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mondo granata
di Marco Peroni
Per distrarmi dal campionato del Toro le sto provando tutte. L'altro giorno sono addirittura planato su un vecchio saggio in cui si ripercorreva la storia Italiana attraverso le edizioni del Festival di San Remo. Di citazione in citazione, arrivo fino ad un articolo di Roberto Saviano scritto nel 2005 per il Corriere del Mezzogiorno, in cui si parlava del rapporto fra camorra e canzone (se vi interessa l'argomento, qualche anno fa è uscito addirittura un libro di Marcello Ravveduto, Napoli... serenata calibro 9, Liguori Editore). Bene. L'articolo è per metà inquietante e per metà esilarante, e ho pensato di condividerlo con voi.
"I camorristi sembrano confortarsi con le loro poesie, usarle come antidoto alla solitudine del loro mestiere, come rifugio di una presunta umanità costretta al letargo dalla necessità di spietatezza che il loro destino di padrini pretende. Una sorta di voce dell’anima a cui solo nel verso possono dare cittadinanza siccome nella vita quotidiana questa risulterebbe debolezza e quindi sconfitta. Tra i camorristi-poeti sicuramente il più noto è Raffaele Cutolo, vecchio boss della Nuova camorra organizzata, uno dei detenuti con più anni di carcere d’Europa, che da oltre vent’anni coltiva l’amore per il verso. Ha raccolto le sue poesie in un unico volume dal titolo «La voce della solitudine», per ora inedito (il primo «Pensieri e parole» edito da Berisio e sequestrato nel 1980 subito dopola pubblicazione) e alla ricerca di un editore. Raffaele Cutolo adora scrivere versi sciolti, liberi da qualsiasi gabbia metrica, le sue paiono essere piuttosto confessioni poetiche fatte alla carta bianca, nel silenzio del 41bis, il carcere duro. I temi dell’ergastolo, della sofferenza, della lontananza dalla sua amata moglie Tina sono gli assi portanti dei suoi versi anche se c’è qualche poesia che traccia ancora echi sinistri, forme che rivendicano ancora la vecchia anima del boss: «Il freddo degli uomini è più terribile del freddo della notte./Te ne sei già accorto, Amico mio, e le persone più caritatevoli in definitiva/ sono ancora quelle che riposano nel cimitero/ perché almeno non fanno male a nessuno». Fabrizio De Andrè dopo la canzone «Don Raffaè» che si ispirava al boss di Ottaviano ed alla sua capacità magnetica, ricevette al suo indirizzo sardo il malloppo di poesie dal carcere.DeAndrè le lesse a fondo definendole «non prive di qualità». Non solo poesie rivolte ai dolori della propria animama anche versi di critica sociale contro la droga, mercato che pure Cutolo ha contribuito ad alimentare. «Polvere bianca. Ti odio! Sei dolce, sei amara come una donna … Sei luce e buio. Giovani odiatela la polvere bianca. Sì vi fa volare per poi farvi ritornare nel buio più cupo. […]Polvere bianca … ti odio». Questi versi furono musicati e resi celebri da Gigi d’Alessio. D’altra parte i camorristi si dilettano spesso a divenire parolieri: anche Luigi Giuliano, il boss di Forcella, vide le proprie parole di «Chill’va pazz’ pe’te» musicate da Ciro Ricci, che lo rese un tormentone dei quartieri popolari napoletani. Nel 2000 una poesia di Cutolo vinse il Premio di poesia Guido Giustiniano nato in memoria del frate francescano. Don Raffaele Cutolo non è l’unico camorrista ad esser stato premiato ad un concorso di poesia a sfondo religioso: anche il boss di Pignataro Maggiore, Raffaele Lubrano, ucciso nel 2002, vinse nel 1998 il Premio Papa Giovanni XXIII".
Saviano sa benissimo che la cultura popolare è importante. Sa che il grado di civiltà di una nazione si misura anche dalla cura che sa prendersi per il tessuto di immagini, parole, suoni in cui tutti bene o male galleggiamo. E in questo articolo ha fatto un po' di antiracket culturale: ci ha mostrato con eleganza il lato ridicolo di alcuni boss. Ne abbiamo disperatamente bisogno. E' la lezione che ci ha dato Peppino Impastato. Per anni alla malavita organizzata sono stati dedicati film e documentari che le hanno comunque assicurato un'epica. Ma è l'epica che le va tolta, negata, proibita. Gli uomini della malavita organizzata vanno visti soprattutto, finalmente, nella loro insopprimibile sfiga.
Un abbraccio a tutti, Marco
P.S. Buon compleanno, Fabrizio!
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