mondo granata

Altro che Vieri!

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

Non so voi, ma mi sento esausto.Come se avessi corso la maratona e ce l’avessi fatta a stento a tagliare il traguardo.Arrivando tra gli ultimi, tra l’altro, mica da trionfatore.Questo campionato è stato uno stillicidio per tutta la sua durata, gli ultimi due mesi in particolare, nei quali, se si eccettuano l’ultima settimana, abbiamo trascorso le giornate a torcerci le budella, le serate nel mutismo facendo calcoli, sperando, sperando e sperando.Già, noi siamo sempre quelli che sperano. E ora siamo esausti.Facciamo il punto della situazione, vi va?Senza tanta retorica e luoghi comuni Sì, perché temo che presto inizieremo di nuovo a esaltarci e a vaneggiare, come facciamo tutte le estati.Facciamolo pure, però cerchiamo prima di capire cosa funziona e cosa invece non va.

 

Per come si era messa, ci è andata bene. Di lusso, da leccarsi le dita. Grasso che cola.Grazie al cielo, la visione di Torino-Fiorentina dell’articolo “Prima che sia troppo tardi”, di qualche settimana fa, non si è verificata. Spero che nel loro piccolo quelle immagini così crude che ci vedevano retrocessi, siano servite a qualcosa, quantomeno a spaventare chi poteva  fare qualcosa.Ritengo che la salvezza di quest’anno sia di gran lunga più importante di quella dell’anno passato.La scorsa stagione avevamo una squadra scarsa, che però sapeva di esserlo. C’erano giocatori con piedi di cemento e la testa quadrata, ma che, diamine, conoscevano i loro limiti e sapevano di doversi salvare.Quest’anno abbiamo avuto una squadra scarsa, leggerina, fragile psicologicamente, il più delle volte indisponente, che raramente ha messo in fila tre passaggi giusti, dilaniata dalle solite polemiche interne, che tuttavia si credeva inspiegabilmente un team da UEFA.Continuo ad essere del parere che se fossimo andati in B, la svolta sarebbe stata terribile, forse fatale, per un ambiente esausto e sfinito, dopo anni e anni di lotta.Ora siamo tutti giustamente contenti, ma non vorrei che ripiombassimo negli stessi errori nei quali ricadiamo con disinvoltura millimetrica da due anni a questa parte.

 

Gli obbiettivi devono essere chiari sin dall’inizio.Dopo quindici anni di sofferenze, non dobbiamo più rischiare di retrocedere.Punto e stop.Questo deve essere sempre il primo degli obbiettivi, tutto il resto deve arrivare dopo aver posto questo fondamentale mattone. Sono due anni che ci auto-convinciamo di essere dei fenomeni per poi pian piano accorgerci di rischiare di finire nuovamente nell’inferno.Non si costruiscono le case dal tetto, altrimenti non stanno in piedi.

 

Il peccato originale di questa stagione è stato il non avere avuto memoria della nostra storia.Quella recente, non mi riferisco a Superga e Meroni.Esserci dimenticati di cosa fosse la serie B come se la salvezza fosse scontata in partenza, mentre avremmo dovuto averne terrore per starne subito alla larga.Credo che ogni anno, prima del raduno, bisognerebbe proiettare le immagini di Torino-Treviso o Torino-Messina, stagione 2003-2004 (17 spettatori in Curva). Sì, esatto 17 spettatori in Curva. Quella partita con la curva vuota, giocatori di cui non ricordiamo neanche il nome, che prendono legnate in casa dal Messina. Molti di noi hanno rimosso o proprio non ricordano quella pagina umiliante.Quelli sono i luoghi dove siamo stati, i luoghi della paura, le immagini da ricordare, non tanto le ricorrenze istituzionali.Quella è la serie B, l’anonimato, il rischio di scomparsa.Il posto nel quale non dovremo tornare mai più.Speriamo quest’anno, quando sentiremo parlare di UEFA, di ricordarci che per prima cosa occorre fare punti per non finire più nelle secche.Po, dopo, si vedrà.

 

Come seconda cosa, credo sia necessario fare una disamina sincera su noi tifosi granata e tentare di capire come procedere.Chi siamo? Che cosa siamo?Ok, le glorie del passato, Mazzola, Meroni etc. Tutto giusto.Ma oggi chi siamo? Che cos’è il Toro adesso, nel 2008?Quali possono essere le parole che ci definiscono senza ricorrere sempre al passato per farlo?Se dovessimo parlare del Toro senza menzionare il Grande Torino, Pulici o la vecchia Curva Maratona, cosa diremmo?Mai come in questa città l’essere legati a una squadra di calcio è stato sinonimo di socialità, di legame con la terra.Per molti di noi è stato per anni il modo orgoglioso e fiero di rivendicare la propria torinesità, di tentare di preservare attimi, gesti, momenti ed emozioni semplici di una cultura sommersa e disprezzata dagli stravolgimenti industriali.Per altri ancora (le cose non si escludono a vicenda) essere del Toro ha significato e continua ad essere originalità, anticonformismo, senso di giustizia, talvolta di ribellione, soprattutto intellettuale, amore per la vita.Oggi però chi siamo, cosa è rimasto di noi, al di là della salvezza ottenuta a Livorno? Questi anni hanno fatto danni terribili, devastanti, voluti, provocati.In nessuna altra città si è assistito a una simile guerra strisciante e non dichiarata come a Torino negli ultimi 20 anni, con il pericolo che è arrivato dall’interno, non da fuori. Una guerra nella quale una parte fondamentale della storia di questa città è stata trattata con logica da Grande Distribuzione, con il grande che ingoia il piccolo per vendere un prodotto spesso impersonale e di plastica.Possibilmente con le strisce bianconere.Abbiamo resistito, ci siamo difesi, abbiamo pianto, gridato, combattuto su ogni fronte, visto fantasmi, reali e non, ci siamo giustamente sentiti assediati.Ci sono andati vicini, molto vicini.Per lungo tempo il Toro è stato una candela con lo stoppino sempre più flebile. C’è mancato un pelo.Avevano sottovalutato però la potenzialità di internet.Credo sia stato anche questo a salvarci. Se non fosse stato per aver trovato sul web il luogo per riorganizzarci nei momenti più tragici, lo spazio per le idee che i giornali hanno sempre negato o controllato, forse non saremmo qui a scrivere.

 

Ci siamo salvati da tutto questo, ma a che prezzo, dopo anni di bombardamenti, che ancora continuano.Abbiamo perso molta gente nel corso di questi lunghi anni bui.Quando i pirati ci hanno abbordato, navigavamo su uno splendido galeone. Siamo riusciti a scamparla, ma ora ci ritroviamo su una scialuppa che da due anni a questa parte teme di essere reinghiottita dalle onde, e tuttavia riesce ancora ad essere sempre lì.Per questo motivo la salvezza calcistica ottenuta domenica è infinitamente importante.

 

Ammettiamolo però ragazzi.Guardiamo chi c’è a bordo di questa scialuppa.Lo ripeto, la guerra e gli anni di stenti hanno provocato danni devastanti, forse irrecuperabili.In molti siamo attorno ai trenta-quaranta anni. Siamo quelli fortunati, quelli che hanno avuto la fortuna di avere soddisfazioni dal Toro. Quelli che erano piccoli il giorno dello Scudetto, oppure che si ricordano solo della Coppa Italia di Roma.Poi ci sono le persone, le tante persone più anziane di noi, che hanno ancora più ricordi, che ci hanno insegnato ad essere granata soltanto con la potenza e la forza di uno sguardo, in anni ben lontani dalla “plastica” contemporanea.E infine ci sono i giovanissimi, per non parlare dei pochi bambini.Inutile negarlo, il problema è questo, ancora una volta.Loro sì sono eroici ad emergere dal pattume culturale che le televisioni ci hanno volutamente imposto negli ultimi venti anni. Ma sono pochi, spesso con le idee confuse.Noi avevamo le idee chiare, modelli convincenti da seguire.Loro no, ci guardano e ci rimproverano giustamente di parlare sempre di un tempo andato.Inoltre la nostra socialità, specialmente a Torino città si sta erodendo, capita sempre più spesso di sentirsi stranieri nei nostri luoghi e non mi riferisco all’immigrazione, ma a una sorta di culturizzazione dissociata dalla storia della città stessa, quella sulla quale si fondano le nostre basi, quasi a volerne far scomparire anche le tracce fisiche.In parole povere, si trovano i soldi per tirare su un immenso semicerchio arancione sulla ferrovia, ma non quelli per ricostruire quello che sappiamo.

 

Ecco la situazione. Il Toro è prima di tutto una comunità ancora a rischio di lenta scomparsa o continua erosione.Noi tifosi siamo quello che è rimasto di Torino e probabilmente del suo spirito antico.Per troppo tempo però ci siamo difesi con le sole nostre forze, che sono state grandi, immense, generose.Abbiamo tentato forse di tenere in vita gli anni passati non avendone di nuovi.Però siamo stanchi, invecchiati, sfiniti, disillusi.Eppure non abbiamo altro, perché il Toro siamo noi stessi, questo il nostro destino, forse beffardo, forse passionale. Non abbiamo mai potuto scappare troppo a lungo e sfuggire da questa cosa perché sarebbe stato sfuggire da noi stessi.Ora però abbiamo bisogno di aiuto.Da soli non ce la possiamo più fare, la riserva è finita.Abbiamo bisogno di una squadra! Che altro non è che la sublimazione del nostro essere, della nostra amicizia, del nostro orgoglio e della nostra voglia di vivere.

 

E’ necessario, imperativo, creare dei ricordi per i nostri bambini e per tutti quelli, se ci saranno, che potranno diventare tifosi granata.Dargli qualcuno a cui affezionarsi.Noi ne avremmo bisogno come il pane, ma tutto sommato siamo stati fortunati a vivere molti anni in tempi di certezze, con miti ed eroi al posto giusto, noi abbiamo le idee abbastanza chiare.Loro no, non possiamo continuare a raccontargli in eterno le stesse storie, cavoli!Il carburante dei ricordi, che ci ha tenuto in vita lungo tutti questi anni, si é esaurito.C’è bisogno di nuova benzina che ci dia forza e ci faccia andare avanti.La storia, prima di diventare storia, è stata tempo presente.Adesso è indispensabile creare del presente perché diventi un giorno storia.Di qui non si sfugge.E i ricordi si costruiscono imprescindibilmente con i risultati, col furore agonistico, con delle partite che diventino memorabili, dove ci sia da ricordare anche e soprattutto il momento del gol, sublimazione della nostra gioia, felicità ed amicizia.Cerchiamo di ricordare. Cosa resterà di questo campionato? In sostanza nulla, forse il ricordo della rimonta sul Parma. Al limite quello della vittoria a Reggio. Poco altro.Quanti ricordi abbiamo di questi ultimi sei o sette anni? Toro-Perugia, Toro-Albinoleffe, Toro-Mantova, ma il resto?Qualcuno ricorda qualcosa del campionato 2003-2004?E’ questo il nostro dramma.Conosciamo a memoria formazioni, minuti e marcatori di Toro-Fiorentina 4-3 del 1976, ma non ci ricordiamo di una partita giocata due o tre anni fa.Abbiamo bisogno di qualcuno che sul campo incarni i nostri valori e la nostra voglia di rivincita, non possiamo più aspettare.Solo così il Toro (insieme di valori, prima che gesto sportivo) potrà quantomeno tentare di adattarsi ed esistere in tempi che, non mi stancherò mai di ripeterlo, vanno a duecento all’ora in senso contrario ai nostri desideri.Sotto questo punto di vista il Toro è il nostro ultimo baluardo.

 

Occorrono giocatori che si mangino il pallone, che abbiano fame, voglia di emergere, che corrano, che sudino, diamine! Che cerchino, perché no, la voglia di emergere.Di questo abbiamo bisogno, non di gente miliardaria a fine carriera come Vieri o Liverani!Dico questo prima che qualcuno cominci a delirare di “giocatori che ci faranno fare il salto di qualità”.Non è servita la lezione?Inoltre abbiamo bisogno di mentalità vincente, non di pareggiucoli interni, occorre invertire questa deriva.E’ dall’epoca Mondonico che si è persa l’essenza del fattore campo per il Toro.Un pareggio in casa è un passo falso, porca miseria, è un punto invece di tre!I numeri parlano da soli. In due campionati al Comunale si è vinto undicivolte su trentasette partite!Meno di un terzo! Il 29%! Numeri impensabili in anni in cui il pareggio interno era un disonore!In troppe occasioni quest’anno abbiamo applaudito la squadra dopo ignobili pareggi interni (Siena su tutti) al grido di “Siamo sempre con voi”.Eh, già, comodo. Bella scusante per loro.Basta con questa mentalità da miserelli. Almeno proviamo a trasferire in loro la nostra grinta. Quanto avrebbe fatto comodo avere qualche punto in più! Se avessimo vinto di più in casa (e abbiamo visto prestazioni indecenti, nelle quali la squadra ha passato con regolarità il pallone agli avversari), non ci saremmo trovati nel panico degli ultimi due mesi. Purtroppo la nostra mentalità da “va sempre bin tüt”, quella che ci fa battere le mani ad ogni costo ci ha spesso trattenuti verso il basso e non è da ieri che esiste.Altrimenti non si spiegherebbero le feste sotto la Maratona dopo il derby di ritorno.Noi a festeggiare per un pari come se avessimo vinto, dopo dodici anni senza successi, gli altri insoddisfatti per il pareggio.Dove sta la mentalità vincente, al di là delle indubbie differenze tecniche?

 

C’è bisogno di partecipazione, senso di appartenenza, iniziative che coinvolgano e cavalchino il vento della novità, come quello che aveva investito il primo anno dell’era Cairo.Presidente, si lasci consigliare anche da noi.Siamo stanchi e sfiniti, certo. Ma abbiamo le idee e la volontà, la rabbia, la voglia di rivincita.E ci basterebbe ben poco per essere soddisfatti e trascinati.

 

Spero che il Presidente Cairo capisca tutto questo, da dove nascono queste motivazioni profonde, la nostra rabbia.E la rispetti.Un sentimento non solo sportivo, ma anche e soprattutto sociale, lo ripeto.Forse sorriderà, magari tutto gli suonerà estraneo e marginale.Però noi siamo così e non c’è verso di essere diversi da noi stessi, dobbiamo parlare di cose concrete, non della rava e della fava!Forse non ce la faremo, chi lo sa, le forze in campo sono titaniche.Sembra tutto così facile ma in realtà è tremendamente difficile, quando significa andare contro i tempi.Una volta era la lotta contro la città fabbrica che ingoiava la tua cultura, ora è la difesa contro il mondo della massificazione, dei tutti uguali, la difesa disperata della nostra superiorità contro la banalizzazione delle menti. Paroloni? Non credo.L’unica speranza che abbiamo, per cercare di andare avanti in anni senza punti fermi, è cercare di interpretarli e anticiparli per non cadere sempre ogni volta dal pero.

 

Non finisce certo qui.Se dobbiamo toglierci i sassolini dalle scarpe, almeno togliamoli tutti.La salvezza ottenuta alla penultima giornata non deve far cadere nell’oblio quello che è nuovamente avvenuto quest’anno. Noi tifosi siamo menti semplici, di solito ci va bene tutto.Però siamo stanchi di chi rema contro e degli eterni sotterfugi. Presidente, faccia chiarezza una volta per tutte, perché non è possibile che qui da noi non si riesca mai a fare calcio senza qualche storia strana nello spogliatoio o dintorni.Possibile che da altre parti non capiti mai nulla e qui da noi sì? Il tutto ampliato dai mezzi di informazione locali, che non aspettano altro?A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.Non sopporto la dietrologia, ma le coincidenze ogni anno cominciano ad essere un po’ troppe e non mi stupirei che ci fosse del marcio nel sottobosco ombroso dei vari personaggi equivoci e trasversali che continuano a gravitare intorno a quel che resta del Pallone.Presidente, vigili, tenga gli occhi aperti.

 

Sono molto contento di questa salvezza soprattutto per chi sta rosicando.Badate, non mi riferisco ai gobbi. Mi riferisco a molti addetti ai lavori, paradossalmente anche di fede granata, che non vedevano l’ora di poter celebrare il fallimento di Cairo.Per mille motivi, perché non è di Torino, per autoservilismo verso i poteri forti della città, perché il loro giardino si è trovato in ombra. E se il Toro fosse andato in B, pazienza, meglio ancora!Di fronte al servilismo culturale che questa città ha prodotto in molte menti negli ultimi anni, ben venga una persona che viene da fuori!Attenzione a una cosa però: anche all’interno del nostro essere tifosi ci sono delle cose negative da combattere. C’è ad esempio una sorta di cancrena mentale dalla quale non riusciamo proprio a liberarci, un’ancora che da tempo ci auto-sospinge verso il basso senza un perché.Credo che parte dell’inconscio di alcuni tifosi avrebbe provato sì rabbia, ma anche masochisticamente piacere, in una retrocessione. E’ una cosa sottile, subdola, non è legata a opinioni tecniche.Un pensiero incancrenito che considera il frequentare le zone basse della classifica come inevitabile, l’attendersi la fregatura quasi come cosa dovuta e sicura ma soprattutto, sotto sotto, è l’inconfessabile e vigliacca paura di dar fastidio a qualcuno, il “travaja e lasa perde”, l’attitudine a brontolare pur tuttavia compiacendosi della propria situazione, tenendo la testa bassa.Un freno a mano che ha permesso che le idee migliori di questa città partissero per altri lidi, un senso di negatività perverso che gode nell’autoaffossarsi e nel lamento, che preferisce “ste ciutu” e anche in caso di vittoria è già lì che aspetta la sciagura per poter ridere di te che ti sei illuso.Dovremmo, dopo le esperienze patite, essere tutti uniti spingendo verso l’alto, rompendo le scatole al mondo per rivendicare chi siamo, per tentare quantomeno di riemergere.E invece questa cancrena, questa “sfighite” non ci molla mai e ci ancora verso il basso.E’ un atteggiamento giustificabile per alcune cose. Ma per il Toro no, porca miseria. No, questo proprio no!

 

Qualche parola anche per il tifo e i nostri encomiabili tifosi.Lo vediamo una volta di più in questi giorni: sono tempi durissimi per il tifo organizzato, infangato com’è dall’inarrestabile ipocrisia italiota da salotto televisivo, che vede come noto protagonisti il più delle volte emeriti ipocriti che parlano in maniera superficiale e ruffiana di cose che non conoscono, e dalla involontariamente comica nuova legislazione, nata sotto la speranza, fortunatamente sfumata, di ospitare gli Europei.Tuttavia, inutile nascondersi dietro a un dito, la stagione sotto questo punto di vista è stata altalenante.Si è assistito a grandi prestazioni di tifo in trasferta, memorabili quella contro il Tottenham, Milan e buon ultima quella contro il Livorno, trasferte dove probabilmente il tifo riesce a compattarsi maggiormente.In casa invece c’è qualche problema.I ragazzi si sbattono, ce la mettono tutta e sono convinto che se la Maratona, architettonicamente parlando, non fosse stata violentata nella sua essenza, si raggiungerebbero tutt’altro genere di risultati.L’età media però si è alzata, spesso la gente sembra sfiatata e sfiduciata.La sensazione è che negli ultimi anni si sia impiegato troppo tempo con le spalle rivolte al campo per far cantare la gente, e si sia perso di vista quello che succede in mezzo al terreno di gioco.Talvolta oggi capita che alcuni cori partano a casaccio e si perda il contatto con la realtà (col Milan, a due minuti dalla fine si perdeva e ci si è messi a fare “Chi non salta è un bianconero”).Molti cori sono quelli di venti anni fa, alcuni vengono ripetuti ossessivamente, ma sono come svuotati, usurati dall’uso ripetuto. Con tutti gli inevitabili distinguo, la Maratona che riusciva a vincere le partite, a ribaltare i risultati era una Maratona feroce, talvolta cattiva. Eppure potentissima! Urlava rabbia e amore al medesimo tempo e si faceva forte del suo senso di appartenenza. Non importava il “purché si canti”. Importava che cosa si cantava, il quando lo si cantava. Non avrebbe ad esempio mai ignorato un tomo come Antonini.Quello che l’anno scorso, dopo aver realizzato il gol della vittoria del Siena (1-0) ha esultato mimando con le dita il gesto delle corna del Toro.Come dite? Una stupidaggine? Noi dobbiamo essere superiori? Dobbiamo vivere di puro spirito?Un par de balle, quando qualcuno prende per i fondelli il Toro, e conseguentemente la sua gente, c’è poco da fare tanto i superiori.Ebbene, alla luce del gesto di questo mediocre giocatore, che giustamente sta per proseguire la sua misera carriera in una serie inferiore, mi sarei aspettato qualche coro rabbioso, sarcastico, ironico.Invece nulla.Silenzio.Così il coraggiosissimo ci ha di nuovo applaudito ironicamente quando è stato sostituito, nella gara interna con l’Empoli. Figuriamoci, vista la nostra remissività avrà preso coraggio.E qui ci ricolleghiamo al discorso della nostra totale mancanza di memoria, non solo per le cose più lontane, ma anche e soprattutto per quelle recenti.

 

Quando invece è emersa la nostra rabbia sportiva e abbiamo ruggito, vedi Balzaretti, i risultati sono venuti fuori eccome, e nelle ultime giornate ci sono stati confortanti segnali di ripresa.Purtroppo negli anni sono però spariti i cori ironici e sarcastici.Nessuno, a parte “Tutta l’Italia lo sa”, che non sarà il massimo della creatività, ma è sempre meglio di niente. Anche lì però…Un solo coro per una montagna di furti e di vergogna. Nel 1990 venti canzoni sulle gomme di Schillaci.Il paragone con la Maratona di un tempo forse è impietoso e non ha senso farlo.Creatività e ironia non si improvvisano in un giorno e forse non fanno parte di questi tempi.

 

Dunque si riparte da De Biasi.Sono contento per lui, mi fa davvero piacere.Sarebbe bello che remassimo tutti dalla stessa parte e non fossimo già pronti a contestarlo alla prima bava di vento contraria.In tanti anni da queste parti quasi tutti sono stati contestati.In pochi l’hanno scampata.Facciamo la conta?Borsellini, Radice, Sala, Fascetti, Sonetti, Scoglio, Sandreani, Souness, Reja (pure lui si beccò i suoi “vaffa”), Camolese, Ulivieri (e ci mancherebbe che non fosse capitato), Ezio Rossi, lo stesso De Biasi, Zaccheroni e Novellino.Tutti gli allenatori tutti sono stati contestati. L’unico ad aver solo sfiorato la contestazione è stato Mondonico. Altri, meno colpevoli di lui, non l’hanno scampata.Un po’ troppi, non trovate? Non è possibile che chiunque alleni qui sia per forza un incapace.Ora ci risiamo e si parte al solito con parte della gente che “con De Biasi non abbiamo mai visto bel gioco”. Viene da riflettere sul fatto che sono quasi dieci anni che non ne vediamo uno decente, ma questa non deve essere una scusante. Semmai questi pensieri fanno parte della già nominata “ancora” che ci spinge per forza verso il basso. Cosa facciamo? Contestiamo in eterno, per poter masochisticamente trovarci nella situazione di quelli a cui “tanto tutto va sempre male”?Proviamoci almeno, e non diamo argomenti a chi ci vuole male sul serio.Le cose non devono andare male per forza.

 

Insomma, in alto i calici, siamo salvi.Ma non ubriachiamoci.Lo faremo quando la scialuppa sarà tornata ad essere galeone.Se ci riusciremo.

Mauro Saglietti