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Anche Pulici andrà via

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di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

Gli ombrelloni chiusi sulla spiaggia sono il primo segnale dell’estate che finisce.In montagna l’arrivederci è più malinconico e triste.Alle volte è il buio della sera a sorprenderti, o il fresco che diventa freddo fastidioso.Al mare è tutto diverso.La temperatura è ancora gradevole.Sono gli amici che se ne vanno, o le poche persone di sera sulla passeggiata, che ti fanno capire che il momento del ritorno a casa si avvicina.Quante estati ho visto finire, sempre con la stessa sensazione di dolceamaro che non ti lascia neanche un momento, che non ti fa godere gli ultimi giorni.Quanti “ciao”, quanti “pensami” non detti, quante storie che avrebbero potuto diventare vita e che invece sono rimaste nei sogni, avendo avuto come sigla finale il pianto dietro ad un finestrino o il lontano viadotto dell’autostrada, lungo il quale sfreccia una macchina che fugge via.Come dite? Storie da Cornetto Algida? Può darsi.- Vedrai, l’anno passerà in fretta…Già. L’anno passava ma le cose cambiavano o non erano più come prima.Sempre così.Come dimenticare gli ombrelloni che si chiudevano alla fine dell’estate 1982...Era stata l’estate degli esami di terza media, dei mondiali di Spagna e di un bambino che giocava soltanto con me.Ma soprattutto era stata l’estate nella quale avevano venduto Pulici.

 

- …tu pensi che questo eroe giocherà per sempre nel Toro. Ma non è così. Niente è per sempre, anche Pulici andrà via.- No! Pulici non se ne andrà mai! Come puoi pensare una cosa simile e dire di essere del Toro? - Anche Pulici se ne andrà, lo so per certo- Ma… come fai a saperlo? Chi te l’ha detto?- Ti va se giochiamo con le formine?

Avevo sempre trascorso le mie vacanze in montagna. Era sempre stato così, del resto i miei primi passi erano stati compiuti in un paesino delle Valli vicino a Torino. Al principio degli anni ’80 però, i miei genitori decisero di affittare un appartamento in Liguria, sulla riviera di Ponente.Era la fine di giugno, avevo appena sostenuto l’esame di terza media e la presi molto male.Loro avevano pensato di farmi un piacere; io invece volevo i miei monti, non sopportavo il dover stare in spiaggia per forza, non sapevo nuotare e soprattutto non conoscevo nessuno.Trascorrevo le giornate a guardare le partite del mondiale di Spagna e spesso gironzolavo da solo, in cerca di qualche luogo isolato dove mettermi a leggere, mio passatempo preferito.Una mattina, mentre ero sprofondato nella lettura di una avventura dei “Tre investigatori”, collana del “Giallo per ragazzi”, al fresco dei giardinetti, una voce mi fece sobbalzare:- Tu sei del Toro, vero?Mi ritrassi di malavoglia dalla lettura nella quale Jupiter Jones era appena transitato attraverso il Tunnel Due. Di fianco a me si era seduto un bambino che a prima vista mi parve tedesco.Era bianco come un lenzuolo, le sopracciglia e i capelli erano biondi a tal punto da sembrare bianchi.Come venni a sapere in seguito era un bambino “albino”, ma sulle prime lo scambiai davvero per un tedesco.- Tu sei del Toro, vero? Io lo so. Lo sai che Pulici andrà via?- Eh? Ma che dici?-Pulici andrà via. E’ sicuro. Niente è per sempre. A proposito, lo sai che non trovo la mia mamma?

Quasi mi spaventai.Doveva avere la metà dei miei anni ma parlava alle volte con la tranquillità e la sicurezza di un uomo maturo.A dire la verità mi sembrava un po’ tocco. Alternava frasi normali con altri concetti strani, fuori dal mondo. Nella sua mente sembrava regnare la confusione.Mi allontanai infastidito, ma me lo ritrovai accanto il giorno dopo. E quello dopo ancora.Dovunque mi recassi e ci fosse ombra, sbucava anche lui, con le sue storie assurde. Alla fine, solo com’ero mi abituai alla sua compagnia.- Ma come ti chiami, scusa…- Io… non me lo ricordo. Ho perso la mia mamma. Lei non è capace a nuotare.- Chi è la tua mamma? Dov’è adesso? Non ti ricordi neanche come ti chiami?- Ti va se giochiamo con le formine?- Sono troppo grande per giocare con le formine… ma sei del Toro anche tu? Come fai a dire quelle cose su Pulici?- Pulici andrà via. E’ certo. Mi devi credere. Mi aiuti a trovare la mia mamma?

Passò qualche giorno e quello strano bambino (che soprannominai Albino), senza dirglielo mai, divenne un compagno di quasi tutti i giorni.C’erano giornate nelle quali sembrava normale e si divertiva a giocare col pallone, il più delle volte mi sfidava a correre. E correva veloce davvero!- Sei lento, devi essere più veloce. Più veloce! Corri, dai! – mi diceva ed io mi imbestialivo.Non so quanti giorni passarono, non molti forse. Ogni tanto cercavo disperatamente di isolarmi a leggere, ma sentivo la voce sempre uguale che sembrava sbucare dal nulla:- Non dovevano partire…- Ma chi?- L’acqua me l’ha portata via… Pioveva tanto…Ero angosciato da quei discorsi. Un giorno decisi di scendere in spiaggia, nel tardo pomeriggio proprio perché sapevo che lui lì non sarebbe venuto.Ero un ragazzino, non presi mai seriamente in considerazione quelle parole, né tantomeno l’idea che Pulici potesse lasciare il Toro.Fu proprio quel pomeriggio che conobbi Ciccio e il Maschiaccio.

A dire la verità non mi ricordo più, ma credo intercettai un loro discorso sul Toro.Stavano bisticciando.Lì per lì pensai che c’entrasse la faccenda di Pulici e mi intromisi:-Scusate, è vero che vendono Pulici?- Ma che? Sei scemo? - Mi rispose il Maschiaccio.Ah, piccolo particolare. Il Maschiaccio era una ragazzina con le lentiggini che portava i capelli molto corti.Ciccio e Maschiaccio erano due soprannomi, se li erano già assegnati a vicenda.Abitavano nella stessa casa a Torino, lei era ospite dei genitori di lui, (o viceversa, non mi ricordo) e lei, soprattutto lei, era una sfegatatissima ragazzina granata.Una che, come diceva spesso, “non mollava mai”.Ciccio invece era un facile soprannome causato dalla stazza non proprio filiforme di quel ragazzino.Fu così, in quel modo banale, che conobbi quelli che sarebbero diventati i miei grandi amici dell’estate 1982.

- Devi dire a questo tuo amico… come hai detto che si chiama? Albino? - Sono io che lo dico, in realtà non so come si chiami…- Si chiamasse anche Sempronio, devi dirgli di farsi furbo. Pulici non se ne andrà mai, non diciamo fesserie… Scoprii in fretta che mi piaceva chiacchierare con il Maschiaccio. Avevamo come passione comune, oltre al Toro, anche il "Giallo per Ragazzi".Inoltre credo che fossimo le uniche due persone di tutto il paese a non saper nuotare. Così mentre Ciccio trascorreva le giornate a mollo, io e lei ascoltavamo musica sotto l’ombrellone leggendo le imprese dei “Tre investigatori”.Ogni tanto però, scorgevo le sembianze di Albino, lontano, nei giardinetti, che guardava verso la spiaggia.- Toh… c’è il mio amico…- Chi? Albino? – rispondeva il Maschiaccio- Proprio lui.- Dov’è?- Laggiù, quel bambino sotto la pianta, ai giardinetti. Lo vedi?- No…- Beh, faccio un salto da lui, mi fa pena… è sempre solo…- Non puoi farlo venire qui? Così ce lo presenti…- Non può prendere sole… vieni tu.- No… un’altra volta. Vado a farmi un Maxicono!

Il nostro inizio estate andò avanti così. Fino a quando non capitò un avvenimento drammatico.

Lo venni a sapere dal giornale, una mattina.Incrociai lungo la passeggiata un signore che stava leggendo un quotidiano sportivo, e l’occhio mi cadde sul titolo.Utilizzai i soldi del gelato per acquistare una copia. Era vero, sentii le mie giovani gambe tremolare per la notizia; dovetti sedermi sul muretto dei giardini, sotto una palma.Pulici all’Udinese.Lo avevano venduto.Alzai lo sguardo. Il mondo andava avanti lo stesso e la gente sembrava fregarsene nonostante quella notizia, mentre a me veniva da piangere.Mi misi a correre verso la fine della passeggiata, alla ricerca di Albino, come ormai lo chiamavo. Dovevo dirgli che aveva avuto ragione, volevo sapere come avesse fatto.A metà strada mi imbattei in Ciccio e il Maschiaccio.- Dove corri? Vai dal tuo amichetto?Indicai il titolo del giornale senza parlare.Li vidi sbiancare.- Non è possibile… - mormorò lei con un filo di voce, con i lacrimosi trattenuti a stento.- Cribbio, non è giusto… - disse Ciccio.- Come faceva il tuo amico a saperlo? – chiese lei, mentre le si accendeva uno sguardo rabbioso in volto.- Non lo so… Sto andando a cercarlo. Per caso lo avete visto?

Non ci fu modo di trovare Albino quella mattina. Al pomeriggio gettai sguardi impazienti verso il giardinetto dove lo vedevo sempre sbucare, ma quel giorno non si fece vedere.Neanche la mattina dopo. Neanche il pomeriggio.Non lo vidi mai più.Scomparve improvvisamente così come era arrivato e si lasciò dietro tutto il mistero della sua presenza e delle sue frasi sibilline.Gli altri mi chiesero insistentemente, ma tutti finimmo in fretta per dimenticare, inghiottiti dagli avvenimenti di quella lontana estate, che proprio non si fermava ad aspettare. Dalle partite dell’Italia di Bearzot, passando per i festeggiamenti per la vittoria del mondiale, alle corse folli in tre sulla passeggiata su una bici sola, inseguiti dal carabiniere di zona.Da l’audiocassetta de “La voce del Padrone” di Battiato, che imperversava in spiaggia, a “Un’estate al mare” cantata a squarciagola, oppure alle partite a “Cluedo” in casa mia, le rare volte nelle quali il tempo s’imbruttiva.Quando le vacanze terminarono, ripensai a tutti quegli avvenimenti e anche a quello strano bambino che mi aveva tenuto compagnia per tutta la prima parte dell’estate. Mi chiesi quale fosse realmente il suo nome. Chissà se aveva trovato la sua mamma…E poi tutto fu ingoiato dall’incoscienza di quegli anni.

Tornai ancora al mare gli anni seguenti, sempre nello stesso paesino.Temevo di averli persi, ma li ritrovai con grande sorpresa e gioia.Abitavano nella mia città ma li vedevo solo al mare. Contraddizioni di un’età.Ciccio si era se possibile irrobustito, ma il Maschiaccio aveva i capelli lunghi fino alle spalle e con le lentiggini era tutta un’altra storia. Stava diventando una ragazza, per non dire una donna.Non sono qui per parlarvi delle mie storielle alla cornetto Algida, ma in quel momento fui fiero e felice di viverla, per quanto ingenua fosse.A patirne fu Ciccio, non mi ero mai reso conto di quanto in fondo piacesse anche a lui.Ci frequentammo per due-tre estati e diventammo grandi insieme.Poi, chi lo sa? Gli esseri umani sono strani.L’ultima volta che la vidi andarsene fu una fine estate, pioveva a dirotto su quella passeggiata, e gli scrosci sul viso aiutavano a nascondere le lacrime.Saranno state anche storie alla cornetto Algida, ma forse sono state le più belle.

Ma, ripeto, non è di questo che volevo parlarvi.Dopo quelle estati degli anni ’80, tornai a frequentare le montagne e i loro sentieri, che conoscevo così bene e che mi regalavano momenti indimenticabili. Tutto diventò una serie di fotografie che non sbiadirono mai, del resto certi ricordi alle volte sono solo un po’ impolverati.Certo non immaginavo che uno dei capitoli venturi della mia esistenza mi avrebbe riportato a rigiocare con le formine, negli stessi luoghi nei quali avevo vissuto una delle estati più belle della mia vita.Quella del 1982.

- Giocano tutti con la Play alla tua età… possibile che tu sia diverso degli altri? – pensai guardando il bambino castano che si divertiva con le formine, senza bisogno di rompere le scatole agli altri. Una rarità assoluta. Se arrivava qualcuno della feccia a schiacciargli col piede le sue forme di sabbia bagnata, lui le ricomponeva dall’inizio e così anche mille volte. Sembrava bastare per se stesso.Tornai quasi per caso nel paesino del Ponente ligure, nel quale avevo vissuto amicizie e amori, durante l’estate del 2006. Ho detto “tornai”, ma sarebbe più giusto dire “Ci recammo”. Sì, perché nel frattempo nella mia vita era comparsa una moglie e dopo qualche anno un bambino che chiamavamo Pigi, abbreviazione ovviamente del suo lungo nome.Proprio il bambino che stava giocando con le formine incurante degli altri.Certo, la nostra non era una vacanza di tre mesi come si faceva una volta.Del resto oggi siamo tutti più ricchi, no?Fui io a scegliere proprio quel paese e a questo punto mi chiedo quanto lo avessi fatto inconsciamente.Tornare sul luogo del delitto fa sempre sentire inadeguati i ricordi.Quello che era grande allora è diventato piccolo, il tempo dilatato dell’infanzia è diventato un attimo.Pensavo a tutte queste cose, mentre guardavo mio figlio giocare sulla mia stessa spiaggia, con gli eterni aggeggi in plastica.Eravamo una bella squadra, ogni tanto partivo con lui e andavamo all’avventura da soli. Gli spiegavo e gli raccontavo quello che avevo fatto quando avevo solo qualche anno più di lui, gli proponevo iniziative, sotto lo sguardo rivolto al cielo di sua madre, e a Pigi andava sempre bene tutto. Il più delle volte mi guardava, ascoltava e non diceva nulla, aspettando una mia reazione.Non so quanto possa essere maturo un bambino di sei anni, o immaturo un uomo di circa 40, fatto sta che più che un rapporto pare-figlio, il nostro era un rapporto quasi tra fratelli.Mi trovavo bene con lui.Diciamo che mi dava molte soddisfazioni.La più grande era stata quella di non essere diventato un gobbo.

La vita prende, la vita dà.La montagna mi era stata tolta, ma qualcosa mi fu regalato una mattina, mentre passeggiavo tenendo per mano Pigi lungo un affollato viottolo centrale della cittadina.- Ma tu, sei sempre del Toro? – Una mano mi sfiorò la spalla.Mi voltai senza riuscire a capire quale fosse la persona che aveva parlato in quella bolgia.Poi l’uomo parlò di nuovo- Allora, tifi ancora per il Toro? Era proprio di fronte a me. Un uomo alto, abbronzato e sorridente che si divertiva del fatto che non lo riconoscessi.- Tu sei… Ciccio! – riuscii a terminare la frase quasi in un rantolo.Spostai però lo sguardo alla sua sinistra.- Ahia Papà! La mano, mi fai male! Mi fai male!Vidi una medaglietta d’argento al suo collo, prima di vedere lei.Ciccio non era da solo.

- Mi volete dire che cosa ci fate di nuovo qui?- Potremmo chiedere la stessa cosa anche a te… Noi non ci siamo mai mossi.Era pomeriggio ed eravamo tutti attorno agli affogati all’amarena e al caffè che avevamo ordinato in una gelateria.C’eravamo tutti, mia moglie, Pigi, Ciccio.E naturalmente il Maschiaccio.Era una donna di 38 anni e sarei bugiardo se vi dicessi che quella mattina l’avessi salutata con indifferenza.La vita è proprio strana. Si vede che abitare nello stesso condominio alla fine aveva i suoi vantaggi.Non avrei mai potuto immaginare che si sarebbero messi insieme.Tanto meno che si sarebbero sposati.Ero seduto al tavolo di una gelateria con il mio passato, il mio presente e il mio futuro.E trangugiavo a fatica un affogato all’amarena.

Si era verso la fine di agosto, trascorremmo qualche giorno tutti assieme, nella mia incredulità più totale. Ogni tanto guardavo il maschiaccio di nascosto e non potevo fare a meno di pensare a quella che sarebbe potuta essere la mia vita se quel giorno sulla passeggiata non fossero piovute gocce d’acqua e lacrime.Un pomeriggio restai da solo con lei in spiaggia, mentre gli altri nuotavano o giocavano in acqua. Già, proprio come allora detestavamo entrambi le onde. Non c’era più il “Giallo per Ragazzi” di cui parlare. Restammo a guardarci un po’, prima di scoppiare a ridere.Mille parole non avrebbero detto più di quella risata.Si erano sposati da dieci anni, non avevano figli e saltuariamente frequentavano ancora lo stesso paesino.- Tra qualche giorno il Toro gioca in amichevole a Genova, verrai?- Tu non molli mai, vero?Scoppiammo di nuovo a ridere e non dicemmo altro, guardando le nostre famiglie che sguazzavano in acqua.L’estate 1982 non era mai stata così vicina e così lontana.

Sembrava che quell’estate dovesse svanire lentamente sotto il peso di quella grande coincidenza.Quando il destino ti regala qualcosa che credevi perso, è bellissimo.Già, la vita dà. Come detto, però, toglie anche.Ho sempre avuto paura dei cambiamenti improvvisi, ma quello che avvenne un pomeriggio pochi giorni dopo, mentre sorseggiavo una tazza di the, fu peggio.E mi fece paura.

- Come è andata, ometto? – Pigi e la mamma erano appena rincasati dalla spiaggia - Nuoti meglio di tuo papà, vero?- Ma se tu non nuoti per niente?- Appunto! Dai, cosa hai fatto? Sei riuscito a fare il castello di sabbia?- No, il vento me lo portava via. Ho giocato con il mio nuovo amico…- Chi Stefano? - chiesi distrattamente- No, quello un po’ strano, quello che ti conosce…Sollevai lo sguardo dal giornale e mi alzai sorridendo – E come fa a conoscermi? L’ho visto da qualche parte?- E’ quel bambino tutto bianco… Dice che ti sei dimenticato di lui. Anzi, ha detto di dirti che…Posai il giornale e fissai mio figlio raggelato.- Ha detto che… non mi ricordo…. Ah, si! – gli si illuminarono gli occhi – Ha detto che tu non gli credevi. Ma alla fine Pulici è stato venduto. Ha detto di chiederti se ora gli credi…

Feci due passi indietro con sguardo sbarrato dall’orrore.La tazza non cadde subito, ma un attimo prima che si frantumasse e spandesse i pezzi per tutta la cucina, lessi però il terrore e la paura negli occhi di mio figlio per la mia espressione.Il vetro fece crash e Pigi scoppiò a piangere.

Mi chiusi in bagno tremando. In lontananza arrivavano le madonne di mia moglie per la tazza in frantumi.Non potevo farmi vedere dalla mia famiglia in quello stato.Erano abituati alle mie stranezze, ma quello era troppo.Le parole che avevo udito non potevano essere reali, facevano riferimento ad un mondo di più di venti anni prima, che ricordavo a malapena.

Ho perso la mia mamma.L’acqua me l’ha portata via e lei non sapeva nuotare.

Chi era quel bambino misterioso che tornava dal passato?Cosa volevano dire quelle parole? Cos’era successo a quel bambino, di cui cominciavo a dubitare dell’esistenza?Mi sembrava di essere piombato in mezzo al Sesto senso…Cosa voleva da me? Che dovevo fare?

Nei giorni seguenti seguii mia moglie e Pigi sulla spiaggia, per cercare di individuare quel bambino.Mi recai addirittura nei luoghi in cui ricordavo di avergli parlato.Destino volle che proprio in quei giorni il tempo cominciasse a mettersi al brutto.La riviera venne spazzata da una di quelle perturbazioni che annunciano la fine dell’estate e le spiagge si svuotarono.Sapevo bene che né io né Pigi avremmo mai più rivisto quel bambino.Aveva detto quello che doveva dire e aveva lanciato il suo messaggio.Ora aspettava che gli dessi pace.Ma come?

- Papà, perché non siamo andati in spiaggia oggi?- Perché c’è tempo brutto Pigi. E probabilmente pioverà- Dove stiamo andando? E’ un avventura?- Andiamo a Genova, stai tranquillo adesso, se vuoi puoi stenderti e dormire…- Ma la mamma non si arrabbia?- No Pigi, nessuno si arrabbia, stai tranquillo, forza.- Ma cosa andiamo a fare a Genova? E’ per quello che ti ho detto su quel mio amico, vero? Poi però torniamo? Io volevo giocare con le formine…Dicono che la presenza di Dio si riveli nelle parole di un bambino. Mi vennero gli occhi lucidi. Se c’era, era lì con noi in macchina e gli aveva fatto pronunciare quella frase sulle formine.- Ascolta Pigi, ti piacciono le storie, quelle misteriose, vero?- SI!- Allora andiamo a cercare un mistero nel passato.

Sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio, ma quello che era successo continuava a scuotermi con tremori mentali che non riuscivo a controllare. Era un’indagine nella follia, probabilmente la mia.Quali indizi avevo? Cosa poteva essere stato? Un incidente? Una mamma con il bambinoLa mamma portata via dal fiume?Dove però? Quando?Qualcosa capitato prima del 1982, comunque.E chi era quel bambino?Esisteva? Era mai esistito?Dov’era la sua mamma?

Non trovo la mia mamma

Come avevo potuto dimenticare quella frase per tutti quegli anni?Genova spazzata da quel vento freddo, portatore di nubi in pieno agosto, faceva uno strano effetto.Poteva essere l’autunno di una qualsiasi città.Mentre ci avvicinavamo alla sede del giornale, speravo sinceramente che tutto si sarebbe risolto in un nulla di fatto.Così fu. Visionare microfilm non era cosa di un giorno.Io e Pigi ci posizionammo in una delle salette apposite e lui rimase silenzioso per tutto il tempo.Restrinsi la ricerca sulle cronache locali estive. Scorsi notizie che avrei preferito non vedere mai… vecchie auto che… Pigi non sapeva leggere, ma sapeva comprendere le fotografie. Cominciai a pentirmi di averlo portato con me.Dopo un po’ azzardai, dovevo sapere:- Pigi... tu sai cosa sto cercando, vero?- Sì - disse sbadigliando – Quel bambino ha perso la sua mamma. Me lo ha detto lui. So cosa cerchi. - E mi chiamò per nome, come faceva sempre.Chiusi gli occhi indeciso sul da farsi.Un attimo dopo il suo respiro pesante mi fece voltare verso di lui.Si era addormentato sulla sedia accanto a me.

Tornai a casa con Pigi che dormiva sul sedile posteriore.Avevo raccolto molti appunti, ma né i microfilm, né internet, né tutte le chiavi di ricerca mi avevano detto molto. Qualche episodio, molti frammenti che tuttavia non si incastravano.Del resto io non ero un investigatore.O peggio, un sensitivo.La pioggia batteva violenta dietro ai tergicristalli e spezzava i miei pensieri.Il cielo verso ovest era nero e carico d’acqua.Che cosa dovevo fare?- Che cosa vuoi da me? – dissi a mezza voce.L’acqua continuava a cadere e i tergicristalli faticavano a vincere la loro battaglia.

Il giorno seguente approfittai di una momentanea pausa in quell’anticipo d’inverno per recarmi alla locale stazione dei Carabinieri.Col rischio di essere preso per pazzo, ovvio.Ma nessuno ricordava niente di niente, nulla che si avvicinasse lontanamente all’episodio da me descritto.Non c’erano archivi, non c’era nulla.Nel pomeriggio riprese a piovere.Salii su per la collina per rimanere soloDall’alto potevo osservare il mare grigio chiaro, sotto un cielo che raramente si vedeva da quelle parti.Forse vivevo un’avventura che non stava portando a nulla.Poteva essere stata una assurda coincidenza.O qualcosa di inspiegabile.Di quante cose non riusciamo a dare una spiegazione, in fondo?

- Così ve ne andate anche voi. E’ sempre triste vedere la gente che parte… Almeno avete scelto il tempo giusto per farlo! - non mi venne in mente nient’altro che questa scioccante banalità. Mi faceva uno strano effetto vederla con quello che era il suo “lui”, anche se lo conoscevo da sempre.Il destino mi aveva fatto il regalo di non perderla, ma non quello di poter proseguire i pomeriggi di quella lontana estate. Strane cose.- Andrai sempre a vedere il Toro? – mi chiese mentre suo marito caricava le ultime cose sulla vettura.- Andrò? – finsi stupore – Andremo, vorrai dire! – e indicai con la mano il pargolo seduto al bar dall’altra parte della strada. Indossava la maglia granata del suo giocatore preferito e parlava con la mamma.  – Voi piuttosto? Passate davvero da Genova? Siete matti! Magari non giocano neanche la partita… però tu non molli mai, eh?Si strinse nelle spalle e annuì, come faceva da ragazzina.Fu allora che me ne accorsi. Forse non volevo guardarla con attenzione, un po’ male faceva sempre, ma non potei fare a meno di notarlo.Lei si accorse del mio sguardo e mi sorrise:- Non volevo dirlo fino a quando non fosse evidente… sai…La guardai stupito.- …Ci abbiamo provato tanto… So che ti sembrerà strano, ma abbiamo fatto un voto… Mi mostrò la medaglietta d’argento che portava al collo. La presi tra le dita.- E’ Papa Luciani? Ti ricordi di lui? Non voglio sembrarti stupida o che… è a lui che abbiamo fatto un voto per averlo… oddio, mi sento così scema…Ciccio aveva chiuso lo sportello e si era avvicinato alla moglie sorridendo.Non sapevo cosa dire. Non riuscivo a focalizzare tra le strane sensazioni che stavano avendo la meglio su di me.Mi sentivo felice per loro, certo, ma una parte di me non lo era e non solo per il fatto che fosse lei e io non l’avessi completamente dimenticata.C’era qualcos’altro che mi turbava profondamente.Però non capii cosa.Ci salutammo così, lungo la passeggiata e sotto l’acqua scrosciante lungo la passeggiata, come avevamo fatto quasi un quarto di secolo prima. Sempre con la tristezza, ma senza più lacrime.Li vidi salire in macchina e incanalarsi nel traffico della via principale.Loro due e la vita che sarebbe arrivata.Mi voltai e feci per tornare al bar, dal mio pargolo.Ma un pensiero improvviso mi trafisse il cervello.

Non trovo la mia mamma

Mi bloccai in mezzo alla strada, i piedi si rifiutarono di muoversi.

Mia mamma non se la cava tanto bene a nuotare

Raggelai, lo sguardo fisso sull’asfalto di fronte a me, le macchine che suonavano per cercare di passare.

So che ti sembrerà strano, ma abbiamo fatto un voto… Ti ricordi di Papa Luciani? Papa Luciani… Albino Luciani… Albino

Strinsi i pugni, respirando affannosamente, l’acqua mi scivolava addosso.

L’acqua me l’ha portata via… Pioveva tanto…

Mi voltai e cominciai a correre

Correvo tra gli scrosci di pioggia che in lontananza lasciavano intravedere le luci delle macchine incolonnate per entrare in autostrada. La mia auto era troppo distante, potevo solo correre.Erano partiti da non più di due minuti ma erano già distanti.Tirai fuori il cellulare dalla tasca e composi il suo numero freneticamente.- Rispondi! – gridai– Rispondi, ti prego!!!Niente. O l’autoradio all’interno dell’auto era troppo alta, oppure il rumore della pioggia copriva tutto.Corsi contro il tempo e contro il mio fisico che da troppo tempo non faceva movimento.

Sei lento, devi essere più veloce. Più veloce! Corri, dai!

I pensieri si scaricavano al suolo come scosse elettriche, a mano a mano che il sipario si sfilacciava e rivelava la verità.Avevo sempre avuto la soluzione di fronte agli occhi e non me ne ero mai accorto.L’acqua si incanalava nei torrenti ai lati della strada e le scarpe estive ne erano ormai vittime ritmiche.Dovevo raggiungerli.Dovevo fermarli.Mentre correvo ripensai a quella che era stata la nostra amicizia, il nostro amore, che forse aveva scelto quell’insolito palcoscenico per concludersi.Che cosa avrei detto?- Dovete fermarvi! Non dovete partire! Ci sarà un incidente… Ci sarà un torrente straripato… non dovete partire, non dovete!!!Era tutto assurdo. Cosa avrebbero potuto rispondermi?- Come lo sai?- Me l’ha detto tuo figlio… vostro figlio… Me l’ha detto 24 anni fa…Correvo anche contro la mia pazzia.

La colonna delle auto stava superando il semaforo.Avevo il cuore in gola, pensavo a come fermarli ma la vista era annebbiata per i violenti scrosci d’acqua. Tuonava forte, in continuazione, ma confondevo i tuoni con i colpi di cannone sparati dal mio cuore.Mi sembrava di correre da chilometri.Corsi, corsi e corsi ancora, fino a sputare i polmoni, fino al semaforo seguente, mentre i fari delle auto in senso opposto sfidavano il diluvio.Non ricordo come fu.Non ricordo come avessi deciso di fermarli.L’ultima cosa che rammento è quella di averli affiancati, proprio, mentre il verde dava il via libero.Erano i primi della fila.Li stavo per perdere.Non so se scivolai o mi gettai verso di loro.Non lo so.Non udii neanche il colpo.

Ripresi conoscenza soltanto il giorno seguente.Il resto è tutto buio.Non potevo muovermi.Erano tutti lì attorno a quello che doveva essere un letto di ospedale: mia moglie il Maschiaccio e Ciccio. Pigi non c’era, come poi venni a sapere era stato lasciato dalla vicina di casa.Parlavano tutti, mia moglie piangeva stravolta, gli altri due dovevano essere spaventati a morte.E arrabbiati soprattutto.Se fossimo stati in un film, ci sarebbe stato anche qualcun altro nella stanza, qualcuno che avrei potuto vedere soltanto io.Ma tutto era annebbiato e non vidi nessuno, anche se avevo la stranissima sensazione, nel mio stato di dolore confusionale, che ci fosse qualcun altro che stava osservando la scena.Vieni a giocare con le formine? – mi avrebbe sicuramente chiesto.- Giocherai con le formine, giocherai. Ora sei salvo… - dissi con un filo di voce.Gli altri si guardarono in silenzio e pensarono che stessi delirando.

Me la cavai con poco, tutto sommato. Dieci giorni in più in vacanza al mare, per la gioia di Pigi, così tutto venne archiviato come una delle mie tante e inesplicabili stranezze.Credo che Pigi abbia capito più di quanto la sua giovane età gli abbia permesso di capire.Alle volte è come se condividessimo un segreto. L’ho già detto che alle volte per me è come un compagno di giochi, vero?Non vidi più il Maschiaccio e Ciccio da allora.Credo che a nessuno faccia piacere ricordare quei momenti sotto la pioggia, in quella singolare fine estate. So però che hanno avuto un bambino, dopo qualche mese. Dicono che sia biondo chiarissimo, gli occhi quasi bianchi.Se c’è stato un prezzo da pagare, per quello che è successo in questa storia è stato quello della nostra amicizia.La vita ti dà, la vita ti toglie.

Alle volte pensiamo che solo i film possano mettere i brividi. O qualche bella canzone.Gli ultimi ombrelloni si chiudono ed è tempo di tornare a casa.Non tornammo più lì, in quel paese legato ai ricordi.Le ultime sere, prima di andare via sul serio, mi attardavo spesso da solo a guardare con Pigi le poche persone che gironzolavano attorno agli ombrelloni chiusi. O ad osservare le formine del mio bimbo, abbandonate per terra e lambite dalle onde.Devo ammettere che quelle macchie colorate mi facevano spesso venire la voglia di tornare a giocarci, lì da solo.Stringevo la sabbia tra le mani, per quanto le stampelle me lo consentissero.Fingevo di non ricordare, ma rammentavo benissimo quei giorni.Perché io? Mi chiesi, mentre lasciavo che i granelli di sabbia ormai fredda si disperdessero lungo l’acqua.Perché proprio io? Perché era toccato a me? Perché aveva scelto proprio me, tanti anni prima? Non trovai le risposte quel giorno sulla spiaggia, non le ho ora.Avevo degli amici una volta, c’era un bambino grassoccio e una bambina che chiamavamo “il Maschiaccio”. Poi c’era un bambino completamente bianco, che giocava soltanto con me.“Niente è per sempre”, me l’aveva detto lui.Anche i ricordi più belli alle volte devono essere rimessi in discussione.E anche Pulici se ne va.Poche cose fanno male come l’estate che finisce.Poche cose.

 

Benché sia narrata in prima persona, questa storia è frutto di fantasia.E’ dedicata agli amici di Pescara che domenica sera hanno visto la partita con me in Maratona.Un abbraccio, cari Fratelli. Voi davvero non lo meritavate. Mauro Saglietti

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