondo alzando le spalle.Bert medita dietro gli occhialini.- Qual’è la relazione tra tuo padre e quella ragazza? O quel ragazzino. Perché conservare reperti di estranei? Perché non parlartene…?Non ho risposte. Sto vivendo come uno sdoppiamento.Sento che la cupola si sta squarciando e non faccio altro che ripensare alla scena che ho visto toccando la bandiera. La ragazza che fa la foto e che.. Sta per essere investita dalla palla di fuoco dell’aereo. Provo dolore per quella ragazza, anche se non so chi sia… non so chi fosse. E’ morta da più di venti anni. E tenerezza per quel ragazzino. - Tu eri qui accanto, quando hai avuto l’incidente con tua sorella… - mi chiede con uno sguardo acuto che nasconde qualcosa…- Sì, certo, eravamo in vacanza…- Ne sei sicuro?- Bè, certo, perché dovrei dubitare…?- Tuo padre nella vita faceva l’aviatore, vero?- Sì, ma non capisco…O forse ora capisco bene. Comprendo quanto la verità possa essere stata celata dai racconti.- Tu vuoi dire che…- Voglio dire che… non ti sembra strano che tutto questo avvenga in una base militare NATO, dove vengono scattate delle foto, che proprio tuo padre conserva in una cassetta di sicurezza?Cosa mi dici dell’elicottero che è venuto a prenderti dopo l’incidente? Ti ha portato alla Base… Tu stesso mi hai detto che stavate viaggiando su una macchina militare…Trasecolo, non so più cosa pensare. Sapevo che mio padre era di servizio a nella Base aerea di Grosseto e che, non appena appreso dell’incidente lui e mia madre si erano precipitati in Germania…Bert mi guarda fisso. Ha lo sguardo gelido di chi sta per annunciare una verità terribile.- Forse ho capito quello che è successo. Ma… è tutto così assurdo amico mio…- Perché assurdo?- Perché se così fosse vero, il cielo si dovrebbe capovolgere e tutte le cose che sono lassù cadrebbero sulla terra.- Mi vuoi spiegare? - Chiedo ma sono confuso. Il display del cellulare sta squillando di nuovo. Lo lascio andare ancora una volta.- Non lo so… È tutto così… spaventoso. E… mi manca qualcosa. Devo vedere le foto di quel vecchio, domani mattina.Quasi dimenticavo che abbiamo un appuntamento alla cascina del vecchio, l’indomani.- Domani mi spiegherai tutto?Lui annuisce stanco. Ma leggo altro nel suo sguardo-- Era lei al telefono prima, vero?Annuisce. Nessuna novità. Non è intenzionata a fargli vedere la bambina. Né ora né mai.Ci sono parole disperate che vanno oltre la disperazione, e che non possono essere dette.- Il tuo intervento era fissato per domani. Posso tergiversare ancora un po’ con la clinica, ma non troppo…Vado a dormire, dopo aver inviato un sms a mio padre per rassicurarlo.Ognuno ha la sua solitudine da spartire con se stesso.

 

- Abbiamo trovato un cimitero stasera venendo... da Firenze… venendo... da Firenze… da Firenze. Abbiamo trovato… un cimitero! - Svegliati, cosa combini? Mi risveglio con un salto. Non so dove sono.Poi ricordo, il Motel. Bert è di fianco a me. Mi dice che stavo blaterando qualcosa di sconclusionato e che mi ha sentito dalla camera accanto.- Cosa dicevo?- Boh! Urlavi parlando di un cimitero che avevi trovato…- Riappoggio la testa sul cuscino. Ho la sensazione che quella maledetta cupola si frantumerà ben prima di quanto io creda.Da quando non prendo più quelle dannate pillole, le notti sono popolate da squarci.

 

Piove a dirotto.Il vialetto che conduce alla fattoria del vecchio è occupato da tre vetture.Una di esse è un’ambulanza.Abbiamo uno strano presentimento mentre affondiamo i nostri piedi nell’erba umida.Arriviamo in tempo per vederlo portare via.Bert chiede spiegazioniL’ultimo battito di un vecchio cuore, proprio durante la notte.Proprio quella notte.Lo caricano sull’ambulanza, che se ne va quasi trascinandosi stanca lungo il vialetto.

 

Non parliamo per quasi un’ora mentre torniamo alla macchina.Mi tornano in mente gli occhi sbarrati del giovane impiegato, in fondo alle rive del torrente.- Che ne pensi? - chiedo preoccupato.Rimugina e poi mi dice di non credere a strani complotti. La sfortuna è stata millimetrica, ma si tratta soltanto di una sfortunata coincidenza, che cala il sipario sulle foto che il vecchio diceva di possedere.- Dobbiamo tornare al Motel. Devo fare delle ricerche…- Vuoi cercare di scoprire se mio padre ha prestato servizio in questa Base negli anni ‘80?Annuisce. Lo lascio al Motel, io per qualche strano motivo proseguo.Ho saputo che nei pressi della Base esiste una lapide commemorativa del disastro.- Fai attenzione - gli dico - Sarò di ritorno in un paio d’ore… -Mi sorride e si chiude la porta del motel alle spalle.

 

La lapide commemorativa è posta sotto un albero, in un’oasi di pace, lontano dalla strada e dai rumori improvvisi degli aerei.Passo in rassegna i nomi delle persone coinvolte. Provo emozione e disperazione per quel disastro.Scorro i nomi.Nell’impatto sono morti 5 italiani.Tre erano piloti.Gli altri due sono una ragazzino di 12 anni e una ragazza di 26.Di nome Cristina.Poggio le dita su quel nome di ragazzino.Che rumore fanno le cupole quando si squarciano?Per me è come un tornado di luce.

 

Sto aspettando con la mia bandiera in mano (Tienila sempre con te!)Sto aspettando che mi portino il gelato.Lei è andata a prenderlo per me, una trentina di metri più in là.Io guardo ammirato gli aerei nel cielo, che stanno per chiudere la loro figura.Lei è in coda e decide di farmi una foto, me ne fa sempre tante e quel giorno ha fotografato di tutto, aerei compresi, anche se so che è nervosa per qualche strano motivo.Mi fa segno con la mano da distante.Vorrei sorriderle, ma in un attimo dietro di lei il cielo diventa di fuoco.Si volta e vede, in un secondo.Intravedo il suo labiale.- Scappa!

 

- “Scappa“. Ricordavo che fosse stata mia sorella a dirmelo. “Scappa”, dalla macchina che brucia. Invece me lo stava dicendo quella ragazza, mentre era lei ad essere avvolta dalle fiamme.Con la nuvola di fuoco che stava per avvolgere anche me.Ecco perché la voce aveva la tonalità che credevo sbagliata.Era lei mia vera sorella.Io non ho mai avuto nessun incidente.Ero a Ramstein quel giorno.

 

Torno al Motel di corsa, mentre la testa scoppia di impulsi. Ricordi vecchi si affacciano con ricordi falsi e mille domande mi bersagliano la mente. Il ragazzino che era morto nell’incidente oltre la curva, che era stato portato via da un elicottero. Chi era? I volti delle persone che ho creduto essere… mio padre, mia madre… la mia finta sorella… Perché tutto questo? Perché?La macchina sbanda e solleva un polverone ai lati della strada.Ho bisogno di parlare con Bert. Lui aveva già capito tutto la sera prima…Entro nel posteggio e mi arrampico fino alla sua camera, nella graziosa casetta che fa da motel.Forse so già tutto prima di entrare.Poi vedo.E’ l’ennesima esplosione nella mia mente che sembra portarmi via.I suoi piedi sollevati da terra, penzolano nel vuoto.Sapevo che sarebbe finito così. Me lo sentivo.C’è una lettera aperta sul tavolo, indirizzata a me.Parla dell’impossibilità di continuare senza figlia, dell’inutilità della sua vita.Solo dopo un paio di minuti ho il coraggio di guardarlo negli occhi spenti.

 

Non c’è traccia del suo computer nella stanza. E neanche del telefono.Bert non era tipo da suicidarsi.Forse, in qualche strano modo, è stata la persona che ho avuto più vicino dal momento dell’incidente.Povero Bert.Credo gli avrebbe fatto piacere conoscere il mio vero nome.Sento delle sirene in lontananza.Sono già qui.Devo andarmene, devo scappare.Mi riporteranno indietro.Corro sull’auto, parto e vado viaNon so per quale motivo, ma ho l’impressione di aver rivisto la faccia carognesca del Cassiere, forse nel posteggio.E forse non era solo.Dopo qualche chilometro scaravento fuori dalla macchina il mio cellulare.Vedo i suoi frantumi spargersi nello specchietto.Ora… ora sono veramente solo.

Fine prima puntata

 

Cosa nasconde questa storia misteriosa?A cosa è legata l’immagine che ossessiona il protagonista?Come mai quella bandiera granata è così importante?In quale luogo ci condurrà la nostra storia? Lo scopriremo la prossima settimana, nella seconda puntata di '81 specchi neri'. Mauro Saglietti